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Benvenuto sul nuovo sito di Spazio 70

Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
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Il progetto Spazio 70

Il progetto

Gli anni Settanta sono stati un periodo particolarmente turbolento della recente storia italiana, una sorta di spartiacque fra il «boom economico» del dopoguerra e la complessa ambiguità dell’Italia degli ultimi lustri. Il Paese ha conosciuto, nel periodo compreso tra il 1969 e i primi anni Ottanta, un livello di violenza politica che trova ben pochi termini di paragone in Europa se si esclude forse il caso dell’Irlanda del Nord e della Spagna, realtà nelle quali però le rivendicazioni dei cattolici dell’Ira e dei baschi dell’Eta sono state di natura fondamentalmente nazionalistica, religiosa e territoriale. In Italia lo scenario è stato molto diverso. Si può cioè affermare come nel torno di tempi sorprendentemente rapidi si sia passati dagli spensierati giorni del «boom» a una rabbia contestataria capace di esplodere in vera e propria violenza politica quasi come reazione – occorre dirlo, anche se il rapporto di causalità è tutt’altro che pacifico – alla terribile strage di piazza Fontana, un evento che a posteriori e nell’immediatezza delle numerose vicende che racconteremo in questo sito ha rappresentato per molti una sorta di conferma dei tentativi di riportare il nostro Paese su strade già dolorosamente percorse in un passato non troppo lontano.

UN MALESSERE CHE COVA GIÀ NEI «FANTASTICI» ANNI SESSANTA

In realtà, un malessere, che trova le sue radici in un ambito politico, sociale, ideologico, ma anche esistenziale, cova già nei «fantastici» anni Sessanta.

Senza andare troppo indietro nel tempo – per esempio all’opera di marginalizzazione delle avanguardie sindacali più attive all’interno delle fabbriche durante il periodo della Ricostruzione e nei primi tempi del cosiddetto «Miracolo economico» – la cacciata del governo Tambroni, a seguito dei moti di Genova del giugno 1960, e i disordini di piazza Statuto a Torino nel giugno 1962 rappresentano certamente due squilli di tromba di un nuovo protagonismo operaio che sembra andare nel senso di quanto auspicato da importanti padri del pensiero operaista italiano come Raniero Panzieri, Lucio Libertini e Mario Tronti.

Perché se a Genova – città medaglia d’oro della Resistenza – erano stati i «ragazzi con le magliette a strisce», secondo modalità tutt’altro che legali, a opporsi all’ipotesi di un congresso del Movimento sociale italiano, due anni dopo, in quel di Torino, ad agire sul campo in un’ottica fondamentalmente autonoma rispetto ai partiti della sinistra storica – propaggini sindacali comprese – non erano stati i fantomatici «agenti provocatori» citati dal Pci o «giovani ai quali erano state date 1500 lire e sigarette per creare disordini», ma in buona parte operai Fiat o dell’indotto secondo una sorta di incontrollabile «anarchismo sottoproletario» capace di inquietare i tradizionali referenti politici della classe operaia italiana.

Lo scandalo dei fascicoli SIFAR e il conseguente piano «Solo» del generale De Lorenzo, le preoccupazioni per una economia che inizia a dare segnali di frenata già nel 1963, il convegno atlantista organizzato dall‘Istituto di studi militari Alberto Pollio che già a metà anni Sessanta rende chiara, quasi alla luce del sole, una inquietante liaison tra mondo militare ed estremismo di destra contro il «pericolo rosso», l’inusuale esibizione di forza nella parata del 2 giugno 1964 a Roma, di fronte a un Presidente della Repubblica commosso, il «tintinnar di sciabole» evocato da Pietro Nenni, la conseguente formula largamente depotenziata del cosiddetto «centrosinistra» a guida morotea, la inquietante fine del colonnello Renzo Rocca – ex direttore del REI, l’Ufficio Ricerche economiche e industriali del SIFAR «suicidato» nel proprio studio secondo modalità mai chiarite, ecco che gli anni Sessanta italiani appaiono secondo una luce diversa rispetto a quella quasi di senso comune dei film di Alberto Sordi o delle canzoni di Edoardo Vianello.

UNA NUOVA IDEOLOGIA «EGUALITARIA-PERMISSIVA»

L’ultima coda del decennio del «Miracolo economico», poi, si caratterizza per un Paese che sta rapidamente cambiando secondo un processo di laicizzazione e secolarizzazione – con conseguente marginalizzazione della Chiesa cattolica – ravvisabile in piccoli, e in apparenza irrilevanti, fatti di cronaca capaci di far intuire, se letti tutti insieme, una evidente voglia di rottura di schemi ritenuti consolidati e oppressivi: dal caso de «La Zanzara» – il giornaletto di un liceo un po’ snob della buona borghesia milanese nel quale vengono condotte e pubblicate inchieste sui costumi sessuali degli studenti – che si risolverà in un processo (con relativa assoluzione) per stampa oscena e corruzione di minori, fino al Sud più profondo con il caso di Franca Viola che, più o meno negli stessi mesi, si ribella al suo sequestratore dando la stura a una vicenda giudiziaria che rimetterà in discussione norme ritenute di secolare osservanza come il cosiddetto «matrimonio riparatore».

Le prime occupazioni delle facoltà italiane da parte di un movimento studentesco inizialmente concentrato su rivendicazioni di carattere puramente universitario, tracimeranno presto in un proposito di «rivoluzione» della società – in alcuni casi confuso e disordinato, ma almeno fondato su basi teorico-intellettuali più salde del futuro movimento del ’77 – di ridiscussione dei rapporti tra padre e figlio, tra studente e professore, tra uomo e donna, tra sacro e profano secondo una ideologia da qualcuno definita «egualitaria-permissiva», quasi frutto di una «crasi» tra le dottrine provenienti dal blocco del cosiddetto «socialismo reale» e quelle edonistico-libertarie di marca Usa.

