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La morte di Ketty Skerl: omicidio politico o vendetta sentimentale?

Tommaso Nelli

Cresciuta in fretta, non certo carente di spirito di iniziativa, Ketty frequentava il liceo artistico “Giulio Romano” a Ponte Milvio ed era iscritta alla FGCI. Divideva le sue giornate tra scuola, militanza politica, gli amici del quartiere e, da qualche anno, un gruppo di giovani del Tuscolano

“Ciao, ciao piccola Katy”. Non appena si posa lo sguardo sul volto di Catherine Skerl, Ketty per gli amici, diciassette anni, capelli biondi, occhi verdi e nemmeno un metro e cinquanta di altezza, non possono che venire in mente le celebri note dei “Pooh”. E se si scorre la sua storia, ci si rende conto delle corrispondenze, del tutto involontarie, con quel successo. Perché uscì nel 1968, quando aveva appena un anno quella figlia di un regista cinematografico apolide (ma nato a Belgrado) e di una bibliotecaria del Comune di Roma, ritrovata senza vita da un contadino tra la bruma di una vigna di Grottaferrata (campagna a sud della Capitale) alle 9:30 del 22 gennaio 1984. Una domenica, un “mattino di grigia foschia”. Proprio come quello della canzone, che racconta anche come l’immaginaria protagonista nella notte avesse capito che con una carezza era stata tradita. E fu quel che accadde a Ketty Skerl, strangolata con un filo di ferro arrugginito e con la tracolla di un borsone prima che la sua testa, piena di lividi, fosse affogata nel fango e la sua gabbia toracica spezzata da una forte compressione. L’autopsia stabilì che quella morte, inflitta da mano ancora oggi ignota, era sopraggiunta tra le dieci della sera precedente e l’una della notte.

UNA PERSONALITÀ SPIGLIATA ED ESTROVERSA

Ma lei come ci era finita in quelle zone, raggiungibili soltanto in automobile? E soprattutto “perché?”. Dopotutto i suoi programmi erano ben altri. Alle 19:45 di sabato 21 gennaio doveva incontrarsi alla fermata metro Lucio Sestio, quartiere Tuscolano, con l’amica Angela L. Avrebbe dormito da lei e l’indomani sarebbero andate a sciare sul Terminillo. Angela arrivò all’appuntamento con un quarto d’ora di ritardo, ma di Ketty ancora nessuna traccia. La aspettò invano fino alle 20:30. Poi, preoccupata, la chiamò a casa, situata dall’altra parte della città, a via Isidoro del Lungo, quartiere di Monte Sacro. Trovò soltanto il fratello, Alexander. Disse che la sorella nel pomeriggio era andata a una festa. La madre non era ancora rientrata, il padre invece si era trasferito da anni negli Stati Uniti.

Ketty era cresciuta in fretta. Personalità spigliata ed estroversa, non certo carente di spirito di iniziativa, frequentava il liceo artistico “Giulio Romano” a Ponte Milvio ed era iscritta alla FGCI, la federazione dei giovani comunisti, il serbatoio delle nuove leve del PCI. Aveva una spiccata predisposizione a fare amicizia e coltivava i rapporti anche nel tempo, tanto che era sempre in contatto con alcuni coetanei di Fidene, borgata a nord di Roma dove aveva trascorso l’infanzia. Divideva le sue giornate tra la scuola, la militanza politica, gli amici del quartiere e, da qualche anno, con un gruppo di giovani del Tuscolano.

Quel sabato pomeriggio partecipò a una festa a casa di un’amica, Laura P., a Largo Cartesio, a circa un chilometro dalla sua abitazione. Si era portata dietro un borsone di tela con dentro il cambio per la notte e l’abbigliamento per il giorno dopo sulla neve. Alle 18:30 salutò la compagnia per andare all’appuntamento con Angela. Dove non sarebbe mai arrivata puntuale. Perché avrebbe dovuto raggiungere la fermata Atac su via Nomentana, distante quattrocento metri, per prendere un autobus che la portasse a piazza Sempione, da dove avrebbe dovuto aspettare un altro convoglio per raggiungere la stazione Termini. Da lì sarebbe salita sulla metro A che, dopo undici fermate, l’avrebbe finalmente lasciata a Lucio Sestio. Ma mai per le 19:45, se si considerano i biblici tempi di attesa degli autobus capitolini e il suo intrattenersi a chiacchierare con gli amici della festa anche dalle scale del palazzo. Tanto che quando la videro andare definitivamente via, l’orologio segnava le 18:45.

