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Prima Linea uccide Carmine Civitate

Redazione Spazio70

Civitate era stato ingiustamente sospettato di aver allertato la polizia nell'episodio della morte dei militanti «Carla e Charlie»

Torino, 18 luglio 1979. Sono da poco trascorse le 18:00 quando una Renault marrone con quattro persone a bordo accosta in prossimità del civico 340 di via Paolo Veronese. Da quella vettura con targa francese scendono due giovani a volto scoperto. Indossano entrambi dei camici da lavoro di colore blu e si dirigono spediti verso il Ristorante Bar Dell’Angelo. A servire i clienti all’interno della struttura c’è Francesca, ventisette anni, moglie del gestore. I ragazzi ordinano due amari e si guardano attorno tra i tavolini alla ricerca del signor Carmine, il titolare dell’esercizio.

TRE COLPI MORTALI

Trentanove anni, calabrese, papà di due bambini di quattro e cinque anni, l’ex camionista Carmine Civitate ha da poco realizzato il suo sogno di aprire un’attività in proprio. Sta facendo ritorno al suo locale dopo aver consegnato una birra e due caffè in un edificio nelle vicinanze. Appena rientrato non fa neppure in tempo ad appoggiare il vassoio sul bancone, i due si alzano in piedi, uno di loro estrae una pistola dalla tasca e spara a distanza ravvicinata. Tre colpi mortali: uno alla tempia e due al cuore. Civitate cade in una pozza di sangue tra le grida dei clienti e sotto gli occhi increduli della moglie. Gli assassini sono Marco Donat Cattin e Maurice Bignami, militanti di Prima Linea. Dopo aver portato a termine il delitto i terroristi fuggono con la vettura che li attende all’uscita. Pochi minuti più tardi la redazione dell’Ansa riceve la prima telefonata di rivendicazione: «Qui Prima Linea. Il gruppo di fuoco dell’organizzazione ha giustiziato il boia Villari. Onore al compagno Matteo Caggegi e alla compagna Barbara Azzaroni».

«Guarda che l’uomo che avete ucciso non si chiama mica Villari», risponde il giornalista.

«FORSE ABBIAMO SBAGLIATO COGNOME, MA LUI È QUELLO»

«È il padrone del bar. Forse abbiamo sbagliato cognome, ma lui è quello», replica il terrorista prima di agganciare la cornetta. Villari è il cognome del precedente proprietario del locale, ma i terroristi diranno che hanno agito cercando proprio Civitate. Una seconda rivendicazione al quotidiano La Stampa ribadisce le intenzioni di Prima Linea.

Seguono altri comunicati. Su un foglio dattiloscritto consegnato alla redazione si può leggere quanto segue: «Un gruppo di fuoco dell’organizzazione comunista “Prima Linea” ha giustiziato la spia e delatore Carmine Civitate, corresponsabile dell’agguato, dell’uccisione premeditata dei compagni Barbara Azzaroni (Carla) e Matteo Caggegi (Charlie). Questo trattamento sarà riservato a tutti coloro che partecipano in prima persona alla campagna di annientamento delle organizzazioni comuniste combattenti, dei militanti del combattimento proletario».

Secondo gli assassini Civitate sarebbe stato colpevole di aver chiamato la polizia in data 28 febbraio, quando Barbara Azzaroni e Matteo Caggegi si erano incontrati nel suo locale per discutere gli ultimi dettagli di un’imminente operazione contro la sede del consiglio circoscrizionale di Madonna di Campagna. All’arrivo delle forze dell’ordine nacque un conflitto a fuoco che culminò con la morte dei due terroristi e con il ferimento di un agente di polizia.

In realtà quel giorno ad allertare le forze dell’ordine fu il proprietario della vicina tabaccheria, insospettito dall’acquisto di due maschere di carnevale (in quaresima) da parte dei giovani terroristi.