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«In questura ero terrorizzato». Interrogatorio di Raimondo Etro

Redazione Spazio70

«Nel 1991 mi sono sposato, nel 1992, a gennaio, ho avuto un figlio. Poi per diversi problemi economici nel 1993 sono tornato in Italia»

Raimondo Etro

Roma 26 marzo 1996. Processo Moro quinquies. Raimondo Etro, ex militante delle Brigate Rosse, risponde alle domande dell’avvocato Tommaso Mancini, legale di Germano Maccari:

— Etro, lei nel 1982 si reca a Parigi con Algranati e Casimirri…

«Esatto, nel 1982».

— Era già stato colpito da un provvedimento restrittivo?

«No, a titolo cautelativo, perché si era saputo che Savasta stava collaborando e di conseguenza avevamo paura che potesse… anzi, avevamo la certezza che avrebbe fatto i nostri nomi anche se poi, chi in un modo chi nell’altro, ognuno aveva le sue paure. Alessio Casimirri essendo conosciuto direttamente da Savasta già aveva pensato di allontanarsi dall’Italia. Io perché avevo conosciuto Emilia Libera e altri per altri motivi di coinvolgimento…».

— Sì, Casimirri, ho capito, ma lei perché stava a Parigi?

«Eh… mi ci ero recato appunto perché avevo paura di essere riconosciuto, cioè di essere identificato tramite le dichiarazioni di Antonio Savasta e Emilia Libera e di essere arrestato. Quindi andai in Francia».

— Poi cosa fece in Francia? Quali accorgimenti pose in essere per la tutela della sua libertà?

«Praticamente nessuno, oltre il fatto di essermi recato a Parigi e di stare insieme ad Alessio Casimirri a Rita Algranati e ad altre persone».

— Quindi per un senso di solidarietà verso Casimirri?

«Assolutamente no. Io sapevo i reati che avevo commesso e di conseguenza non c’era nessun senso di solidarietà, era una fuga comune verso il tentativo di mantenere la libertà. Tutto qui».

— In via preventiva, ovviamente.

«Certo».

«LA MIA PRIMA CONDANNA? UN ANNO E TRE MESI»

— Senta, e poi da Parigi che fine fece lei? Soggiornò a Parigi per parecchio tempo?

«Per sei mesi e poi quando mi resi conto che non ero stato identificato tornai in Italia».

— E in Italia che cosa successe?

«In Italia non successe nulla fino al 1985».

— E cosa fece in Italia? vogliamo sapere un po’ il suo percorso fino al momento in cui poi viene arrestato l’8 giugno del 1994. Quindi, stiamo parlando del 1982. In dodici anni lei che cosa ha fatto?

«Tranne il periodo che ho passato a Rebibbia per il primo arresto, ho ripreso la mia vita, ho lavorato. Nel 1990 mi sono sposato, ho avuto un figlio, in Thailandia. E basta, nulla di più».

— La prima volta che fu arrestato, per quale ragione fu?

«Praticamente per gli stessi motivi per cui sono qui adesso, soltanto che le persone che mi fecero identificare non sapevano tutti i reati che avevo commesso, di conseguenza fui giudicato soltanto per la partecipazione a banda armata denominata Brigate Rosse».

— E alla fine questo processo che esito ebbe?

«Fui condannato a un anno, tre mesi e quindi giorni di carcere con il beneficio della condizionale».

— Benissimo. Poi lei si reca in Thailandia, no?

«Questo è successo quattro o cinque anni dopo, a fine 1990».

— In Italia che fa? Lavora in questo periodo?

«Sì».

— E che attività svolge?

«Facevo il giornalista e il fotografo».

— Presso quale giornale?

«Collaboravo con diverse case editrici».

— Ecco. Ci può dire queste case editrici con cui collaborava?

«Sì. Con la Tattilo Editrice, con la Lancio, con le edizioni di Cioè. Avevo anche un altro editore in Francia e via dicendo».

— Poi si reca in Thailandia.

«Esatto».

— Lei viene mai arrestato in Thailandia?

«No, mai».

— Poi che succede?

«Vuole sapere a livello personale cosa ho fatto?».