L’IPOTESI DEL RAPIMENTO (DA ESCLUDERE)

Il quarto d’ora di ritardo di Angela fu quindi del tutto ininfluente. Perché Ketty sparì mentre si dirigeva da lei. “Dove” non è possibile stabilirlo (per il momento), anche se è quasi certo nel tratto fra la casa dell’amica e la stazione Termini. Magari, mentre aspettava l’autobus, per accelerare i tempi potrebbe aver accettato un passaggio da una persona che conosceva e che si trovava a passare da quelle parti. Non poteva immaginare che sarebbe finita in una trappola.

Da escludere invece il rapimento. Sia perché nessuno notò episodi strani, come una ragazza caricata a forza in una macchina, sia perché soltanto un matto avrebbe potuto architettare un sequestro in un luogo transitato in continuazione da persone e vetture. Una dinamica analoga a quella della scomparsa di almeno altre due giovani dell’epoca, Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. E come loro, anche Ketty Skerl seguì una persona che conosceva. Un dettaglio che esclude la colleganza fra i tre casi. Perché le vite di queste sfortunate giovani erano estranee l’una all’altra. Ciò non toglie però che nei loro universi sociali si annidasse qualcuno, più grande di età, che nutriva un’attrazione particolare nei loro confronti. Ed è quello che bisognerebbe subito cercare, senza guardare al rango sociale e all’abito, anche se talare, quando un’adolescente sparisce o viene uccisa e non ci sono richieste di riscatto, piuttosto che inseguire le chimere di rapimenti orditi da anonime e fantomatiche organizzazioni criminali.

Ufficialmente, Skerl non aveva alcun legame sentimentale. Ma si è mai indagato a dovere per sapere se, oltre a delle simpatie maschili (la normalità a quell’età e negarlo, ritenendolo peccato, è benpensante ipocrisia), avesse respinto le avances di qualche adulto? Si è mai guardato a fondo nei suoi effetti personali e, in particolare, nel suo diario? Dove, raccontano le amiche, scriveva di tutto. Tanto da far venire in mente quel “diario che sempre riempivi” della Katy dei “Pooh”. E non solo quello. Perché Ketty scriveva ovunque, perfino sui muri della scuola, e in continuazione. In poche parole, era una grafomane. Un aspetto che potrebbe aiutare a trovare la genesi del legame col “gruppo del Tuscolano”, ancora avvolto dal mistero e insolito visto che distava più di dieci chilometri dai suoi ambienti quotidiani. Lei aveva stretto amicizia in particolare con Angela e nell’ultimo anno scolastico, pur frequentando differenti istituti, le due avevano fatto numerose ore di assenza. Come mai? Che facevano quando saltavano le lezioni? Chi frequentavano? E dove? Interrogativi importanti, perché dal Tuscolano a Grottaferrata ci sono quindici chilometri, che in macchina si percorrono in una ventina di minuti. E allora: gli inquirenti hanno mai connesso queste informazioni? Hanno mai approfondito se qualcuno del “gruppo del Tuscolano”, o a esso orbitante, si fosse invaghito di lei? E se tra questi ci fossero frequentatori delle campagne di Grottaferrata?

LE MINACCE DA PARTE DI ALCUNI ESTREMISTI DI DESTRA

Perché l’assassino conosceva molto bene il luogo dove fu ritrovato il cadavere. Quella vigna, infatti, si trova al termine di una strada a fondo chiuso, preceduta da un dedalo di viuzze ieri come oggi prive di illuminazione. Dunque, chi ci portò Ketty, sapeva come districarcisi. Anche in condizioni atmosferiche avverse come quella notte, all’insegna di freddo e pioggia. Possibile, inoltre, che lei ci fosse già stata, magari proprio con il suo omicida, e che quindi nulla temesse quella sera. Almeno finché lui non oltrepassò il confine del consentito. Perché, secondo le ricostruzioni delle cronache dell’epoca, lei a un certo punto avrebbe cercato di scappare, ma l’assassino l’avrebbe rincorsa per poi tramortirla, tumefarle il volto, sfondarle la gabbia toracica, schiacciarle la testa nel fango e, infine, strangolarla con un pezzo di filo di ferro arrugginito e con la cinghia strappata al suo borsone.

