logo Spazio70

Benvenuto sul nuovo sito di Spazio 70

Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
Buona lettura e non dimenticare di iscriverti sulla «newsletter» posta alla base del sito. Lasciando un tuo recapito mail avrai la possibilità di essere costantemente informato sulle novità di questo sito e i progetti editoriali di Spazio 70.

Buona Navigazione!

Il fenomeno del guardonismo nei primi anni Ottanta. Gli «indiani» e il mostro di Firenze

Paolo Cochi

«Io non ho paura, perché questo tizio che uccide non è legato ad una catena. Voglio dire che è solo e, una volta preso, non c'è più pericolo. Voglio dire che non si tratta né di 'ndrangheta né di camorra. Voglio dire che non si tratta di persone organizzate perché, a questo punto, qualcuno si sarebbe sputtanato» (Fosco F.)

Venivano chiamati Indiani , «quelli a cui piace guardare». Popolavano le campagne fiorentine di notte. La storia del mostro non è stata semplicemente una drammatica vicenda di cronaca nera, ma anche una storia socialmente dirompente che, oltre a cambiare le abitudini delle coppie d’innamorati degli anni Ottanta, ha portato alla luce realtà snobbate dalla sociologia mediatica per ragioni di buona «moralità pubblica». Il «guardonismo», ovverosia quel voyeurismo organizzato che consiste nello spiare le coppie appartate in auto in intimità, è uno dei fenomeni che più drammaticamente si intreccia alla vicenda del mostro di Firenze.

Nel giugno 1981, quando ormai il delitto di Borgo San Lorenzo era finito nel dimenticatoio come caso insoluto, il mostro tornò a colpire a Scandicci (località Mosciano), escindendo per la prima volta il pube della vittima femminile. Il collegamento con il bruto assassino del Mugello di quasi sette anni prima fu immediato e i bossoli lasciati dall’arma tolsero ogni dubbio: la mano era la stessa, quella di un maniaco cacciatore di coppiette, definito tecnicamente come serial killer.

UN GUARDONE BEN ATTREZZATO E UN ALTRO PIÙ IMPROVVISATO

La Fiat Ritmo di Giovanni Foggi

7 giugno 1981, domenica. Alle ore dieci di mattina un brigadiere, durante una passeggiata col proprio figlio in località Villa Bianchi a Scandicci, nota un’auto Fiat Ritmo color rame con vetro anteriore sinistro frantumato; a poca distanza, una borsetta da donna e oggetti personali per terra. Avvicinandosi nota che vi è un ragazzo privo di vita al posto di guida: si scoprirà essere Giovanni Foggi. Non vede il corpo di Carmela De Nuccio, la fidanzata di Foggi, celato all’altro lato della strada nella vegetazione, e si reca subito al bar più vicino in Piazza di Vingone dove chiama il 113 per informare del fatto. Dopo cinque minuti al bar arriva una volante con due funzionari: con loro il brigadiere ritorna sulla piazzola, dove gli agenti finalmente rilevano anche la presenza del corpo della giovane ragazza sotto il ciglio della strada sterrata. Successivamente vengono raggiunti dalla Squadra Mobile con il funzionario e il magistrato di turno. Intanto alle ore 10:15 si presentano in stazione le famiglie dei due ragazzi per denunciarne il mancato ritorno alle rispettive abitazioni. E’ in questo momento che il Comando viene informato del rinvenimento dei due corpi.

Di quanto avvenuto in quella tragica notte sembrano a conoscenza due tizi che bazzicano nella zona ormai da diverso tempo: Enzo S. di Montelupo Fiorentino, trentasei anni, e Fosco F. di Scandicci, quarantotto anni. Il primo è un guardone ben attrezzato, gira munito di torcia e registratore tascabile per registrare gli amplessi delle coppie, annota targhe e abitudini, è stato sorpreso e minacciato più volte. Il secondo si dichiara più improvvisato e interessato principalmente alle coppie mature, perché «più espansive e rumorose», ma anche lui ha ricevuto minacce in passato: una volta l’hanno addirittura speronato fino a farlo finire con l’auto in un fosso.

Ma quanto sanno questi due amici del terzo delitto del cosiddetto mostro di Firenze?

Cosa possono aver visto?

Torniamo indietro di qualche ora.

