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«Bucarsi in cella? Facciamo finta di niente». Il carcere e l’eroina nella testimonianza di un agente di custodia (1980)

Redazione Spazio70

Da un articolo di «Lotta continua»

«Benché la giunta sia rossa, nel paese dove si trova il carcere con larga maggioranza del Pci, questo non si nota per niente qui all’interno. Al disinteresse di tutta la sinistra si unisce anche l’ignoranza e la disinformazione di cosa è il carcere. Tutti quelli con cui ho parlato pensavano che qui ci fossero al massimo quindici o venti rubagalline. Ma l’eroina, realtà della città, si ritrova anche in carcere: almeno un quarto dei detenuti sono eroinomani. E droga ne circola abbastanza: ogni tanto nelle perquisizioni ne troviamo un po’. Entra soprattutto eroina ma qualche volta si trovano pure droghe leggere. Entra in carcere attraverso i colloqui (qui non c’è nessuna separazione) e c’è anche qualche guardia che traffica. Ogni tanto viene scoperto qualcuno: poco tempo fa due guardie effettive di un carcere emiliano sono finite dentro perché spacciavano. Entrano anche alcolici: oltre al litro di vino a testa consentito ogni giorno, anche whisky e altri liquori».

«I TOSSICOMANI? SONO ISOLATI DAGLI ALTRI DETENUTI, SPECIALMENTE DA QUELLI NON PIÙ GIOVANI»

«Rispetto ai tossicomani, la nostra ignoranza è totale. Non sappiamo comportarci con quelli che, appena entrati, hanno le crisi. Ce la caviamo somministrando grandi quantità di medicine: le gocce di Talofen o Entumin, le pasticche di Serpax o Roipnol le diamo via senza tanti problemi, in grosse quantità, ben oltre quelle che vengono ordinate in infermeria. Qui non viene dato il metadone, che alcuni detenuti vorrebbero.

E’ molto, molto brutto, vedere ragazzi di diciotto-vent’anni tremare accoccolati vicino al termosifone e tu lì che non sai che accidenti fare. Loro, quando entrano, lo sanno che staranno male, soprattutto i primi giorni in isolamento. Se entrano in due o tre assieme, i primi giorni si litigano anche le gocce e le pastiglie di medicina. Quando poi stanno meglio e puoi chiacchierare, ti raccontano un sacco di cose: le “loro donne” che si prostituiscono, i furti, gli stereo rubati alle macchine, gli ospedali, la galera, tutte cose così.

E poi ci sono i discorsi del tipo “ma perché lo fai?”, “perché così sto bene”, “ma non vedi come sei ridotto?”, “è perché mi hanno preso, ma quando mi faccio sto bene, sono in paradiso”… Lì non sai più cosa dire. Con qualcuno si parla anche di musica e qualche volta di “politica”.

Comunque è assurdo che agenti che stanno tutto il giorno a contatto con tossicomani non ne sappiano niente a parte due orrendi filmetti visti in caserma di cui potete bene immaginare il contenuto. I tossicomani sono isolati anche dagli altri detenuti, specialmente da quelli non giovani che li trattano male perché spesso non si reggono in piedi, passano anni a fregare stereo o a fare altri furtarelli, insomma perché non fanno mai niente di serio. Ce l’hanno con loro anche perché si trascinano, non hanno voglia di fare niente e così le loro celle sono le più squallide e spesso le più sporche. Non si fanno quasi mai da mangiare da soli e di solito prendono quello che passa l’amministrazione. Anche le guardie li vedono male perché quando entrano chiamano continuamente con il campanello, hanno le crisi e per la guardia che sta in sezione sono problemi».

IL SOTTILE DISPREZZO DI CHI FA RAPINE VERSO CHI RUBA MACCHINE

«Chiedono sempre medicine e tu che non gliele puoi dare lo fai ugualmente, stando attento che un’altra guardia non ti veda (fanno tutti così). Se poi entri per caso in una cella mentre si stanno bucando puoi fare finta di niente, ma se trovi droga durante una perquisizione la devi dare all’appuntato e quindi non sai mai che atteggiamento tenere. Oltre la divisione fra tossicodipendenti e altri detenuti ne esiste anche un’altra: fra quelli della città e quelli di un grosso paese qua vicino, da tutti odiato. Così come nella emarginazione verso i tossicomani, ancora una volta il carcere riflette quello che pensa la maggioranza della città che non sopporta gli abitanti di questo paese, chiamati con disprezzo “terroni” come quelli del Sud. Nessuno vuole stare in cella con loro. Anche quelli veramente del Sud stanno quasi sempre insieme tra di loro, ma il rapporto con gli altri non è così duro come nell’altro caso. Non ci sono comunque rapporti di tipo “mafioso” né i “boss” nel senso tradizionale della parola (direi da film).

