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Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
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«Perché meravigliarsi per le scene cilene della Sapienza?» Giovanni Spadolini sulle differenze tra ’68 e ’77

Redazione Spazio70

Un intervento del leader repubblicano sul settimanale «Epoca» (1977)

Nulla in comune, in primo luogo, col Sessantotto. La nuova rivolta studentesca non affonda le sue radici nel terreno di una protesta ideologica e intellettuale, come quella che dalle università americane (Vietnam, ecologia, consumismo) dilagò negli atenei europei e costituì una specie di secondo 1848, comune a Berlino, a Parigi e a Milano. Gli elementi di ribellione o di dequalificazione sociale prevalgono su quello che fu l’aspetto fondamentale della prima contestazione: il pacifismo, l’umanitarismo, il ritorno alla natura violata dalla società industriale. Non a caso questa rivolta studentesca è partita, diversamente dal 1968 (che vide Milano al centro) dagli atenei meridionali, i più poveri e affollati, i più gravati dalle ombre della disoccupazione intellettuale.

UN SOTTOPROLETARIATO INTELLETTUALE CARICO DI RANCORE E ANIMOSITÀ SOCIALE

Alle radici del moto c’è una protesta interna che salda settori del corpo docente a larghi strati degli studenti: è quella dei docenti precari. I “contratti” stanno per scadere; molte migliaia di giovani studiosi nutrono e trasmettono un sentimento di frustrazione, di insoddisfazione, di paura. Su questo dato si innesta il senso di angoscia che caratterizza moltissimi giovani rispetto ai difficilissimi sbocchi occupazionali del futuro: con una variazione sociale significativa, che sostituisce ai “figli di papà” del ’68 studenti che provengono dai ceti più poveri e da nuclei socialmente “emarginati”, i più danneggiati dall’inflazione devastatrice. E’ un autentico “sottoproletariato intellettuale” che si delinea all’orizzonte, carico di rancori e di animosità sociali. Salvatorelli avrebbe parlato di “quinto stato”: fu in quel settore, di disoccupati, di frustrati, di reietti, che il fascismo delle origini reclutò le sue leve principali. Altri parlano di una “Reggio Calabria di sinistra”: un’immagine efficace e rivelatrice.

UNA RIVOLTA CHE PREVALE CONTRO TUTTO E CONTRO TUTTI

Il colore politico non è rilevante né spesso significativo. C’è una rivolta al “sistema” che coinvolge in pieno il partito comunista. Ci sono i residui, deteriori, dell’irrazionalismo che accompagnò anche momenti e fasi della prima contestazione ma con l’aggravante di una violenza molto simile alla criminalità comune. L’extraparlamentarismo di sinistra (e in qualche frangia anche di destra) conta, almeno come radice, come origine; ma i fatti gravissimi dell’università di Roma, culminati nell’aggressione a Lama, hanno dimostrato che la componente maggiore del nuovo movimento è data dai “collettivi autonomi” in cui perfino la genesi extraparlamentare si dissolve, in cui prevale la rivolta contro tutto e contro tutti. Con accenti anarchici, in cui si inserisce la provocazione. E’ un aspetto della generale crisi di degradazione che investe le strutture pubbliche del nostro Paese. Lo “Stato assistenziale”, lo Stato dell’Egam e della Gepi, non ha risolto certo tutti i nostri problemi garantendo in perpetuo il posto agli “occupati”. Avanzano fasce di inoccupati e di inoccupabili, che rompono ogni compromesso, che lacerano ogni equilibrio. Non a caso la rabbia è più grave nelle facoltà umanistiche: dove le prospettive di impiego appaiono ancora più difficili. Chi può pensare di sistemarsi nei ruoli dell’insegnamento medio, dopo che gli organici sono pieni, anzi, strapieni, per un lungo numero di anni? Un disegno riformatore organico si impone, ma non può riguardare solo le strutture didattiche (altro che la vecchia polemica su docente “unico o plurimo”). La riforma dell’università va inquadrata nella riforma delle istituzioni pubbliche del Paese e in un minimo di programmazione e di patto sociale. Ecco perché è stato un errore presentare un provvedimento sull’occupazione giovanile, svincolato da ogni nesso con le riforme scolastiche. Si continua a procedere a pezzi e bocconi, per interventi settoriali e frammentari, poi ci si ritrova di fronte alle scene cilene dell’ateneo romano. Perché meravigliarsi?