«I GUARDONI NON POTEVANO PIÙ STARE TRANQUILLI, ERA FINITO IL DIVERTIMENTO»

6 giugno 1981, sabato. Ore 22,45. Guido, poliziotto, a bordo di una Fiat 500, percorrendo via di Mosciano fino a Pian dei Cerri si ferma al ristorante La Cesira per quindici minuti e poi riparte imboccando via dell’Arrigo dopo la Taverna del Diavolo. Ore 23:00 / 23:30. Durante il tragitto, in via delle Croci sopraggiunge l’auto di Enzo S. diretta verso il luogo del delitto. Il testimone è costretto anche a fermarsi per consentire il passaggio della Ford Taunus arancione di Enzo. L’incontro avviene a circa due chilometri di distanza dalla scena del crimine, secondo le verifiche degli inquirenti. Il giovedì successivo Guido si presenta in Questura segnalando modello e iniziali della targa. Il testimone già conosceva quell’auto Taunus in quanto il proprietario in passato era stato sorpreso da alcuni suoi amici mentre spiava delle coppie. Lo aveva anche già visto personalmente in via di Marciola e in via San Michele. Questa segnalazione inchioda Enzo vicino alla scena del crimine e in orario compatibile.

L’orario fornito da Guido è avvalorato dalle dichiarazioni rese a verbale dalla fidanzata, dai genitori e dai proprietari del locale.

12 giugno 1981, venerdì. Fosco F. viene interrogato. Ammette subito di essere un guardone ormai da molti anni e ricostruisce i suoi spostamenti la sera del sabato precedente. Alle ore 22:30 del 6 giugno 1981, infatti, Fosco smette di studiare musica e con la sua Fiat 127 gialla si reca a Roveta alta dove di solito spia le coppie insieme ad alcuni amici. La sua zona preferita va da Via Delle Croci a San Michele, attorno alla Taverna Del Diavolo. Qui trova tre autovetture parcheggiate, che lui descrive in questa prima ricostruzione in modo decisamente molto generico: auto scura in mezzo al prato, auto bianca dietro una siepe, auto nera oltre la strada in uno spiazzale. I modelli per lui possono essere tutti o 127 come la sua, oppure generici Volkswagen. Solo più di un mese dopo, all’ennesimo interrogatorio, ammetterà che la 127 bianca è del loro amico guardone detto «il muratore».

Enzo arriva dopo un po’ di tempo e rimangono a chiacchierare per una mezzora, fino alle 23:30 circa, poi si salutano perché la serata non pare essere «proficua», non essendoci coppie interessanti da osservare. A questo punto Fosco, ritornando a casa, sceglie la via «più tortuosa», via dell’Arrigo, per vedere se sono presenti coppie dalla parte di via delle Croci. Gli pare di sentire l’amico mettere in moto l’auto e non vedendolo scendere nella sua stessa direzione, pensa che sia davvero andato verso casa. Alle ore 00:15 giunge anche lui alla propria abitazione. «Effettivamente io sono passato davanti al viottolo in cui è avvenuto il delitto anzi chiaramente davanti all’imbocco del viottolo, ma escludo di aver notato qualcosa di sospetto, né ho sentito grida o spari. Tra l’altro lì vicino vi è una discoteca e quindi vi è molto frastuono». Fosco si riferisce alla discoteca Anastasia, detta «la casina cinese», per via della particolare forma.

Per tutta la domenica, Fosco non viene a conoscenza di quanto avvenuto: è a suonare con amici ad Ugnano e nel tragitto di ritorno, verso le ore ventidue, ritorna a Roveta alta ed esegue un giro perlustrativo senza trovare coppie da spiare. Al bivio successivo alla Taverna Del Diavolo incrocia l’auto di Enzo e iniziano a parlare senza scendere dalle rispettive auto. Questi non gli parla dell’omicidio quindi il Fosco ritiene che se l’amico avesse saputo quanto era successo gliel’avrebbe riferito. Invece Enzo gli dice che quella sera non c’era nulla da vedere e dopo qualche chiacchiera se ne vanno. Questo punto è molto importante perché Enzo negherà sempre, in tutti gli interrogatori, di aver incontrato Fosco la domenica sera, nonostante ammetta di essere ritornato proprio lì. Allo stesso modo, Fosco negherà sempre di aver ricevuto una seconda telefonata da parte di Enzo, giovedì 11 giugno, confermandone solo una del lunedì 8 mattina. Fosco si reca a lavoro dove apprende del delitto dai colleghi di bottega e si lascia andare a una riflessione: «Ecco perché ieri sera non c’era nessuno». Pochi minuti dopo lo chiama Enzo dalla Misericordia dove lavora: «Hai visto che è successo?», parlandogli dell’omicidio come di un fatto brutto e commentando che da quel momento non era più il caso di andare in quella zona. Ormai avevano perso il loro passatempo.