GLI ANNI SETTANTA: NIXON, BREZNEV, PAPA PAOLO VI

Il mondo, insomma, cambia rapidamente: usciti di scena Kennedy, Krusciov, Papa Giovanni XXIII, i successori sono personaggi grigi, cupi, da controriforma, che sembrano venire diritti da un film del filone politico-civile tipicamente anni Settanta. Gli americani eleggono Nixon per porre fine all’escalation in Vietnam voluta dal presidente democratico Johnson (a sua volta salito al «trono» della potenza americana all’indomani dell’assassinio di JFK); in Urss, Krusciov viene commissariato da una «troika» dalla quale emergerà Leonid Breznev, il campione della «stagnazione» – ma anche, per alcuni tratti, della «distensione» nei rapporti con l’Occidente – che riaprirà i gulag e gli ospedali psichiatrici per i dissidenti politici, mentre Paolo VI assisterà pressoché impotente alla riforma del diritto di famiglia e alla legalizzazione dell’aborto secondo un rapido processo di secolarizzazione della società italiana e occidentale del quale già si percepiscono i segnali evidenti all’indomani del Concilio Vaticano II.

In Italia la bomba alla Fiera campionaria di Milano del 25 aprile 1969 e quelle sui treni dell’agosto dello stesso anno, il cosiddetto «Autunno caldo» – con le rivendicazioni salariali del settore metalmeccanico – e l’assassinio, nelle stesse settimane, dell’agente Antonio Annarumma in quel di Milano, rappresentano, poco prima del nuovo decennio, il presagio di un contesto che poi si staglierà in tutta la sua chiarezza nel momento in cui si depositeranno le polveri e i detriti proiettati dalla «madre» di tutte le stragi italiane, quella di piazza Fontana. E’ il 12 dicembre 1969, il giorno di un attacco coordinato, a Milano e a Roma, di fronte al quale le autorità politiche e giudiziarie – soprattutto, ma non soltanto in un primo momento – mostreranno quella incredibile inadeguatezza capace di ripresentarsi come una triste constante per tutte le stragi italiane, comprese Ustica e Bologna (la terribile estate del 1980).

SPAZIO 70: UN NUOVO SITO PER UNA FASE FONDAMENTALE DELLA STORIA REPUBBLICANA

In questo sito ripercorreremo dunque una fondamentale fase di storia repubblicana, sistematizzando e ampliando un lavoro ormai decennale che secondo uno spirito di ordinata abnegazione abbiamo portato avanti nel mare magnum del web, secondo un approccio narrativo che comprende anche una parte «pop», di cronaca e costume, senza la quale sarebbe impossibile tratteggiare – e forse provare a comprendere – l’anima, le speranze e le paure dell’Italia che si va trasformando tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta, tra il Sessantotto, l’Autunno caldo, piazza Fontana e gli ultimi fuochi della lotta armata, in un contesto di «riflusso nel privato» che chiude un’intera stagione e almeno un paio di generazioni di italiani impegnati politicamente.

Spazio 70 si dota per la prima volta, dopo un lungo lavoro preparatorio, di un vero e proprio portale, secondo un progetto – già forte di iniziative editoriali, di una presenza costante nel mondo social e perfino nella rete Telegram – verso il quale ci spinge un sostegno forte ormai di decine di migliaia di lettori. Un approccio «creativo», non professorale, ma attento nell’utilizzo delle fonti. Una linea editoriale – la nostra – semplicemente orientata al racconto dei fatti.

Alcuni, volendoci fare un complimento, ci definiscono «imparziali». Si tratta di una definizione errata nella misura in cui può essere confusa con un giudizio di equidistanza. Se l’imparzialità è una illusione, un giudizio di equidistanza – nel caso dei temi da noi spesso trattati – sarebbe quasi offensivo. Di conseguenza, non ci riteniamo né imparziali, né tanto meno equidistanti: allo stesso tempo, però, proveremo come sempre a fare piazza pulita – quantomeno sulle nostre pagine – di mistificazioni (per ragioni politiche o peggio commerciali) o di veri e propri falsi storici. In generale non condivideremo mai l’atteggiamento di chi vorrebbe decidere chi far parlare e chi no, secondo un tentativo, a nostro avviso, ben poco compatibile con una autentica volontà di capire cosa sia davvero successo in questo Paese da piazza Fontana in poi.

«La notte della Repubblica» di Sergio Zavoli, a distanza di trent’anni, rappresenta a nostro avviso ancora un punto di riferimento, probabilmente insuperato, per una indagine laica sugli anni di piombo in Italia. Il racconto degli eventi – scevro per quanto possibile da strumentalizzazioni di carattere politico – e soprattutto le interviste – mai affette da «giustificazionismi» di sorta – hanno rappresentato secondo noi, a livello televisivo, uno dei pochi momenti di indagine e approfondimento sul vero volto della violenza politica in Italia durante il quindicennio lungo che inizia alla fine dei Sessanta.

Insomma, in un mondo dove tutto è ormai soffocato dalla faziosità di ordine elettoralistico, noi, evitando di imporre un nostro punto di vista politico, vogliamo continuare a non prendere in giro i nostri lettori realizzando anzi una sorta di «servizio pubblico» che abbia come oggetto un racconto dei cosiddetti «anni di piombo» basato sui fatti, senza escludere inevitabili ipotesi (d’obbligo, in una materia così complessa) purché supportate da qualche ragione.