Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
Buona lettura e non dimenticare di iscriverti sulla «newsletter» posta alla base del sito. Lasciando un tuo recapito mail avrai la possibilità di essere costantemente informato sulle novità di questo sito e i progetti editoriali di Spazio 70.
«Ma guarda Teodoro… e Gianfranco… e Francesco…». Ogni volta che comincia un telegiornale, in un paio di celle di Rebibbia due bocche si spalancano con divertito stupore. Perché a loro, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, marito e moglie, condannati a diversi ergastoli per diversi omicidi politici commessi durante la loro forsennata avventura contro tutto e tutti tra le file dei Nuclei armati rivoluzionari, la novità fa ancora un certo effetto. Quelli che adesso sono lì, al governo, a trattare di presidenze bicamerali e consigli d’amministrazione, sono proprio i ragazzi con cui sono cresciuti, tra volantini, sprangate, manifestazioni, lutti, passioni, alla federazione romana del Fronte della Gioventù di via Sommacampagna.
«Vedere Storace andare a discutere alla Rai è fantastico», sorride Fioravanti. «Capirà, lo conosciamo da una vita. Insomma: noi ci siamo sparati e lui è lì a trattare sui direttori dei tiggì. Fantastico. Ed è giusto che sia così. Lui ha fatto una scelta, noi un’altra. Lui è al governo, noi in galera». C’era Er Pecora: «Il segretario era lui, Teodoro Buontempo», ricorda la Mambro, «magari uno un po’ rozzo, ma anche una persona che a differenza di altri al partito dava davvero tutto, senza chiedere niente. Più vicino agli emarginati che chiunque altro. Generoso. Sempre disponibile».
C’era Maurizio Gasparri, futuro sottosegretario agli Interni, che non piaceva alle teste calde perché figlio di un ufficiale dei carabinieri. Legatissimo a Gianfranco Fini: «Non è giusto dire che portava la borsa a Fini», scherza Fioravanti, «lui gli portava il cestino fin da quando andavano all’asilo».
C’era Giovanni Alemanno, pure lui futuro deputato, che nel ricordo di Francesca è «un ragazzo che cercava di capire le ragioni degli altri, di quelli della sinistra che la pensavano in modo diverso da noi».
C’era Francesco Storace, fisico da torello, bicipiti d’acciaio e risata torrenziale, sul quale nessuno avrebbe mai scommesso che sarebbe diventato l’ariete scagliato contro il cavallo di viale Mazzini.
E poi c’era lui, Gianfranco Fini. Cosa avete pensato, a vederlo vicino a Clinton?
Mambro: «Mi sono sentita vecchia. Sa, come quei vecchi che sanno come va a finire la storia. Per noi Fini era l’istituzione. Il sistema. Eravamo contro tutti e dunque anche contro di lui. Lui lì era una prova in più che abbiamo sbagliato tutto».
Fioravanti: «Fini è sempre stato un uomo prudente. Allora, in realtà, noi dicevamo che era un vile. Altri tempi. Oggi occorre riconoscere che, forse perché è sempre stato lento a prendere le decisioni, come ha raccontato in un’intervista, è uno che ha fatto meno errori degli altri».
Come maturò la vostra rottura?
Fioravanti: «Il problema del Msi è che ha sempre seguito una linea reducista, revanscista, vittimista. Per cui è vero che nessuno dei suoi ha mai fatto politica per il potere. Ma molti dei giovani che chiedevano di fare politica, non solo di sventolare le bandiere e fare il saluto romano e attaccarsi alle croci runiche, se ne sono andati. Tanto è vero che adesso è sprovvisto di una vera classe dirigente».
Mambro: «Mi sono sentita alla radio i discorsi dei missini alla Camera e al Senato. Valensise… Maceratini… Fini… Da non credere. Adesso sì, fanno politica. E finalmente l’hanno piantata con l’anticomunismo viscerale. Allora erano attaccati al revanscismo, al nostalgismo, a Mussolini, ai simboli… Noi volevamo fare politica e loro erano preoccupati solo di non perdere quelle sacche di voti che consentivano al partito di vivacchiare col quattro per cento. Sembravano paralizzati: la sinistra riusciva a fare politica anche se le Brigate Rosse sparavano. Noi no».