La sua ricostruzione termina qui, ma Fosco agli inquirenti fa anche il nome di altri suoi amici guardoni e dice di non aver più sentito nessuno dopo quella telefonata di lunedì e di non essere più tornati a spiare le coppie per timore; aggiunge anche di non aver compiuto ricerche per capire chi potesse essere l’autore del delitto perché girava voce che fosse un ex fidanzato della vittima femminile. Rammenta anche che quando avvenne l’analogo delitto a Borgo San Lorenzo nel 1974 «si commentava che i guardoni non potevano stare più tranquilli, che era finito il divertimento».

«SONO CERTO DI AVER APPRESO LA NOTIZIA DAL GIORNALE»

Ma di cose interessanti Fosco ne ha diverse da riferire agli inquirenti.

«Quattro anni fa circa, durante una notte nel bosco nella zona di San Michele, io mi trovai di faccia un uomo giovane, di circa 30 anni, abbastanza alto, mi pare moro, che mi puntò contro una pistola. Mi disse prima che era uno della protezione boschiva e poi di essere della Polizia Investigativa. Mi disse che io dovevo stare attento a non avvicinarmi alle macchine per dar noia alle coppie e poi ci intrattenemmo a parlare nella sua autovettura, un’auto civile senza radio. A me dette proprio l’impressione di essere uno della Polizia perché mi spiegò che i guardoni non commettevano nessun reato e mi disse che bisognava stare attenti. Non l’ho più rivisto nella zona».

Sempre venerdì 12 giugno 1981 viene sentito anche Enzo S. e quella che segue è la sua versione dei fatti, la prima di una lunga serie: verso l’una di notte rientra a casa, la moglie si sveglia, lui si mette subito a letto senza accendere la televisione. L’indomani mattina, alle ore dodici, pranza a casa e dopo esce a prendere il caffè al solito bar, dove ha letto il giornale La Nazione con la prima pagina dedicata al duplice delitto. «C’erano le fotografie dei due giovani uccisi, un ragazzo e una ragazza. Io non ho comprato i giornali. Io lo compro tutti i giorni per la Misericordia e, pertanto, non lo compro la domenica. Dal P. c’erano vari amici, quelli soliti. Ricordo di avere commentato la notizia con il P.»

Enzo , ribadisce di aver letto la notizia del delitto al bar la domenica e di non aver portato il giornale alla moglie in quel caso perché di domenica non lo acquista mai: il giornale era del bar e anche se fosse passato alla Misericordia (cosa che non ha fatto) non avrebbe privato i volontari della loro copia. «Io sono certo d’aver appreso la notizia dal giornale come ho detto sempre. Escludo di averla appresa dalle chiacchiere degli amici del bar». Il colonnello Dell’Amico contesta: «Non è uscita la notizia su quello di domenica». «Mi sarò sbagliato. Sono confuso», risponde Enzo, «è la prima volta che mi capita una cosa del genere». A questo punto, di fronte a Dell’Amico, a Silvia Della Monica, titolare dell’inchiesta, e al commissario Sandro Federico, il reticente testimone crolla e ammette di aver mentito: non è stato con nessuna prostituta quel sabato, è andato a spiare le coppie da solo.

«Io ho sbagliato, non ho detto la verità. Sabato sera ho cenato a casa mia e vi erano tutti i miei familiari, ossia mia moglie e i miei tre figli. Sono uscito verso le 21:30 con la macchina e poi ho preso il caffè dal P. Mi sono trattenuto un po’ e quindi con la macchina sono andato a Roveta alta nella zona dove sta la Taverna Del Diavolo. Lì vi era una macchina ferma in un prato distante circa trecento metri dal ristorante predetto e precisamente una Fiat 128 rossa con a bordo una coppia di giovani. Preciso che sono arrivato lì verso le 22:30 e mi sono messo a una cinquantina di metri dalla macchina. Si tratta di un viziaccio che io ho e mi dispiaceva ammetterlo». Ancora: «Sono stato lì dalle 22:30 fino a mezzanotte e sono tornato a casa verso mezzanotte e trenta, o mezzanotte e quaranta».

