logo Spazio70

Benvenuto sul nuovo sito di Spazio 70

Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
Buona lettura e non dimenticare di iscriverti sulla «newsletter» posta alla base del sito. Lasciando un tuo recapito mail avrai la possibilità di essere costantemente informato sulle novità di questo sito e i progetti editoriali di Spazio 70.

Buona Navigazione!

Il confronto tra Freda e Giannettini. L’autodifesa di Ventura

Redazione Spazio70

L'ottava parte di una serie di articoli di approfondimento sulla strage di piazza Fontana

A Catanzaro anarchici e neofascisti tardano ad essere giudicati. Il maxi-processo unificato viene interrotto con l’avvento del nuovo imputato Guido Giannettini, il cui accesso al banco degli imputati determina un ulteriore rinvio delle udienze. Il dibattimento riprenderà nel gennaio del 1977, ma nel frattempo si verificano nuovi colpi di scena destinati a influenzare lo svolgimento del processo. Davanti ai giudici di Catanzaro non dovranno sedere soltanto due schieramenti opposti dell’estremismo politico. In qualità di imputati, saranno tenuti a rispondere alle domande della corte anche illustri esponenti dei servizi segreti italiani. Nel marzo del 1976 vengono arrestati anche il generale Gianadelio Maletti (ex capo dell’ufficio D del SID) e il suo braccio destro, il capitano Antonio La Bruna. Le accuse sono di favoreggiamento aggravato e falso ideologico in atto pubblico. Nello specifico, i militari sono accusati di aver aiutato Guido Giannettini a espatriare, di aver agevolato la latitanza di Marco Pozzan e di aver pianificato l’evasione, mai portata a termine, di Giovanni Ventura dal carcere di Monza. Ma il rinvio a giudizio di alti funzionari della difesa non rappresenta l’unico elemento destinato a suscitare scalpore nell’opinione pubblica. Al processo di Catanzaro, in qualità di persone informate sui fatti, siederanno anche alte cariche dello Stato. Politici di grande rilievo, come il Presidente del Consiglio dei Ministri Giulio Andreotti. Un evento unico e senza precedenti nella storia della Repubblica Italiana. Sovversivi, anarchici, neofascisti, agenti dei servizi segreti, parlamentari, militari, giornalisti, tutti seduti nella stessa aula. Tutti al cospetto della stessa corte. E mentre mille storie si intrecciano perdendosi nei meandri oscuri e labirintici di gravosi faldoni giudiziari, il crudele eccidio di Piazza Fontana diviene un ricordo sempre più flebile e sbiadito.

«NON HO MAI FATTO IL GIOCO DI CHI PORTA LE MOSCHE AL RAGNO»

È il febbraio del 1977. Franco Freda nel frattempo è stato ammesso alla libertà provvisoria assieme a Giovanni Ventura. Dinnanzi alla corte presieduta dal giudice Pietro Scuteri, il procuratore legale padovano continua a ribadire con fermezza la propria estraneità in merito ai fatti a lui contestati. Circa il ruolo di Giannettini per conto del SID, il Freda afferma di esserne venuto a conoscenza nel 1974 attraverso la stampa e di non aver mai ricevuto dal giornalista in questione i famosi rapporti informativi. Sempre tramite i giornali, l’imputato neofascista avrebbe avuto notizia dell’attentato all’Università di Padova, sottolineando di non conoscerne i mandanti né tantomeno gli esecutori materiali di tale operazione terroristica. Freda nega ogni addebito anche per gli ordigni di Milano e Torino e per gli attentati ai treni. In merito alle bombe del 1969, la linea del padovano è unica e irremovibile: «Di questi attentati, io non so nulla!».

Durante il confronto in aula con il Giannettini, Freda reputa menzognera una dichiarazione fatta in sede istruttoria dall’ex cronista de «Il Secolo d’Italia». Giannettini, aveva esplicitamente affermato di essere giunto a Padova con un aereo pagato dal SID a seguito di alcune rivelazioni di Freda, il quale avrebbe parlato della possibilità di mettere le mani su un deposito di armi di un gruppo marxista-leninista. Tale operazione sarebbe poi rimasta relegata all’astratto dominio delle ipotesi e mai più portata a termine. Franco Freda, l’ideologo del «fronte comune antiborghese», non ci sta a essere considerato un collaboratore dei servizi segreti.

«Giannettini conosce benissimo le mie idee, le idee che nutrivo allora sulla necessità di una unità operativa, di un’unità d’azione tra coloro che respingevano il sistema, superando i limiti dell’equilibrio sia a destra che a sinistra. Sa benissimo che io ho cercato di teorizzare questa posizione. Quindi evidentemente Giannettini ritiene e vuol far ritenere, affermando una menzogna del genere e la afferma con notevole imprudenza, che io facessi il gioco di chi porta le mosche al ragno. Il ragno sarebbe il governo. Quindi io, secondo Giannettini, avrei dato la possibilità a questo sistema che disprezzavo e che disprezzo, di individuare un deposito di armi di miei… secondo le mie utopie se si vuole, di miei potenziali alleati o comunque di avversari che come me conducevano una lotta contro questo sistema».

