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Suspiria, la svolta visionaria di Dario Argento (1977)

Redazione Spazio70

Il primo capitolo della trilogia argentiana delle Tre Madri

«Non chiedetemi come sarà il film, posso soltanto dirvi che terrà svegli tutti, sarà il più terrificante fra tutti i miei film. Sarà bellissimo! non scherzo! ho impiegato quasi due anni per prepararlo ed ora sono convinto di riuscire a preparare un buon lavoro. Non dico niente della trama non per scaramanzia, ma perché se domani dovessi leggere qualcosa su un giornale non sarei più capace di filmare la situazione. Posso soltanto anticipare un particolare tecnico riguardante la realizzazione. Nelle riprese di Suspiria tenterò di rifarmi ai colori degli anni Quaranta, quando si giravano i primi film a colori. Niente sfumature tenui come si usa oggi, ma toni accesi. Mi piacciono i colori della televisione perché inventati: non sono creati dal sole ma dall’elettronica».

È con queste parole che il regista Dario Argento si concede rapidamente ai giornalisti poco prima di lasciare Roma. Siamo nel luglio del 1976 e uno dei più noti protagonisti del thriller italiano si sta recando in Germania per dare inizio alle riprese del suo nuovo lungometraggio: Suspiria, sesto lavoro a produzione familiare (di Salvatore e Claudio Argento) ma stilisticamente lontano dagli esordi “parahitchcockiani” di sei anni prima. Dopo il successo di Profondo rosso (1975), efficace opera ibrida che costituisce una visibile transizione dal giallo-thrilling delle origini all’orrore vero e proprio, il giovane cineasta romano si cimenta con un horror surreale registicamente impegnativo, poiché totalmente incentrato sulla capacità espressiva di immagini, luci e colori.

UN ENIGMATICO GIOCO DI LUCI COLORATE

La trama di Suspiria, infatti, non brilla per originalità: Susy Benner è una giovane studentessa americana di danza classica giunta a Friburgo per perfezionare la propria tecnica in una prestigiosa Accademia. Quella scuola si rivelerà teatro di misteriosi ed efferati delitti ad opera di oscure forze soprannaturali guidate da una perfida strega. I personaggi appaiono tutti piuttosto deboli e la sceneggiatura, a onor del vero, non offre momenti memorabili. La pellicola è interamente trainata dal corretto utilizzo di una macchina da presa capace di districarsi sapientemente tra gli orpelli gotici di un apparato scenografico impeccabile, valorizzando l’efficacia evocativa degli arcani allestimenti di Giuseppe Bassan con lenti anamorfiche e luci ad arco magistralmente orchestrate da Luciano Tovoli, dando vita così ad un’atmosfera che fonde insieme incubo e fiaba, fantasia e orrore, magia e morte.

L’occhio dello spettatore è costantemente sedotto da un enigmatico gioco di luci colorate: un’orgia cromatica di tinte iper-sature, irreali, quasi psichedeliche, che proiettano la vicenda in una dimensione onirica, facendo di quell’Accademia di danza il non luogo atemporale nel quale fluisce la fascinosa irrazionalità di un sogno macabro. Con questo film Argento dimostra di aver fatto tesoro della lezione visiva di un grande esteta del terrore, Mario Bava, che pur non prendendosi mai troppo sul serio, negli anni ’60 realizzò una serie di autentici capolavori aventi come fiore all’occhiello proprio quel poetico gioco di eccessi, nella direzione della fotografia, che sembra in parte rivivere nei cromatismi di quest’opera argentiana. Non a caso il Maestro Bava collaborerà in prima persona (anche se non accreditato) nel successivo Inferno (1980), secondo capitolo della saga.

Suspiria è dunque un’opera visionaria, un suggestivo gioco di geometrie, suoni, colori e visioni che omaggia chiaramente le incisioni di Maurits Escher, l’espressionismo e la tradizione estetica del glorioso cinema gotico italiano. Accanto agli ammalianti allestimenti scenografici di Bassan e all’attenta fotografia di Tovoli, tra i punti forti del primo capitolo della trilogia argentiana delle madri spicca un altro elemento fondamentale: il prog «allucinato» della colonna sonora firmata Goblin.

«LA GENTE DEVE AVVERTIRE CHE C’È SEMPRE QUALCOSA DI SPAVENTOSO»

Inciso nel 1977, Suspiria è il terzo lavoro discografico della band e ne rappresenta forse l’operato più conosciuto e apprezzato al mondo. Claudio Simonetti (tastiere), Massimo Morante (chitarre), Fabio Pignatelli (basso) e Agostino Marangolo (percussioni) svolgono un ruolo particolarmente importante nello svolgimento del film. Reduci da Roller (1976) un disco strumentale non cinematografico ma che nel 1978 si ritroverà comunque a prestare alcune tracce al cinema (vedi Wampyr e Patrick), il famoso quartetto del terrore con Suspiria realizza un’opera particolarmente innovativa, sperimentale e fascinosa, con brani estremamente magnetici, a tratti addirittura ipnotici, in perfetta sintonia con le suggestioni magico-esoteriche della pellicola.

Sotto la supervisione dello stesso Argento i Goblin operano un’efficace commistione etnico-elettronica ricorrendo anche all’utilizzo di un particolare strumento a corda, il bouzouki greco, che assieme alle voci sinistre e al ricco assortimento di percussioni africane contribuisce ad immergere le sequenze in quel vortice ossessivo di suoni che non dà tregua allo spettatore: «Dario ci ha detto che, anche se non sta succedendo niente, la gente deve sempre avvertire che c’è qualcosa di spaventoso, di magico…» affermerà in un’intervista Claudio Simonetti.

Uscito nelle sale all’inizio del 1977 il film si piazza 11° nella classifica della stagione 1976-1977 incassando 1.430.000.000 di lire dell’epoca.