«Spontaneamente: voglio dire la verità. Mi dispiace mettere di mezzo un’altra persona», aggiunge Enzo, «ma a questo punto è necessario che io lo faccia. Mentre io mi trovavo sul posto, verso le 22:40 è arrivato un certo F. di Scandicci, che ha lo stesso mio vizio ed è rimasto con me. […] Quando io andai via a mezzanotte salutai il F. e lo vidi avviarsi alla sua macchina però non l’ho visto andare via in quanto quando mi sono allontanato lui era ancora lì. […] Escludo che quella sera fossimo a Roveta bassa, altrimenti avremmo visto chi commise quel fatto orribile. Lei mi chiede se io abbia sentito dei rumori, delle grida, degli spari, ma io non ho sentito nulla, oltretutto ero a distanza di tre chilometri dal posto ove era successo il fatto ed oltretutto lì vicino vi è una discoteca e quindi si sente musica e frastuono. […] Appresa la notizia io non sono andato sul posto dove è successo il fatto. Io ieri sera (giovedì 11 giugno) sono andato a fare una giratina una mezzoretta a San Vincenzo che dista circa una decina di chilometri. […] A Roveta bassa le macchine si mettono nei viottoli vicino alla discoteca, ma per i guardoni restano scomodi. Io di preciso dove è successo il fatto, non lo so. […] Sono certo che sabato (6 giugno ndr) sera io sono arrivato a Roveta alta verso le 22:30 e sono rimasto lì senza muovermi fino a mezzanotte, mezzanotte e un quarto».

«L’OMICIDIO? MI SONO CONFUSO: HO APPRESO LA NOTIZIA AL BAR»

La Ritmo di Foggi. Sul terreno si possono notare alcuni bossoli

L’interrogatorio riprende dopo alcune ore ed Enzo risponde alle domande della dott.ssa Silvia Della Monica.

«La pistola scacciacani (una 6 millimetri, ndr) io ce l’ho da 7-8 anni e l’ho acquistata per tenerla in casa per difesa. L’ho messa in macchina ieri sera. Mia moglie non sa che io faccio il guardone. Siccome sono rimasto molto colpito dall’omicidio, io, ieri sera ho preso la pistola con l’intenzione di recarmi nella zona sperando di poter ritrovare l’omicida, d’altra parte si dice che l’assassino torna sempre sul luogo del delitto. Ho detto a mia moglie se non ci pensiamo noi guardoni l’assassino non si troverà». Ma non ha appena detto che la moglie non sa della sua particolare attività voujeristica? «La frase io l’ho detta per scherzo».

«Voglio chiarire», continua ancora Enzo S., «che io questa mattina mi sono sbagliato, mi ero confuso e tutt’ora lo sono: il giornale domenica non riportava dell’omicidio ed io l’ho appreso dai conoscenti davanti al bar G. di Montelupo Fiorentino. Perlomeno mi è parso di sentire parlare dell’omicidio ma ora mi chiedo: se l’hanno trovati alle 11, come è possibile che a mezzogiorno già si era sparsa la voce a Montelupo? Penso pertanto di averlo appreso più tardi sempre davanti al bar G.»

«Escludo che furono raccontati particolari. Io ricordo che pensai: ma come sono stato lassù fino a mezzanotte ed essendo sconvolto mi misi subito in macchina e tornai a casa». Quest’ultima frase è francamente inspiegabile: per quale motivo a mezzanotte Enzo è così «sconvolto» da rimettersi in macchina se non ha assistito a niente? Ma non è finita: che i corpi furono ritrovati alle 11 di mattina «me l’hanno detto anche i suoi colleghi… (si riferisce agli inquirenti, ndr) non lo so». Enzo non ricorda neanche se domenica mattina, rientrato a casa, ha effettivamente raccontato alla moglie del duplice omicidio: forse gliel’ha raccontato la sera dopo «averlo appreso da amici, difatti ricordo che verso le ore 15 io andai al bar P. e lì ne parlavano dicendo che avevano assassinato due fidanzati nella Roveta e che prima avevano sparato loro e poi li avevano sfregiati. Dicevano che il corpo del giovane lo avevano trovato in macchina e quello della ragazza fuori a una decina di metri». Ma la moglie lo stesso giorno dichiara: «Quella mattina quando mi riferì come erano stati uccisi i due giovani era scosso e lo rimase per tutto il giorno. Ricordo che non vedeva l’ora che arrivasse il lunedì per poter comprare il giornale per sapere come andavano le indagini».

