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Indiani Metropolitani, chi sono e cosa vogliono (1977)

Redazione Spazio70

Da un'inchiesta di Marco Nese per il Corriere d'Informazione (24 febbraio 1977)

Non credono in nessun uomo politico, ai comizi sbeffeggiano gli oratori gridando «sce-mo, sce- mo». Sono di sinistra ma dicono cose feroci a comunisti («PCI e polizia vi cacceremo via») e sindacati («In Cile i carri armati, in Italia i sindacati»). Predicano una vita nuova, gioiosa, all’insegna dello slogan «Geronimo, Kocis, Nuvola Rossa, tutti i giovani alla riscossa».

Sono gli Indiani Metropolitani, i nuovi crociati della «rivoluzione totale» che, mescolando politica e goliardia, vogliono rilanciare la contestazione in una chiave assolutamente inedita. L’impresa che li ha portati alla ribalta è stata la ormai storica cacciata di Lama dall’Università. «Noi però», si affrettano a precisare «non ci siamo abbandonati alla violenza: la respingiamo. Abbiamo sconfitto Lama con la nostra arma prediletta: l’ironia. Lui si sgolava e noi, urlando più forte nei megafoni, rispondevamo con un contro-comizio satirico. Alla fine lo abbiamo annegato sotto un’ondata di “Sce-mo, sce-mo”. Tribuni della plebe non ne vogliamo. La vita, la politica e tutto ciò che ci riguarda ce lo conquistiamo da soli».

I FIGLI ILLEGITTIMI DEL MOVIMENTO HIPPIE

Allegri e beffardi, gli Indiani si stanno guadagnando un seguito enorme tra i giovani. Marciano in testa ai cortei con i volti dipinti come autentici Apaches, forniti di tamburelli, campanacci, fantasiosi abbigliamenti multicolori, sacchetti di vernice ed estintori da spruzzare, come hanno fatto con Lama.

Nella ricca gamma dei gruppi di arrabbiati si presentano come i figli illegittimi del movimento Hippie, dei contestatori pacifici, e si riallacciano direttamente agli Uccelli, uno stravagante gruppo nato a Roma nel ’68. Ma perché si sono ribattezzati Indiani Metropolitani? Perché provengono da quell’immensa nebulosa di quartieri-ghetto che ruota attorno alla capitale. Sono figli di proletari che hanno studiato e ora si agitano in preda alla frustrazione, senza lavoro, senza prospettive, senza speranza di uscire dai ghetti e dall’emarginazione. E così hanno deciso di lasciare le «riserve», dissotterrare l’ascia di guerra e marciare contro i bianchi oppressori. Come gli indiani, appunto. L’unica differenza è che le riserve degli indiani erano nella prateria, quelle dei moderni Toro Seduto si trovano ai margini delle città, di qui l’appellativo di Metropolitani.

Per ora non costituiscono un «movimento autonomo»: sotto l’etichetta di indiani si riconoscono gruppi sempre più folti di militanti del Manifesto, Lotta Continua e Avanguardia Operaia. Il fenomeno sta mettendo radici anche a Milano.

«VOGLIAMO PRENDERCI TUTTA LA CITTÀ»

Cosa vogliono?

«Chiediamo l’impossibile», dice una scritta sui muri dell’università. «Nel senso che le nostre pretese non possono trovare soddisfazione in questa società – spiega Kocis (niente nome di battesimo!), uno spilungone biondo – Dobbiamo costruirci tutto con le nostre forze».

Il loro credo è racchiuso in una lettera indirizzata al ministro degli interni Cossiga (loro scrivono Kossiga, con la kappa). Dopo l’ostilità mostrata a Lama, Cossiga ha minacciato di «usare le forze dell’ordine e della legalità» contro gli indiani.

«Ci ha assimilati disinvoltamente ai gruppi violenti» si indignano, e replicano: «Caro Kossiga, vorresti ricacciarci nelle riserve che ci avete costruito, nei ghetti della nostra emarginazione… Ma ormai non è più possibile; perché è proprio da questo che è esplosa la nostra ribellione. Non è più possibile perché mai come in questi giorni il popolo degli uomini ha ritrovato se stesso, la sua forza, la sua gioia di vivere collettivamente, la sua rabbia e la sua sete di comunismo».

La lettera prosegue: «Torneremo nell’università perché vogliamo prenderci tutta la città, perché vogliamo trasformare le nostre riserve, i quartieri ghetto, nei covi eversivi che nessuno potrà mai chiudere perché un popolo non può essere messo fuorilegge. L’emarginazione a cui ci avete costretti è diventata la nostra forza rivoluzionaria e la chiave della nostra rivolta! Ministro Kossiga, accettiamo la tua dichiarazione di guerra ricordandoti che la nostra ascia l’abbiamo dissotterrata già da molte lune. Sappi che impegneremo tutte le nostre forze, tutta la nostra fantasia, affinché la battaglia contro te e il governo che ti ha incaricato di reprimerci si trasformi nella guerra per la disfatta totale della tua sporca razza. Finché l’erba nascerà sulla terra, finché il sole scalderà i nostri corpi, finché l’acqua ci bagnerà e il vento ci soffierà nei capelli non sotterreremo mai l’ascia di guerra!».

«Sul piano politico – afferma Nuvola Bianca, una squaw del quartiere Centocelle col volto accuratamente dipinto – rifiutiamo collegamenti con qualsiasi organizzazione tradizionale. I partiti hanno dato alla vita una patina di insopportabile aridità, l’hanno sospinta nel vortice di una lotta estenuante, fratricida. Noi vogliamo restituire all’esistenza il sapore della gioia, della fantasia».

Assimilati in un primo momento ai gruppi autonomi, gli indiani negano di avere nulla a che fare con loro. Anzi, esercitano nei loro confronti la stessa ironia usata contro Lama, ridicolizzando la pretesa degli autonomi di rinnovare la società attraverso la violenza. Pochi giorni fa gli indiani hanno infatti inscenato (in polemica con i gruppi che devastano e razziano negozi) un falso esproprio. Penetrati nell’atrio di un albergo del centro (l’Hotel Palatino) si sono messi a ululare. Poi, improvvisata una danza indiana, gridavano agli spauriti clienti e camerieri che stavano per effettuare un «esproprio». I presenti erano già preparati a vedersi rapinare i portafogli. Invece hanno assistito esterrefatti a un imprevedibile epilogo. Gli Indiani hanno afferrato una pianta di ficus e, brandendola come un trofeo, se ne sono andati.