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Le ultime bugie sulla scomparsa di Emanuela Orlandi

Tommaso Nelli

La sempre più chilometrica schiera di «piste false» sulla vicenda della giovane cittadina vaticana scomparsa il 22 giugno 1983

Suor Dolores, nata Lidia Salsano, all’interno della scuola di musica Da Victoria (immagine tratta dal libro Atto di dolore, di Tommaso Nelli, Fabiano&Castaldo editore)

Sembra proprio non esserci pace per la scomparsa di Emanuela Orlandi, una vicenda investita di recente da altre fake news: Enrico De Pedis frequentatore abituale della scuola di musica T. L. Da Victoria; la direttrice, suor Dolores, che lo magnificava agli occhi degli allievi; un introvabile verbale della Digos a raccontare questo connubio.

Rilanciate in parte nei mesi scorsi dal settimanale Giallo a seguito di un post Facebook di Pietro Orlandi di fine ottobre, tali voci sono state riprese da quest’ultimo tra i minuti 31’09” e 34’28” del suo monologo tenuto lo scorso 14 gennaio durante una manifestazione per ricordare la sorella nel giorno della nascita: «Io di recente ho sentito una persona molto attendibile che stava nella scuola di Emanuela. […] Mi ha contattato per dirmi: “Ultimamente ho visto delle cose della vicenda di Emanuela che non avevo più seguito, però sono rimasta stupita di una cosa che, all’epoca, quando andai a verbalizzare presso la Digos, non ho mai visto nulla di quello che ho detto venir fuori, non ne ha parlato mai nessuno”. Io gli ho chiesto: “Che cosa hai verbalizzato?”. “Quella persona di cui si parla tanto, De Pedis, spesso stava lì nella scuola, perché era amico di suor Dolores, la direttrice. Noi spesso la incontravamo con questa persona e ce la presentava come una molto vicina alla scuola, lo chiamava benefattore della scuola. E lui era sempre molto elegante, ben distinto. Io spesso l’ho visto uscire dall’ufficio di Scalfaro, che era affianco a quello di suor Dolores”».

UN EX «AGENTE SEGRETO»

Enrico De Pedis

A chi scrive, il loro ascolto è stato più che sufficiente per individuarne la fonte: una persona che studiava alla Da Victoria e che nel 1983 si chiamava Giorgio M. L’avevo incontrata nella mia inchiesta sul caso della giovane cittadina vaticana dopo che aveva cambiato sesso e assunto un’altra identità. E proprio quel colloquio telefonico di 1h e 18’ del 3 aprile 2014 mi ha permesso di riconoscerla nel racconto di Orlandi, incamerando ulteriori conferme sulla sua inattendibilità.

Si presentò come «ex agente segreto» al corrente di «fatti sconosciuti e scottanti» sulla sparizione di Emanuela. Disse che all’epoca dell’accaduto era «stato infiltrato nell’istituto per sorvegliare due elementi libanesi dei cristiani-maroniti sospettati di appartenere ad Al-Fatah» e «per controllare l’ufficio di Scalfaro. Ci piazzai qualche ricetrasmittente, microchip». All’interno strinse una relazione sentimentale con un’altra studentessa, Gabriella De Vincenzi, che «insegnava solfeggio» e gli avrebbe rivelato che Emanuela era innamorata di lui.

La sua attività di presunto 007 però non si sarebbe fermata qui. Bensì sarebbe proseguita vestito da donna come «musicista alla “Taverna Antonina” (ristorante a due passi da palazzo Chigi, ndg) per raccogliere informazioni sui politici». In entrambi i luoghi avrebbe visto a più riprese Enrico De Pedis. «Alla “Taverna Antonina” mi aveva anche baciato la mano, perché non mi aveva riconosciuto» mentre alla Da Victoria «era quasi sempre lì. Era amico di suor Dolores, tutti lo sapevano. Era un benefattore della scuola. Avrebbe donato del denaro a suor Dolores come beneficienza d’istituto per alcuni favori. C’era questo altoparlante: “Il signor De Pedis è pregato di presentarsi in direzione”, per esempio… cose di questo tipo». Aggiunse poi che sarebbe stata a conoscenza del movente della scomparsa di Emanuela Orlandi «un ricatto al Vaticano» – poi rimasta vittima di «elementi della Magliana» che le avrebbero «iniettato qualche droga» e sarebbe «andata in overdose». M. quel 22 giugno 1983 avrebbe addirittura visto i rapitori della giovane – «tre elementi di carnagione particolarmente bruna, due americani e un turco, con parrucca bionda» – e ne avrebbe fatto gli identikit alla Digos dove però avrebbero reagito bruscamente – «Dimenticati di questa storia. Se ti presenti di nuovo in un ufficio delle forze di polizia, te ne pentirai in ogni modo» – per poi rimuoverlo e spedirlo in «Inghilterra, Israele, Libano e poi in Sudamerica, a El Salvador e in Colombia».