Un massacro che necessitò di una notevole forza fisica da parte di un soggetto capace di colpire anche in condizioni di visibilità pressoché nulle — l’unica luce sarebbe stata quella dei fari dell’auto — e che agì per vendetta. A dirlo, un altro particolare: l’assenza di violenza sessuale. Un dato che elimina l’ipotesi del maniaco occasionale, che si accanisce su una donna per sfogare i suoi istinti deviati e che però non impiega più di tre ore per ucciderla. Soprattutto se questa ha un carattere sveglio e ribelle. Gli amici hanno descritto Ketty come una risoluta davanti alle situazioni sgradite. Per cui, se avesse accettato un passaggio da uno sconosciuto salvo poi rendersi conto delle sue cattive intenzioni, non si sarebbe fatta problemi a venir via, a costo di saltar giù dall’auto in corsa.

Il prolungato quanto macabro strangolamento rilancia quindi l’ipotesi della volontà di metterla a tacere. Come se avesse visto o sentito qualcosa che non si doveva sapere. Qualcosa collegato col suo attivismo? Fascetta in fronte, pugno alzato e presenza fissa alle manifestazioni della sinistra giovanile, Ketty era animata, come molti della sua età, da una grande passione politica in un’epoca dove le ideologie erano ancora forti e diffuse. Al punto da essere causa di scontri tra opposti schieramenti. “Rossi” contro “neri”, comunisti contro fascisti. L’estremismo era la regola quotidiana e di violenza politica si poteva anche morire. Proprio le zone di Talenti e Monte Sacro furono tra le più cruente. Il 22 febbraio 1980, nella sua abitazione di via Monte Bianco, uomini ancora senza nome uccisero Valerio Verbano, diciotto anni, militante di “Autonomia Operaia”. Il 10 gennaio 1979, in largo Rovani, a bordo di una “Mini Minor”, alcuni individui a volto coperto e mai identificati fecero fuoco contro un gruppo di ragazzi che parlavano davanti al bar “Urbano”, ritenuto un covo di fascisti. Perse la vita Stefano Cecchetti, diciannove anni, che fascista non era. Era invece iscritto al “Fronte della GioventùPaolo Di Nella, morto il 9 febbraio 1983 dopo sette giorni di coma a causa di un’aggressione subìta a viale Libia, poco prima del Ponte delle Valli.

Nelle ultime settimane Skerl era stata minacciata da estremisti di destra. Lo raccontano alcuni suoi amici, che furono picchiati da qualche camerata e oggi hanno ancora paura a parlarne. Anche episodi del genere, e molto altro, potrebbero essere vergati nelle pagine del suo diario. Possibile non averlo scandagliato, considerando che negli anni Ottanta era l’unico deposito dei segreti di un’adolescente? Occorre comunque rilevare che, a differenza di molti altri omicidi politici, la morte di Ketty non fu rivendicata da nessuna sigla. Al tempo, le prime indagini non approdarono a nulla. Poi i sospetti ricaddero su Maurizio Giugliano, il “Lupo dell’Agro Romano”, autore di altri omicidi, che però risultò estraneo al fatto.

Se lui oggi è morto, vive invece il diritto di dare giustizia a questa giovane, la cui vita fu spezzata dal “mondo buio e cattivo” della Katy dei “Pooh”. Un obiettivo ancora possibile. A patto di perseguirlo con tenacia e inflessibilità, puntando al risultato e non alla ribalta mediatica. Anche perché questo dramma è stato confinato nell’oblio per quasi quarant’anni ed è ritornato di attualità soltanto per il trafugamento della salma di Ketty dal cimitero del Verano. Un altro mistero da approfondire, un’altra ingiustizia da sanare. Ma dopo aver scoperto chi spezzò le ali di quell’angelo biondo. Perché trascurare ancora la sua tragedia oppure usarla per altri scopi — per esempio come espediente per (stra)parlare della vicenda di Emanuela Orlandi, come fatto da alcune grandi testate nelle ultime settimane — equivarrebbe a ucciderlo un’altra volta.