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L’evasione di Maria Pia Vianale dal carcere di Pozzuoli (1977)

Redazione Spazio70

Una evasione avvenuta con modalità a dir poco imbarazzanti, come in un «film gangster» anni '50

«È la prima volta che da un carcere italiano evadono delle donne. Si tratta di un fatto gravissimo. Tra l’altro non bisogna trascurare i contraccolpi che potrà avere sul processo ai NAP, per il quale la magistratura già sta subendo notevoli traumi, questa fuga di due imputate». È con queste parole che il magistrato napoletano Pasquale Buondonno, responsabile per gli istituti di prevenzione e di pena presso il Ministero di Grazia e Giustizia, commenta l’evasione delle detenute politiche Maria Pia Vianale (23 anni) e Franca Maria Salerno (25 anni), militanti dell’organizzazione armata di estrema sinistra denominata Nuclei Armati Proletari.

Le due si sono calate giù dalla finestra della propria cella del penitenziario femminile di Pozzuoli durante la notte tra il 21 e il 22 gennaio 1977. Il personale carcerario appura la fuga con estremo ritardo. Sono già passate le 9:00 del mattino quando una vigilatrice nota le sbarre limate e una scritta sulla parete: «PORTARE L’ATTACCO ARMATO AL CUORE DELLO STATO». Nella stessa cella Maria Rosaria Sansica, una terza detenuta politica dei NAP che non ha preso parte all’evasione, si rigira ancora tra le lenzuola. «Non ho visto niente, stavo dormendo» dichiarerà alle autorità carcerarie. I posti letto delle due evase sono invece occupati da alcuni cuscini sistemati sotto le coperte in modo da simulare la presenza di corpi dormienti.

Il Ministro di Grazia e Giustizia dispone immediatamente la sospensione cautelare dal servizio per il direttore del penitenziario, l’avvocato Nicola Macarone Palmieri. Secondo le prime ricostruzioni degli inquirenti l’evasione sarebbe avvenuta con modalità a dir poco imbarazzanti, come in un film di gangster degli anni ’50. Un colpo davvero duro per gli addetti alla sicurezza. Una beffa imperdonabile per i responsabili della casa circondariale, nonostante l’evidente carenza di personale e l’inadeguatezza di una struttura originariamente non adibita alla detenzione carceraria. Tra l’altro gli stessi militanti dei NAP, rifiutando la difesa nel corso dei processi, avevano più volte riferito nei comunicati che avrebbero provveduto loro stessi ad «auto-liberarsi» dalle galere. Nel mese di agosto del ’76 ci era già riuscito il nappista Martino Zicchitella, evaso assieme ad altri undici detenuti dal carcere di Lecce e poi deceduto a dicembre in un conflitto a fuoco.

 

L’AGGRESSIVITÀ DI MARIA PIA VIANALE CONTRO LA CORTE

Ma cosa è accaduto precisamente? Quale è stata la dinamica dell’evasione? Facciamo un passo indietro.

Sono le ore 01:45 del 22 gennaio 1977. Tra le sbarre dell’ex convento di Pozzuoli, poi manicomio giudiziario ed infine penitenziario femminile, Maria Pia Vianale si rivolge ad una guardia nel corridoio, vuole del sonnifero per la compagna di cella: «Sta male, non riesce a dormire, datele qualcosa per favore». Maria Rosaria Sansica ha infatti problemi di salute e a breve gioverà della libertà provvisoria. Dopo aver ottenuto qualche compressa di Bellergil la ragazza copre lo spioncino della cella con un maglione.

Trascorre un’ora e mezza circa in totale silenzio, tutto appare regolare. Il carcere ospita centotredici detenute e vi lavorano oltre cinquanta vigilatrici. Quella notte però, in servizio ce ne sono soltanto tre (quattro sono assenti per malattia). Sei gli agenti di custodia. La sicurezza all’esterno è invece affidata soltanto a una pattuglia dei carabinieri che, di tanto in tanto, compie il solito giro di perlustrazione. A girare nei dintorni però vi è anche un’altra «squadra»: non sono agenti ma militanti dei NAP ed oltre ad essere armati di pistola hanno anche un seghetto affilato e lunghe scale di corda. Il gruppo di giovani accede in silenzio all’area del carcere scavalcando prima la parete di cinta e poi altre pareti interne fino a giungere al pianerottolo sotto la cella che ospita la Salerno e la Vianale, avvalendosi anche di alcune comode impalcature in legno e ferro, fatte posizionare lì alcuni giorni prima dallo stesso personale carcerario per eseguire dei lavori di ristrutturazione. A quel punto, dopo aver fissato le corde con l’aiuto delle detenute, i nappisti si danno da fare in fretta e furia con il seghetto. Una volta liberate le due compagne, i terroristi corrono via attraversando la campagna fino a giungere sulla Domiziana dove ad attendere il gruppo vi è un complice alla guida di un veicolo.

Nel frattempo continua il processo ai NAP iniziato a Napoli nel novembre del 1976 e caratterizzato, fino a quel momento, da grandi disordini in aula provocati principalmente dalla presenza di Maria Pia Vianale, da sempre particolarmente aggressiva verso giudici e avvocati. In un recente dibattimento ha infatti definito «un porco» il Pubblico Ministero, subissando di minacce e insulti anche avvocati di ufficio ed altri membri della Corte. In un clima di uguale tensione dopo la fuga delle due imputate, dinnanzi ai giudici della Corte d’Assise, i militanti dei NAP presenti in aula rivendicano l’evasione leggendo ad alta voce un comunicato:

«Sabato 22 gennaio, alle ore 4 l’organizzazione comunista combattente Nuclei Armati Proletari ha attaccato il carcere-lager di Pozzuoli. L’azione, tendente alla liberazione delle compagne Maria Pia e Franca, militanti dell’organizzazione, si è sviluppata con un attacco coordinato interno-esterno ed ha raggiunto in pieno l’obiettivo fissato» la rivendicazione prosegue affermando che «è solo sulla parola d’ordine “portare l’attacco al cuore dello Stato” che si supera la parzialità delle esperienze di lotta armata e si ricompone l’unità della classe e delle sue avanguardie armate nel partito combattente». Il messaggio è firmato «Colonna Mara Cagol e Martino Zicchitella».

Le due evase saranno arrestate a Roma in data 1° luglio 1977. Nel corso della stessa operazione resterà ucciso il nappista Antonio Lo Muscio, colpito mortalmente dalle raffiche di mitra dei carabinieri.