Chi ha fatto reati più grossi si considera di più uno che fa furti o guida senza patente, ma non per questo è particolarmente ossequiato e riverito dagli altri. C’è come un sottile disprezzo di chi fa rapine verso chi ruba macchine, ma non si va più in là (o almeno mi sembra). C’è invece disprezzo verso i “traditori”, verso chi parla e costui deve stare anche attento. E’ accaduto in diverse carceri che i detenuti si siano ammazzati tra di loro. C’è anche disprezzo verso quei detenuti “lecchini” o che fanno i ruffiani, ma in questo caso non si arriva mai alle botte. Ma sia nel caso delle “spie” che dei “lecchini” io non parlerei dell’esistenza di particolari regolamenti della malavita; penso sia una cosa frequente isolare e “punire” chi “parla” o fa il ruffiano. Succede pure a scuola, succede, fra noi agenti: solo che a scuola è in ballo una nota o un brutto voto, fra noi agenti un rapporto o qualche giorno di consegna, nell’ambiente della malavita sono in ballo anni di carcere e tanti soldi.

Dove invece non esistono “regolamenti” penso sia fra i tossicodipendenti. “Se i ricatti, le promesse, le botte, la crisi, oggi hanno fatto parlare te, domani possono far parlare me”; credo che molti ragionino in questo modo e quindi le loro reazioni sono più blande. Questo vale però se si considera il livello basso, quello dei consumatori e dei piccoli spacciatori, che sono poi quelli che si vedono qui in carcere».

«LA SEZIONE FEMMINILE? LE DONNE STANNO PEGGIO DEGLI UOMINI»

«I colloqui ci sono due volte la settimana per un totale di otto ore settimanali. In più la domenica ci sono i colloqui interni – cioè chi ha la moglie o la convivente alla sezione femminile – e quelli delle donne. Durante il colloquio fra detenuti e visitatori non c’è nessuna divisione, solo una guardia che sorveglia da dentro una cabina di vetro. In genere si svolgono per una trentina di detenuti per volta; durante i colloqui i detenuti si possono far portare dai compagni di cella il caffè, la merendina o i biscotti, o le bibite dello spaccio. All’entrata e all’uscita dai colloqui i detenuti andrebbero perquisiti, ma sono solo “sommarie palpatine”, fatte più per figura che per altro. Qualche volta se ne fanno spogliare un paio per perquisirli bene. Penso che molte cose entrino in carcere in questa maniera.

Anche le perquisizioni nelle celle sono rare: dipende dal brigadiere capoposto che c’è alla conta del mattino. Su tre che fanno il turno, solo uno le fa fare: in una o due celle si fanno uscire i detenuti poi guardiamo negli armadietti, sotto i tavoli e gli sgabelli, ma anche queste sono perquisizioni molto sommarie. Di solito non troviamo niente, al massimo coltellini (li spezziamo) o pochi spiccioli (in genere, essendo pochi, non si fa neanche la denuncia ma se li tiene qualche guardia: al massimo si tratta di mille-duemila lire); coltelli veri e propri e droga li troviamo solo se c’è una soffiata; allora non andiamo nemmeno a guardare negli armadietti, ma si va a colpo sicuro nel posto che ci è stato indicato.

Della sezione femminile ne so poco perché noi non possiamo andarci: per la sorveglianza è previsto personale femminile. Le donne sono una decina. Stanno peggio degli uomini. Il cortile per l’aria è piccolo come quello del braccio punitivo, cinque metri per cinque. C’è la luce accesa anche durante la notte, forte come quella diurna. I colloqui si svolgono una sola volta alla settimana; le celle sono malmesse – ho visto grosse macchie di umido – e mangiano peggio dei detenuti uomini».