FUGGITA ATTRAVERSO I CAMPI O TRASCINATA? LE DIVERSE VERSIONI SULLA FINE DI CARMELA DE NUCCIO

Domenica mattina Enzo, dopo essere stato al bar G., dice di essere passato dai suoceri, quindi di aver pranzato con la moglie e i figli. Poi ancora di aver preso un caffè dal P. alle 15 e poi di esser andato a fare una girata a Butinaccio con la famiglia fino alle 17:30, infine la cena alle 20:30. Dichiara quindi di esser rimasto da solo al bar dalle 21:20 fino alle 23:30, orario in cui è tornato a casa a dormire. Esclude di essere tornato nella zona del delitto la domenica sera. Lunedì verso le ore 9 Enzo legge La Nazione e telefona dalla Misericordia alla bottega di Fosco, ma la telefonata la racconta diversamente dall’amico: «Hai visto che macello hanno fatto?» e poi «io gli ho detto che lui era dentro la macchina e che lei l’avevano trascinata per una decina di metri». Fermiamoci un istante. E’ appena uscita la notizia sul quotidiano fiorentino. Queste sono le frasi riportate nell’articolo riguardo a Carmela De Nuccio: «…ha cercato una fuga impossibile attraverso i campi. Ha fatto non più di dieci metri, poi, nel buio, è rotolata in un campo sottostante. L’assassino le è piombato addosso e l’ha colpita con furia al collo con il coltello».

Ancora 12 giugno 1981, Carla, moglie di Enzo: «Sabato 6 corrente sono andata a letto verso le ore 01:00 del successivo 7 e mio marito non era ancora rientrato». «Mio marito mi disse che sabato sera nei pressi di Scandicci, in una strada vecchia – mi ha precisato anche la località che io attualmente non ricordo – avevano ucciso una coppia di fidanzati. Mi precisò che il ragazzo lo avevano ucciso in macchina con alcuni colpi di pistola; mentre la ragazza era stata uccisa e portata qualche metro più in là». «Preciso», continua la donna, «che la domenica pomeriggio allorquando mio marito mi riferì del duplice omicidio di Scandicci, mi disse che lunedì mattina mi avrebbe portato il giornale, in quanto l’episodio sarebbe stato riferito da tutti gli organi di informazione. Nella circostanza io chiesi se in serata ne avrebbe parlato anche la RAI, e mio marito mi rispose affermativamente, data la gravità del fatto».

Sul giornale Carmela è fuggita attraverso i campi, Enzo dice che è stata trascinata.

«NON HO NESSUN COMPLICE. MI VOLETE ARRESTARE, MA IO SONO INNOCENTE»

«C’è poco da fare, e chi ce l’ha il coraggio di tornare lassù», commenta Fosco. A questo punto Enzo propone all’amico di ritrovarsi alla Taverna Del Diavolo per organizzare degli appostamenti e poter sorprendere l’assassino delle coppie: «Lei mi fa notare che io e F. da soli senza alcuna arma non avremmo potuto affrontare un assassino armato di pistola e di coltello, ma io le dico che qualcosa avremmo fatto anche se non so precisare cosa». Enzo resta alla Misericordia fino alle 20 e poi ripete l’iter già dichiarato per la domenica anche per i giorni successivi: cena in famiglia e poi al bar P. fino alle 23:30. «Escludo di essere tornato a Roveta o di essere andato a vedere il luogo del delitto del giorno 6 giugno 1981 in cui preciso io non ho visto il posto del delitto».

Le contestazioni continuano, anche perché la sera prima, giovedì 11, era tornato da solo nel luogo del delitto, armato di pistola. «Ho questa scacciacani, proviamo se si piglia?», ma arrivato a San Vincenzo ha avuto paura ed è tornato indietro. «Io non so sparare. Io non vado a caccia nemmeno da ragazzino ci sono andato», ma la moglie testimonia che ci andava ed era pure bravo. «Mi confonde con mio cugino», dice Enzo. E’ mezzanotte, interviene il dr. Izzo che gli contesta le dichiarazioni verbalizzate dalla moglie, ma continua a dire che si sarà confusa con La Nazione del lunedì. No, il quotidiano non riporta i particolari di cui era a conoscenza sua moglie. E poi c’è Fosco, che lo incontra a Roveta pure la notte della domenica. «F. è pazzo»: si sono lasciati alle 23:30, non dopo la mezzanotte come continua a ripetere. A questo punto volano frasi incomprensibili.

«Io non ho nessun complice. Voi mi volete arrestare mentre sono innocente. Attenzione che non vada a finire così». I presenti sono increduli, non capiscono cosa sta dicendo il teste. «L’ho detto per rabbia perché sono innocente». A causa delle reticenze e della contraddittorietà manifestata durante la deposizione, viene ordinato l’arresto provvisorio di Enzo.