— Beh, insomma… senza entrare nella sua privacy.

«Nel 1991 mi sono sposato, nel 1992, a gennaio, ho avuto un figlio. Poi per diversi problemi economici nel 1993 sono dovuto tornare in Italia e la seconda volta fui convocato, appunto, in questura dove mi fu chiesto se conoscessi Germano Maccari. E niente, poi tornai in Thailandia».

«MACCARI? PROBABILMENTE MI VENNERO MOSTRATE DELLE FOTO, MA NON NE SON SICURO»

— Quando le fu chiesto di Germano Maccari?

«Qualche giorno dopo il suo arresto. Mi sembra di ricordare il 16 di ottobre ma… ».

— Da chi le fu chiesto?

«Da uno della Digos credo, perché fui chiamato dalla Digos».

— Fu verbalizzato questo suo interrogatorio?

«Che io sappia no. Non lo so, non ne ho idea».

— Senta, ma le furono mostrate delle fotografie?

«Probabilmente sì però adesso non me lo ricordo proprio. Mi ricordo che mi fu chiesto se conoscessi Germano Maccari. Probabilmente mi furono mostrate anche delle fotografie, ma adesso non me lo ricordo».

— E ma lei non ricorda se riconobbe in qualche fotografia l’immagine di questo Maccari?

«In quel momento ero terrorizzato dall’idea di essere stato chiamato, anzi, temetti anche di non poter più uscire. Ricordo soltanto che dissi di no, che non lo conoscevo».

— Correttamente il funzionario le ha chiesto se conosceva Germano Maccari. Dopo di che le ha mostrato delle fotografie probabilmente o una fotografia?

«Non lo ricordo per un semplice motivo: perché io credo di aver saputo la mattina dai giornali dell’arresto di questo quarto uomo ma comunque i giornali ancora non li avevo letti. Alla domanda ricordo di aver risposto: “Ma chi è?” e questa persona disse: “Beh, speravamo che ce lo dicessi proprio tu”. Ma io poi quando uscii mi affrettai a comprare il giornale per verificare quello che era successo».

— Ma a questa individuazione fotografica alla quale lei fu sottoposto…

«Le ripeto, non sono certo e comunque non lo ricordo. Presumo che mi abbiano mostrato delle foto però non ricordo il momento in cui me le fecero vedere, se me le fecero vedere».

— Lei non ricorda ma è un fatto di due anni e mezzo fa. Lei ha una strana memoria, perché ricorda i fatti di diciotto anni fa e non ricorda le cose di due anni fa.

«Le ripeto che quando fui chiamato…».

— Le assicuro che è molto più facile ricordare una cosa di due anni fa che di diciotto anni fa.

«Non sempre. Le ripeto che quando fui chiamato…».

«ERO TERRORIZZATO. NON SAPEVO SE SAREI USCITO DALLA QUESTURA»

— Sì, era terrorizzato.

«Entrato in questura non sapevo neanche se ne sarei uscito e di conseguenza non pensai né a Germano Maccari né ad altro, pensai soltanto a poter uscire da lì. Infatti mi ero recato in questura e avevo lasciato un mio amico ad aspettare fuori proprio perché non sapevo che cosa sarebbe successo. Quindi di sicuro non pensai a Germano Maccari, ci pensai alcuni giorni dopo, quando cominciai a ridiventare lucido a proposito della questione, ma sicuramente non in quel momento».

— Ecco, ma adesso che è lucido è in grado di ricordare questo accadimento? Ora che ha riacquistato lucidità.

«Allora, le ripeto: quando mi fecero, se mi fecero vedere delle foto, e quando mi chiesero se conoscessi Germano Maccari entrai nel pallone più totale, di conseguenza non lo ricordo. Probabilmente mi furono mostrate, comunque non ho un ricordo perché in quel momento la mia attenzione era rivolta tutta quanta al fatto di potere o non potere uscire dalla questura».

— Comunque lei non ricorda di aver individuato in una fotografia Germano Maccari.

«Non mi posi proprio il problema, le ripeto…».

— Ma attualmente, oggi…

«Ma che vuol dire attualmente?! Le sto dicendo che in quel momento non ragionavo a proposito di quella questione, quindi…».

