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«Mi scappa, devo andare al bagno!». La grottesca evasione di Gilberto Cavallini

Redazione Spazio70

Una fuga istintiva, non pianificata, avvenuta in circostanze a dir poco imbarazzanti

Gilberto Cavallini

«È un Ferragosto amaro quello del 1977, una data che ricorderemo a lungo!». Ad affermarlo con grande sdegno è il Presidente del Consiglio dei Ministri Giulio Andreotti, il quale non si esime dall’esprimere pubblicamente la propria indignazione per un evento che sta mettendo in ridicolo, agli occhi dell’opinione pubblica di tutto il mondo, i servizi segreti e quelli di sicurezza dello Stato italiano. Il settantenne Herbert Kappler, criminale di guerra nazista, ex tenente colonnello delle SS, nonché comandante della Sicherheitsdienst, della Sicherheitspolizei e della Gestapo a Roma, è evaso dall’ospedale militare Celio nel quale era ricoverato in precarie condizioni di salute.

Tutti si chiedono come abbia fatto un malato grave, per giunta sorvegliato dai carabinieri, a lasciare l’ospedale. Non è tutto. Meno di ventiquattro ore prima di questo umiliante scandalo internazionale le forze dell’ordine del nostro Paese vengono beffate da un’altra assurda evasione.

Una fuga istintiva, non pianificata, avvenuta in circostanze a dir poco imbarazzanti.

DA PESARO A BRINDISI

«Da un po’ di settimane nel carcere di Pesaro si verificava la salita sul tetto dei detenuti per sollecitare la celebrazione dei processi», racconterà Cavallini diversi anni dopo in tribunale, «e siccome ero in attesa di giudizio per un caso di omicidio, il maresciallo mi riteneva uno dei possibili scalatori del muro per salire sul tetto e dar vita alla protesta. Siccome questo maresciallo era diventato lo zimbello di una città piccolissima e sui giornali locali uscivano ogni giorno notizie dei detenuti che salivano sul tetto, pensò di sbarazzarsi di quelli che potevano innescare questa protesta e mi fece andare in isolamento dicendomi che mi avrebbe fatto trasferire».

«MI VENNE UNA CRISI ISTERICA»

«Io gli sollecitai una cosa sola», continua Cavallini, «gli dissi: “Va bene maresciallo, però io ho solo mia mamma, è vedova da tanti anni, cerchi almeno, nei limiti di quello che può, di farmi andare al Nord e di non farmi finire ancora più lontano.” Lui disse: “Va bene, va bene, ci proverò”. Al mattino arrivò la scorta dei carabinieri ed io istintivamente chiesi al capo scorta: “Allora, dov’è che andiamo?” e questo mi rispose: “A Brindisi!”. Io sono di Milano, mi venne una crisi isterica, ma non nel senso che mi strappai i capelli e mi buttai per terra, nel senso che iniziai ad andare un po’ in escandescenza, mi mettevo nei panni di mia madre che da sola, povera donna, doveva farsi mille chilometri per venirmi a trovare. Insomma, io dopo i primi cinquanta, sessanta chilometri mi calmai, perché ormai era inevitabile e non potevo farci niente. Però contemporaneamente la cosa mi aveva provocato dei disturbi di stomaco per cui mi fermai una prima volta. Insomma, stavo poco bene, stavo per… mi capisce, no? stavo per “rigettare”, diciamo così. La seconda volta il carabiniere che teneva la catena, sa che lungo l’autostrada c’è quel prato che scende, no? Ecco, siccome io mi ero sporcato, lui per evitare di tenermi per la catena la lasciò andare».

SCOMPARSO NEI CAMPI

L’omicidio del giudice Mario Amato

«Come vidi che lasciò andare la catena», conclude il neofascista, «istintivamente, pensando nella mia mente di dover andare in questo carcere così lontano, cominciai a correre, senza una precisa direzione. Non sapevo nemmeno dov’ero, poi mi accorsi dal cartello autostradale che stavo a Roseto degli Abruzzi».

In pochi istanti il giovane detenuto si è lanciato all’impazzata lungo il prato scosceso oltre il guardrail. A nulla serviranno elicotteri e unità cinofile. Per Cavallini dovranno trascorrere sei lunghi anni prima di finire nuovamente nelle mani della giustizia. Dopo aver raggiunto Pescara in autostop approderà a Roma dove risiedono alcuni conoscenti disposti ad aiutarlo. L’evaso stringerà amicizia con i NAR, prendendo parte nel tempo a numerose azioni fino ad assumere un ruolo importante all’interno dell’organizzazione.

Sarà sua la mano che premerà il grilletto contro il giudice Amato il 23 giugno 1980.