«IL POSTO DEL DELITTO? NEANCHE LO CONOSCO»

13 Giugno 1981, sabato. Enzo S. ricostruisce nuovamente gli eventi di sette giorni prima.

«Io già sapevo dell’episodio delittuoso, per averlo appreso nel pomeriggio al bar P. Avevo saputo che a Roveta avevano assassinato due fidanzati, senza venire a conoscenza dei vari particolari, né sapevo come erano stati uccisi. Io non ci ho fatto molto caso alla notizia e lo prova anche il fatto che io non ho preso particolari informazioni, più particolareggiate. La sera, dopo aver preso il caffè dal P. mi sono avviato verso la Roveta. Arrivato alla Taverna Del Diavolo non ho trovato nessuno assolutamente. Allora io ho svoltato la mia autovettura pensando che allora la notizia del delitto era vera. Mi ha colpito in modo particolare il fatto che la strada che da San Vincenzo sale sino alla Taverna Del Diavolo era completamente deserta contrariamente al solito. La gente si fermava anche nelle ore notturne. La mattina successiva ho comprato il giornale e dalla Misericordia ho chiamato telefonicamente Fosco, pochi minuti prima delle ore 09:00, e gli ho detto: “Hai saputo che è successo… hai letto i giornali..?”. Nella circostanza mi rispose che non sapeva nulla. Io gli ho spiegato qualcosa e precisamente quello che era scritto sul giornale, e cioè che lui era stato ucciso in macchina e che lei aveva tentato di scappare e che poi era stata uccisa. Non gli ho fissato appuntamento, né gli ho chiesto se lui, la sera si sarebbe fatto vedere. Anzi io gli ho fatto notare che il nostro lavoro era finito, nel senso che dopo quel macello nessuno avrebbe avuto il coraggio di andare lassù. Io la sera stessa, la sera di martedì e la sera di giovedì, tranne il mercoledì, sono stato sul posto, in Roveta, presso la Taverna Del Diavolo. Io il posto del delitto neanche lo conosco. So soltanto che è vicino alla discoteca, so che è via dell’Arrigo, e giù di lì, avendolo letto sul giornale. Come domenica sera anche nelle serate successive, nei posti dove io sono passato non c’era che il deserto. Verso le ore 16:00 di giovedì, io ho telefonato al F. Preciso che una ventina di giorni fa io avevo visto sortire da un pezzo di strada asfaltata in disuso, a duecento metri prima della discoteca, rispetto alla direzione di marcia Scandicci – La Roveta… Chiarisco meglio l’ho vista sortire svoltando a destra procedendo in discesa verso la discoteca. Era una vettura Ritmo di color rame. Ricordandomi di questo fatto ed avendo letto che la macchina sulla quale era stato commesso l’omicidio era del tipo indicato, volevo appunto domandare al F. se aveva anche lui notato questa macchina. Poi io volevo presentargli il mio progetto di fare qualcosa tra di noi per scoprire l’assassino. Volevo che altre persone che lui conosceva si unissero a noi per fare delle verifiche sul posto e sulle macchine. Capisco che è un’idea sciocca. Io gli ho chiesto perciò se ci si vedeva alla Taverna Del Diavolo. Lui mi aveva invitato a casa sua, ma io gli avevo detto che non sapevo dove stava. Lui mi disse di avere paura di venire ed io di rimando “se non hai fatto nulla non devi aver paura di venire… che male c’è?”. Ci siamo salutati senza che lui mi desse una risposta precisa, senza dire né sì, né no e io non l’ho visto quella sera. Confermo pertanto di non aver visto il F. sin dalla sera di sabato. Questo è tutto».

Il giorno seguente Enzo viene accompagnato dagli organi di Polizia nei luoghi oggetto di indagine e informalmente e spontaneamente dichiara che la sera dell’omicidio ha percorso la strada di via delle Croci verso Cerbaia in direzione via dell’Arrigo intorno alle ore 21:30.

«IO NON HO PAURA, PERCHÉ QUESTO TIZIO CHE UCCIDE NON È LEGATO A UNA CATENA»

15 giugno 1981, lunedì. A verbale, Enzo è costretto ad ammettere alcune falsità affermate in precedenza. Non ha percorso via delle Croci alle 21:30 dopo aver preso il caffè al bar: «Preciso che innanzitutto non è vero che io sono stato al bar del P. perché il sabato è chiuso». Alle ore 22 era in via delle Croci alla ricerca della Fiat 127 rossa di una coppia che aveva già osservato nei giorni precedenti, ma senza successo. Poi ha proseguito e si è messo a spiare una coppia sdraiata accanto ad una Renault 5 grigia, ma l’uomo se ne è accorto subito e gli ha urlato contro e si sono allontanati. Quindi ha ripreso l’auto e proseguendo in salita verso via dell’Arrigo, alle 23 ha incrociato effettivamente una Fiat 500, lo ricorda bene perché hanno dovuto rallentare entrambi essendo incrocio poco agevole. Giunge alla Taverna del Diavolo, nota le auto Fiat 128 rossa, Ritmo grigia, Ford Capri blu, incontra l’amico Fosco e rimangono insieme un’ora mentre nelle auto non avviene nulla di loro interesse.