Nell’agosto del 1969, intervenendo a Ratisbona in una riunione del comitato di reggenza del Fronte Europeo Rivoluzionario, Freda tiene un discorso che verrà poi pubblicato in un saggio a cura della propria casa editrice (Edizioni Ar) dal titolo «La disintegrazione del sistema», un testo rivoluzionario nel contesto neofascista poiché rompe con le nostalgie legate al ventennio e auspica la creazione di uno «Stato popolare» per certi aspetti non dissimile dal comunismo asiatico ma in un contesto di valori tradizionali tipici della destra evoliana con evidenti rimandi alla Repubblica di Platone.

La risposta del giornalista non lascia spazio a dubbi o perplessità:

«Confermo quanto ho già detto e devo sottolineare che Freda solo ora parla di queste sue… le ha chiamate “utopie”, circa una potenziale collaborazione tra la destra e la sinistra contro il sistema. A quel tempo almeno con me non teneva affatto questo linguaggio (…) considerava avversari tanto le sinistre quanto il governo».

E ancora, Freda:

«Queste affermazioni del Giannettini nemmeno credo si possano definire bugie, rientrano nella sua tattica del “bacio del lebbroso” evidentemente, lui attribuisce a me la sua astuzia e la sua abilità indubbia di mistificazione. Giannettini sa benissimo che la mia preoccupazione come politico allora era quella di impedire che questi gruppi (…) usciti secondo me fuori dall’equilibrio della sinistra del sistema non venissero di nuovo fagocitati all’interno di questo sistema in nome di questa union sacrée, di questa unità d’azione antifascista. Quindi semmai la mia preoccupazione come osservatore politico era quella di contribuire, dopo aver analizzato il fenomeno, a rettificare questa specie di distonia dal mio punto di vista ideologico. Infiltrare degli elementi significa inserire in un organismo estraneo degli elementi con una funzione di provocazione, quasi degli enzimi che scatenino una certa reazione per danneggiare questi organismi. Ora, io non ho mai avuto nessuna intenzione di aprirmi a prospettive del genere. Giannettini lo sa benissimo, conosce benissimo la composizione umana e il grado di sensibilità politica di questi gruppi oltranzisti di sinistra, ora invece dalle sue affermazioni pare che li ritenga talmente imbecilli da rimanere inerti di fronte a una qualsiasi opera di pretesa infiltrazione a livello di provincia».

«DICHIARO LA MIA ESTRANEITÀ A OGNI EPISODIO DI EVERSIONE ANTIDEMOCRATICA»

Diametralmente opposta è invece la posizione di Ventura. In precedenza l’editore di Castelfranco Veneto aveva già ammesso il proprio coinvolgimento in attività eversive facenti capo all’avvocato padovano, al quale addebitava la teorizzazione della violenza come strumento politico di lotta. Secondo Ventura, Freda avrebbe preso parte a una riunione tenutasi a Padova nella primavera del 1969 durante la quale sarebbero state poste le basi per un piano politico operativo. La difesa dell’editore di Castelfranco Veneto poggia proprio sul ruolo di Guido Giannettini. Secondo questa tesi, Ventura si sarebbe infiltrato negli ambienti della destra eversiva al fine di raccogliere informazioni da consegnare a Giannettini che a sua volta le avrebbe fatte pervenire a chi di dovere all’interno del SID. La linea difensiva di Ventura si concretizza dunque in un’argomentazione che definisce sé stesso impegnato in un’operazione segreta al servizio dello Stato e della democrazia. A differenza di Freda, Ventura in aula decide di avvalersi della facoltà di non rispondere, limitandosi a leggere dinnanzi alla corte una sua dichiarazione scritta:

«Dichiaro la mia completa estraneità a ogni episodio di eversione antidemocratica. A ogni imputazione per fatti di terrorismo politico. A ogni addebito di concorso ideativo, associativo, organizzativo ed esecutivo nei medesimi. Rivendico il diritto costituzionale di essere considerato innocente fino a sentenza definitiva e di essere giudicato nel rispetto del principio secondo cui la responsabilità penale è personale. Chiunque alteri le proporzioni di una dialettica processuale ancorata a questi principi, chiunque confonda la mia strumentale imputabilità con la mia pretesa colpevolezza, compie atti di violenza e di squadrismo intellettuale. Se oggi si indaga in modo determinato e probatoriamente fondato sulla responsabilità del servizio di sicurezza e del suo personale militare, lo si deve oggettivamente alle aperture istruttorie che io consentii».

Gli argomenti a sostegno di questa teoria iniziano presto a vacillare, proprio grazie all’impostazione difensiva di Giannettini. Le dichiarazioni dell’ex cronista de «Il Secolo d’Italia» si ripercuotono irrimediabilmente sulla difesa di Ventura: «Non dissi mai dei mei accordi con il SID». E ancora: «Nego di aver mai dato a Ventura l’autorizzazione a compromettersi personalmente in qualche azione dimostrativa e nego anche che Ventura mi abbia mai chiesto una simile autorizzazione». Secondo Giannettini, sia Freda che Ventura per anni non seppero nulla della sua attività di informatore e a rivelare tale notizia ai neofascisti veneti, nella metà del 1972, sarebbe stato Massimiliano Fachini che a sua volta venne a conoscenza di tale notizia dal capitano Labruna, circostanza più volte smentita dai militari imputati.