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Edoardo Toscano: una morte ancora senza verità (1^parte)

Tommaso Nelli

Il killer, dopo aver agito a volto scoperto ed essere risalito su una moto di grossa cilindrata guidata da un complice, si dileguerà senza mai essere individuato

Molti misteri e una verità di plastica per un omicidio ancora irrisolto. Quello di Edoardo Toscano, trentacinque anni, uno dei capi della Banda della Magliana, ucciso a Ostia la mattina del 16 marzo 1989. Tra le 11:30 e le 11:45 l’Operaietto, così ribattezzato per la sua capacità a svolgere qualsiasi lavoro, stava parlando con l’amico Bruno Tosoni davanti all’ingresso del panificio di quest’ultimo, situato sul lato sinistro di Viale della Marina se si volgono le spalle al litorale. Cioè se ci mettiamo nella sua stessa posizione quando fu raggiunto da tre colpi di pistola calibro 38 sul lato sinistro del corpo: uno alla nuca, che rimase incastrato nella parte destra della mandibola; uno al tronco, fatale perché colpì il cuore; e uno al fianco.

A sparare, un killer a volto scoperto, per il quale la perizia medico-legale escluse «con sicurezza la “breve distanza” (0-40 centimetri)», sceso da una motocicletta di grossa cilindrata, una Honda 750X grigia, dove lo attendeva un complice. Ripartiti a gran velocità dopo l’esecuzione, i due svoltarono a sinistra in via Granito di Belmonte, abbandonarono il mezzo nella vicina via degli Aldobrandini insieme al casco del guidatore, e poi si dileguarono per sempre.

UNO DEI CRIMINALI PIÙ TEMUTI DI ROMA

L'agenda di Edoardo Toscano con il numero di Ferracuti

L’agenda di Toscano con il numero di Ferracuti

Il delitto suscitò grande scalpore. Innanzitutto, per la vittima. Edoardo Toscano era uno dei criminali più temuti di Roma. Nato nel 1953 da una fugace relazione tra un avvocato e una cameriera, pur riconosciuto dal padre crebbe senza la sua presenza nel quartiere del Trullo, uno dei più disagiati della Capitale di fine anni Sessanta-inizio Settanta. All’età di sedici anni commise il suo primo reato e, come scritto nella sentenza della Corte di Appello di Roma che lo scarcerò nel febbraio 1989, continuò «a delinquere con cadenza quasi annuale sino al momento del suo arresto», avvenuto nella primavera 1983 a seguito delle dichiarazioni di Fulvio Lucioli, Er Sorcio. Nella Banda della Magliana l’Operaietto recitò un ruolo di primo piano. Amico sia di Maurizio Abbatino che di Franco Giuseppucci, assunse la gestione dello spaccio di stupefacenti per le zone di Ostia e Acilia insieme, fra gli altri, a Nicolino Selis, Giovanni Girlando, Libero Mancone, ai fratelli Vittorio e Giuseppe Carnovale suoi cognati (ne aveva sposato la sorella, Antonella) e a Gianfranco Urbani detto Er Pantera. In breve tempo divenne un pezzo grosso al punto da avere in agenda il numero dello studio del professor Franco Ferracuti – criminologo di fama internazionale nonché membro del cosiddetto Comitato di Esperti per volere dell’allora Ministro dell’Interno, Francesco Cossiga, nei giorni del sequestro Moro – ed essere destinatario dell’offerta di evasione di Enrico De Pedis durante le udienze del processo a piazzale Clodio. Ma la rifiutò, temendo fosse una trappola, e a beneficiarne fu Vittorio Carnovale.

Il 23 giugno 1986, nella sentenza di primo grado del Tribunale di Roma, Edoardo Toscano fu condannato a venti anni di carcere nonostante il pubblico ministero avesse chiesto l’ergastolo. Sulla sua testa, più capi di imputazione: associazione per delinquere, omicidio volontario plurimo, occultamento di cadavere, detenzione e cessione di stupefacenti. Una pena dunque ampiamente ridotta che, dopo la sentenza della Corte di Cassazione del 1988 che aveva imposto la celebrazione di un nuovo processo di appello alla Banda, consentì ai suoi legali di presentare istanza di scarcerazione. Una domanda accolta, non senza incredulità, il 10 febbraio 1989 proprio da quei togati che poche righe sopra, oltre alla sua abitudine al crimine, avevano ricordato anche le «esigenze di tutela della collettività in ragione della sua [ndg] pericolosità sociale». E così tre giorni dopo Toscano era di nuovo insieme alla famiglia nella villetta a due piani nella moderna e residenziale zona dell’Axa, l’Olgiata di Roma Sud. Senza passaporto, per scongiurare il pericolo di fuga all’estero, con l’obbligo di firma quotidiano e senza patente. Tanto che la mattina di quel fatale 16 marzo fu la moglie ad accompagnarlo a una visita medica ad Acilia, per poi lasciarlo al panificio di Tosoni, da dove avrebbe dovuto rincasare per il pranzo con un passaggio visti i dieci chilometri di distanza.