«Quando ci siamo congedati sarà stata la mezzanotte e venti. Insisto nel dire che io ho preso la macchina e sono andato via verso Montelupo. Difatti, all’altezza della Taverna Del Diavolo, dove c’è l’incrocio, io ho svoltato a destra, nella direzione di Montelupo» e quando ha svoltato a destra la Taverna ce l’avevo di fronte. Ammette di essere tornato nella zona la sera della domenica 7 ma non ha affatto incontrato il Fosco come quest’ultimo continua a dire. E non ha effettuato un nuovo giro attorno alla discoteca Anastasia per ritrovare la Ritmo color rame che aveva già notato una sera verso le 22:30 uscire da una strada in disuso perché non l’ha più vista da quella volta. «Ho letto di quel tipo di macchina con quel colore sul giornale La Nazione, l’unico giornale che io leggo alla Misericordia ove lavoro e perciò anche feci la telefonata al F. per giovedì pomeriggio, proprio per domandargli se lui l’aveva mai notata quella macchina. Come ho già detto io volevo organizzare i miei amici per tentare un’azione per scoprire l’assassino».

Il punto esatto in cui è avvenuto il delitto continua a ripetere di non sapere quale fosse, per questo voleva coinvolgere Fosco in quanto più esperto della zona bassa di Roveta. Enzo in quella zona andava solo quando non vi erano coppie da spiare vicino alla Taverna, ma allora a maggior ragione quella sera «infruttuosa» aveva motivo per avvicinarsi a dove l’assassino stava per colpire! E lui stesso si lascia scappare che essendoci la discoteca vicina «il posto era buono e qualche coppia si trovava sempre». Ma allora perché negare di esserci passato? «Era già tardi», è la risposta, quindi ribadisce che sua moglie si sbaglia perché lui ricorda di averle parlato del duplice omicidio solo il lunedì 8 giugno mentre pranzavano. Fino a quel momento non gliene aveva parlato perché non dava molta importanza alla notizia che aveva appreso da un imprecisato cliente del bar la domenica pomeriggio. Riguardo all’essersi precipitato a telefonare al Fosco, all’essere ritornato più volte sul luogo del delitto e voler fare un’azione contro l’assassino, ribatte: «Io non ho mai detto luogo del delitto, ho sempre parlato di Taverna Del Diavolo. Io mi sono interessato della cosa perché i giornali riportavano ampiamente la notizia del delitto». Le contestazioni continuano, ma il teste è evidentemente esausto: «Io rispondo che sono confuso, questa è la mia spiegazione e non ho altro da aggiungere».

Intercettazione telefonica del 22 giugno effettuata da Venturini (futuro membro della SAM, la «Squadra anti-mostro»): Fosco chiama Dino, fratello di Enzo.

Fosco: «C’è un altro arrivato mentre io ero lì, mi vide e disse urlando… mi si avventò addosso come se io avessi… o pallino?!!! Ma ti rendi conto che sei nelle stesse condizioni mie ed io nelle tue? Questo mi disse “io e te non ci si conosce, non ci siamo mai visti, io non ti ho mai conosciuto”».

Dino: «Ma lei lo conosce questo?»

Fosco: «Lo conosco sì; gli dissi di non fare il furbo cerca di essere sincero, vedrai che ti trovi bene se no fai la fine dello S».

Fosco aveva fatto i nomi di altri guardoni suoi amici e uno di questi era stato chiamato dagli inquirenti ma, a causa dell’iniziale reticenza, durante l’interrogatorio era stato avvertito del rischio che correva se non collaborava.

Fosco ed Enzo davanti al dr. Tricomi, Izzo e Della Monica il 23 ottobre 1981. Enzo riferisce del contenuto delle telefonate di Fosco a suo fratello Dino: «Gli aveva detto che un gruppo di persone, che bazzicavano la località intorno alla Taverna Del Diavolo, lo avevano minacciato di fargli fare la fine dello S. e che anzi uno aveva sparato in aria». Fosco nega il racconto, ma di una telefonata tra i due parla anche Mario Spezi su La Nazione del 26 ottobre: «Fosco telefonò a Dino quattro giorni dopo l’arresto di Enzo per dirgli: “Devi sapere che mi stanno minacciando, se non sto zitto mi fanno fare la fine di tuo fratello”».