Fioravanti: «Ci fu una fase in cui ci offrirono poltrone, per far rientrare il nostro dissenso. Arrivarono al punto di offrire a Francesca, che aveva 18 anni, di entrare nel comitato centrale. La rottura arrivò dopo Acca Larentia, quando un ufficiale dei carabinieri sparò e uccise un ragazzo amico di Francesca. Beh, c’erano tutti: Almirante, Fini, tutti… Eppure l’unica che voleva denunciare i carabinieri era mia moglie. Una ragazzina. Al partito interessava di più il voto dei carabinieri che quello di noi ragazzi. Quando uscimmo, nei primi tempi la nostra motivazione principale era di punire il partito».
Mai ipotizzata una «spedizione» contro Almirante o Fini?
Fioravanti: «No, non ci pensammo. Strano, no? Sparavamo ai poliziotti per “difendere l’onore della destra”, per dimostrare che la destra non era legata ai servizi e alle stragi, e non abbiamo mai pensato di scaricare il nostro odio su quelli che odiavamo».
Non avete più cercato un contatto con i vostri ex camerati?
Fioravanti: «No. Per orgoglio, forse. Anche se con qualcuno restano rapporti affettivi. Possiamo fare a meno che il Msi ci riconosca come figli degeneri. Ma sarebbe importante per il Msi riconoscerci. Fare i conti con la nostra storia, cominciata con il dissenso “dentro” il Msi. E noi, figli degeneri, dovremmo smetterla di odiare i nostri genitori».
Come la vedete, questa destra vincente?
Mambro: «Beh, fa uno strano effetto. Abituati a essere i reietti della terra… Eppure quello che mi muoveva verso destra era anche il fascino del perdente. Lo stare contro».
Sotto il fascismo avrebbe fatto la partigiana?
Mambro: «Forse sì. Io riconosco l’autorità, non l’autoritarismo. La storia non si fa con i se. Ma certo alcune cose non mi piacciono. Le leggi razziali per me sono una cosa allucinante». Fioravanti: «Lo stesso vale per me. Anche la mia era una scelta “contro”. Io non sono mai stato fascista. Mai. Sono stato un anti antifascista. Perché mio padre, mia madre, mio fratello, erano fascisti. Era il mio mondo e non accettavo che venisse confuso coi servizi segreti, le stragi, l’antisemitismo».
Ma questo sfondamento della destra vi piace o no?
Mambro: «Moltissimi di quelli che conoscevo sono stati eletti. Sono persone perbene. Spero che non deludano chi li ha votati». Fioravanti: «La cosa che più mi ha incuriosito è stato Berlusconi. Ha dimostrato la vacuità della politica. Noi ci siamo scannati su Evola e Trotzkji e alla fine ecco che vincono le massaie. Senza ironia: è stata una grande lezione di democrazia. Perché se ci sono venti milioni di massaie è giusto che le massaie mandino lì Berlusconi. Questa in fondo è la politica: dare più pane a più gente possibile. La battuta più stupida di Almirante è stata: il mio voto vale più di quello di un alcolizzato. Falso».
Ma voi siete ancora di destra?
Mambro: «Ho una storia di destra, questo sì. E finalmente vedo che qualcuno comincia a sforzarsi di capire cosa è successo. Non so cosa voglia dire oggi, essere di destra o di sinistra. Meno male. Stiamo uscendo dagli schemi. Ho scoperto l’importanza di altri valori. Più personali. E a farmi voler bene anche da chi era molto lontano da me. Anzi, anche se alla destra abbiamo fatto perdere un po’ di voti, spero che anche lì ci vogliano ancora un po’ di bene. Spero riescano a riconoscere una cosa: che in fondo, paradossalmente, siamo stati noi ad aprire un dialogo a sinistra, superando la cultura dell’odio».