UNA VERITÀ DI PLASTICA

Omicidio di Edoardo Toscano. La richiesta di colloquio con il «detenuto collaboratore» Claudio Sicilia

La richiesta di colloquio con il «detenuto collaboratore» Claudio Sicilia

Ma la fine dell’Operaietto fece clamore anche per le modalità. In pieno giorno, in una zona ad alto traffico pedonale e veicolare, quindi alla presenza di testimoni oculari. Il killer però sembrò non curarsene minimamente, perché colpì a volto scoperto. Un gesto spavaldo e sfrontato, quasi a voler dire che nessuno lo avrebbe mai trovato. E poi, come per tutti i delitti e in particolare quelli di mala, a fare rumore fu il movente. Chi poteva avere interesse a uccidere Edoardo Toscano e con tanta impellenza, visto che era uscito di galera da un mese?

Proprio da qui prendono il via i misteri della sua morte, amplificati da una verità di plastica costruita nel tempo e scaturita, senza volerlo, da una delle prime ipotesi degli inquirenti. Perché mentre la Procura apriva un fascicolo contro ignoti rimasti tali fino ai giorni nostri, la Squadra Mobile ipotizzava che il sangue versato fosse riconducibile alla faida in corso tra le due anime della Banda: i cosiddetti Testaccini e i Maglianesi. Tramandata ai giorni nostri con De Pedis nel ruolo di mandante dell’agguato, eseguito da due suoi sicari di fiducia, questa versione poggia però su due deposizioni di argilla. Quella di Claudio Sicilia, altro caporione del criminoso sodalizio, e di Fabiola Moretti, amante e moglie di alcuni di loro (rispettivamente, Danilo Abbruciati e Antonio Mancini). Il Vesuviano, detenuto nel carcere di Paliano e collaboratore di giustizia, il 9 ottobre 1989 ripeté quanto già dichiarato due anni prima al pubblico ministero Andrea De Gasperis. «Io misi il De Pedis, il Pernasetti e il Paradisi (i “Testaccini”, ndg) sull’avviso che avevano quelli della Magliana di eliminarli». Poi aggiunse di aver «avuto modo di parlare con Enrico De Pedis, presente Massimo Carminati, nell’84 o nell’85, in un incontro davanti alla Standa di fronte allo Shangri-Là all’Eur […]» dove Renatino «riprendendo discorsi già fatti ripetutamente sia a casa di mia suocera, sia a casa mia, sia in altri luoghi, rappresentò che con questa gente, alludendo ai capi della Magliana, se la sarebbe vista lui». Specificò inoltre di aver saputo che «pochi giorni prima della sua morte Toscano ha avuto un incontro con i “Testaccini”. Hanno tentato di rabbonirlo, regalandogli 50 milioni, facendogli presente che altro denaro era stato messo da parte per il Mancini, per il Colafigli e per l’Abbatino».

Omicidio di Edoardo Toscano. Il verbale di interrogatorio di Claudio Sicilia

Claudio Sicilia, verbale di interrogatorio

Sicilia però non fa i nomi dei rivelatori di questo incontro perché «sono certo che non confermerebbero». Un’affermazione già incrinante la bontà del suo contenuto. Perché se si hanno elementi per dimostrare la veridicità di un racconto, non ci si dovrebbe porre alcun problema su eventuali reazioni terze. Soprattutto se si vuol davvero collaborare con la giustizia. Alla quale meglio non fare illazioni. Come la presenza della moglie di Edoardo Toscano e di un uomo di De Pedis, Paolo Frau, nei dintorni dell’omicidio negli attimi della sua consumazione. Nient’altro che una bugia – la donna si trovava a casa come rilevò la polizia – alimentata dal rancore dello stesso Sicilia nei confronti di Toscano, per altro ricambiato.

Piuttosto c’è da evidenziare come la sua deposizione arrivò a sette mesi dai fatti e, soprattutto, a sei dal via libera della Procura alla richiesta di incontrarlo da parte della Questura. Perché tanta attesa? Oppure la polizia lo aveva già avvicinato informalmente? E a Carminati qualcuno ha mai chiesto qualcosa di quelle parole?

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