14 luglio 1981. Ordine di cattura nei confronti di Enzo, già detenuto presso la Casa Penale di Firenze, per duplice omicidio pluriaggravato e vilipendio di cadavere. Senza fornire una convincente spiegazione, era dettagliatamente informato del delitto già al momento della sua scoperta e ammetteva di aver già visto l’auto delle vittime giorni prima. Negava l’incontro della domenica 7 giugno con l’amico Fosco al quale peraltro non riferiva di quanto avvenuto e inoltre non riferiva su come e dove avesse trascorso il tempo tra le ore 23,30 e le 1 di notte della notte del delitto.

Si rifiuta di sottoscrivere il documento, ma viene sottoposto ad un nuovo interrogatorio. Nega ancora una volta di essere già, di domenica, a conoscenza del delitto e dice che alla moglie l’ha raccontato il lunedì 8 a pranzo, portandole il giornale. Ma anche sforzandosi di ipotizzare che abbia confuso la domenica col lunedì, in precedenza aveva escluso di aver portato il giornale alla moglie. Poi aveva affermato che la notizia proveniva da un avventore del bar nel pomeriggio di lunedì, ma adesso la moglie ne è già a conoscenza all’ora di pranzo! La moglie inoltre, aveva notato un suo particolare interesse a leggere il giornale per saperne di più, segno questo che il quotidiano con la notizia ancora non era uscito. Ammette di essere tornato nella zona le sere immediatamente successive, ma nega ancora di aver incrociato Fosco la domenica.

A questo punto è utile chiarire che i suoceri del testimone-sospettato, in Questura, affermarono che a loro aveva raccontato del delitto il pomeriggio durante una girata in campagna ed effettivamente lo stesso Enzo ha sempre dichiarato che la domenica 7 erano andati tutti insieme in gita a Bucinaccio. E i suoceri non potevano essere informati telefonicamente il lunedì mattina come il Fosco, in quanto totalmente sprovvisti di apparecchio telefonico. Gli inquirenti ritengono che è da escludere che avesse visto casualmente i cadaveri dopo il fatto, perché non c’era ragione che non segnalasse la cosa anche anonimamente per telefono e perché la posizione dei cadaveri, distanti tra loro, difficilmente avrebbe consentito il rilevamento anche del corpo della ragazza oltre che delle ferite di arma da fuoco.

L’imputato ribadisce di essere innocente ed esclude qualsiasi rapporto con altre persone responsabili dell’omicidio.

La scarcerazione di Enzo S. in un articolo di Mario Spezi su La Nazione (25ottobre 1981)

22 luglio 1981. Mandato di cattura nei confronti di Enzo a integrazione della prima imputazione per il delitto di detenzione e porto illegali di armi oltre alla richiesta di analisi per determinare la natura delle macchie notate sui pantaloni sequestrati durante la perquisizione. A chiudere la richiesta, una riflessione del dr. Izzo che sintetizza quanto ricostruito: «Allo stato escludo l’ipotesi, esaminata all’inizio delle indagini, che lo S. fosse sopravvenuto sul luogo del delitto dopo la sua consumazione. In tal caso infatti sarebbe stato quasi impossibile, vista la posizione del cadavere della ragazza, rilevarne di notte la presenza a valle della stradina di campagna e riconoscere mezzi e cause della morte, argomentando quindi gli elementi di cui l’imputato ha mostrato di essere a conoscenza sin dalle ore 12,30 circa della domenica, molto prima che io lasciassi con gli Organi di Polizia Giudiziaria e il perito medico legale il luogo del delitto, precluso ovviamente agli estranei. Peraltro osservo che la visione del giovane trucidato sarebbe stata più che sufficiente per giustificare un’istintiva rapida fuga da quel luogo»

25 novembre 1985, Fosco: «La S.V. mi chiede se io non dica la verità o per lo meno tutto quello che so, per paura. Io non ho paura, perché questo tizio che uccide non è legato ad una catena. Voglio dire che è solo e, una volta preso, non c’è più pericolo. Voglio dire che non si tratta né di ‘ndrangheta né di camorra. Voglio dire che non si tratta di persone organizzate perché, a questo punto, qualcuno si “sarebbe sputtanato»