— Mi scusi Etro, io non le sto chiedendo le ragioni per le quali lei non ricorda. Io le sto chiedendo: lei ricorda o non ricorda di aver individuato in una foto Germano Maccari? Poi ci dirà le ragioni per cui non ricorda.

«In quel momento sicuramente non dissi, se mi fu mostrata la foto, è lui…».

— Ecco, si tratta di capire esattamente questo «se» che lei mette sulle fotografie se è un «se» che tende a escludere o tende a ammettere che le siano state mostrate delle fotografie, una o più, se in formato tessera, istantanea eccetera.

«Io ricordo che mi affrettai, quando uscii, ad andare a comprare il giornale per chiarire la situazione. Quindi io magari posso dirle di sì però la foto che ho visto l’ho vista sul giornale».

— No, no. Quello che interessa è se lei dice che comunque quel giorno vide una fotografia, forse sul giornale o se lei vide una fotografia sul giornale come quella che le era stata mostrata prima dalla polizia.

«Probabilmente…».

— Questi tipi di chiarimenti la difesa sta tentando di avere.

«Ecco, però non posso dirle con certezza se in quel momento mi furono mostrate delle foto. Suppongo di sì però in quel momento non ero in condizione…».

— Comunque fu rilasciato quel giorno.

«Certo. Prima di tutto corsi dal mio amico che mi aspettava e gli dissi quello che era successo. Dopo di che comprai il giornale, mi andai ad informare, mi sembra che era proprio il giorno in cui era uscita la notizia sul giornale, se non sbaglio».

— Lei dopo la lettura del giornale non tornò ovviamente dal funzionario che le aveva posto queste domande.

«No».

— Non vide più quel funzionario dopo il suo arresto?

«Sì, l’ho rivisto, certo».

— È in grado di dirci come si chiama questo funzionario?

«Sì».

— Ce lo può dire, per cortesia?

«Si chiama Sandro Nervalli».

— La signora Faranda, in uno scritto sulla sua vita, anzi, mi scusi, vorrei essere più preciso. La giornalista Silvana Mazzocchi, in una serie di interviste datele dalla Faranda, ha praticamente scritto un libro che si chiama «Nell’anno della tigre». In questo libro si parla anche del giorno in cui la Faranda mutò versione e praticamente passò da un atteggiamento di dissociazione a un atteggiamento di collaborazione. La signora Faranda, anzi, la giornalista in quel volume e in quel giorno parla di un amico della signora Faranda e identifica questo amico nel signor Sandro Nervalli. Ora, non avevamo dato molto peso a questo nome di cui parla la giornalista se non al momento in cui lei ci ha fatto questo nome del dottor Sandro Nervalli che è un funzionario di polizia. Sandro Nervalli poi si occupò anche della signora Faranda?

«Non lo so».

— Ah non ne è a conoscenza.

«Semplicemente perché l’ho incontrato, dato che io sono attualmente agli arresti domiciliari e ho un permesso di lavoro, durante periodici controlli che mi fa la Digos per vedere se io sono presente»

— Quindi lei incontra con una certa periodicità il signor Nervalli?

«Non con una certa periodicità. Dipende, perchè io sono controllato da polizia e carabinieri e anche dalla Digos quindi incontro quotidianamente carabinieri e poliziotti…»

— Quindi lei vede questo signor Nervalli? Narvalli, mi scusi. L’ha visto qualche volta in quest’ultimo periodo?

«Beh, sì, certo».

— Quante volte l’ha visto?

«Non lo so. Una volta ogni quindici giorni, una volta a settimana. Quando vengono a fare il controllo e c’è anche lui a vedere se sono presente».

— Ho capito. Lei oltre a questi controlli dialoga con queste persone che la vengono a controllare?

«Beh, quando vengono i carabinieri, quando viene la polizia, tante volte durante i controlli mi fanno delle domande, mi chiedono varie cose sulla mia situazione».

— Il dottor Narvalli le chiede anche lui perché sta lì o lo sa?

«Beh… suppongo che lo sappia, evidentemente».

— Grazie.