UNA CREDIBILITÀ EVAPORATA NELLA RICERCA DEI RISCONTRI

Emanuela Orlandi

Un racconto indubbiamente suggestivo. Peccato però fosse contaminato da bugie e inverosimiglianze già durante la narrazione. Come quando affermò che Emanuela poteva essere salvata, ma «coloro che avevano le evidenze per procedere sono stati bloccati dallo Stato». Chiesi quali erano questi personaggi che sarebbero stati fermati. Risposta: «Il generale Dalla Chiesa». Che però era stato assassinato il 3 settembre 1982. Nove mesi e diciannove giorni prima della sparizione di Emanuela Orlandi. Poi domandai come avrebbe riconosciuto i rapitori. «Passeggiavo per piazza Navona. A un certo punto sentii uno parlare inglese. E capii». Ma quindi se sentiamo un accento inglese su piazza Navona, dobbiamo subito pensare a una barba finta in trench e occhiali da sole?

Compromessa in partenza, la credibilità di questo James Bond in sol minore evaporò nella ricerca dei riscontri alle sue parole. Ammesso sia stata la sua fidanzata, Gabriella all’epoca era però una semplice studentessa e non insegnava solfeggio, disciplina di pertinenza del maestro Antonelli. «E non c’era bisogno d’aiuto, quel maestro sapeva il fatto suo», mi ha raccontato un ex studente nel luglio 2017. E l’infatuazione di Emanuela Orlandi era per un chitarrista, Alberto Laurenti.

Se è vera la presenza nell’istituto del futuro presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro – documentata nel mio libro Atto di Dolore dalle testimonianze degli allievi che lo salutavano in ascensore e da una foto che lo ritrae spettatore assorto durante un concerto – è invece da escludersi quella dell’ex capo della Banda della Magliana, Enrico De Pedis. Ma soprattutto è una fandonia che suor Dolores lo presentasse agli allievi, elogiandone le virtù. Ho parlato con oltre cento frequentanti la Da Victoria negli anni di Emanuela Orlandi. Nessuno, compreso il personale di segreteria, ha mai anche lontanamente accennato a episodi del genere. L’ambiente mi è stato perlopiù descritto come serio e ben organizzato, a fronte anche dei circa sei-settecento iscritti. Le loro rette annuali erano l’introito della scuola che, se fosse stata in difficoltà, avrebbe bussato sotto il Cupolone visto che tra i suoi fondatori aveva monsignor Giuseppe Caprio, dal 1979 al 1981 presidente dell’APSA (Amministrazione Patrimonio Sede Apostolica). Personalità autoritaria, tanto piena d’iniziativa quanto spesso impulsiva nelle sue decisioni, suor Dolores era il motore della Da Victoria. Ma fermava gli studenti nei corridoi per riprenderli sull’abbigliamento o per spingerli a far bene nella musica. Non certo per presentare Renatino, del quale hanno sentito parlare soltanto nel 2005, quando la trasmissione televisiva Chi l’ha visto? ritirò fuori la storia della sua tomba nella basilica di S. Apollinare. Ma soprattutto, come raccontato anche da un’ex studentessa che vi trascorreva sia la mattina che il pomeriggio per i suoi studi, nella scuola non c’erano altoparlanti! Quindi non poteva essere fatto alcun annuncio.

UN VERBALE CHE NON ESISTE

Preso atto della realtà, non mi stupì il silenzio di questa persona, oggi residente all’estero, a una mia mail del 21 aprile 2014 nella quale le chiedevo, fra le varie, a quale Servizio fosse appartenuta (SISDE o SISMI?), quale fosse stato il suo nome in codice e che cosa avesse ricavato dal suo lavoro d’intelligence. Perché non era mai stata un agente segreto. Pochi ex Da Victoria la ricordano e tutti per la sua identità di allora. Sennonché un infiltrato non usa mai le sue generalità per un’operazione di spionaggio. Altrimenti che infiltrato è?

Accantonai così la sua figura, salvo ritrovarmela davanti tre anni più tardi, mentre proseguivo la mia inchiesta. Merito di un verbale. Quello che Pietro Orlandi dice di stare cercando perché non si trova? No, l’altro. Quello di Gabriella De Vincenzi, richiamato alla mente sempre dal fratello di Emanuela il 14 gennaio: «Questa persona non è di Roma. Abitava presso la famiglia di un’altra allieva […] e andò con […] questa […] a verbalizzare, perché qualche giorno prima si presentarono a casa loro due persone che chiesero informazioni presentandosi come persone che indagavano […] Loro andarono a verbalizzare alla Digos il giorno dopo, raccontando questo fatto e poi pure raccontando le cose che sapeva di questa storia. Io ho trovato il verbale di una delle due persone, quella che ospitava questo ragazzo a casa, e che dice: “Mi presento qua… insieme a…” dicendo nome e cognome di questa persona “per verbalizzare determinate cose. ‘Ieri è successo questo, questo e questo…’”. […] Lui aveva raccontato quello che sapeva che era successo all’interno della scuola. Beh, il verbale di questo non riesco a trovarlo ancora. Il verbale di lei l’ho trovato […] però non c’è questo verbale, dove lui dichiara che De Pedis frequentava la scuola».

Il verbale di Gabriella De Vincenzi alla Digos di Roma (cliccare per ingrandire)

Ma i fatti non andarono proprio così. Intanto perché la De Vincenzi non verbalizzò alcuni giorni dopo la visita delle due persone, ma la sera stessa. Era il 13 agosto 1983. «Mi sono recata nei vostri uffici […] perché questa mattina verso le 12,00 ho ricevuto presso la mia abitazione la visita di due persone che si sono qualificate come appartenenti alla “Polizia”. Costoro mi hanno rivolto diverse domande su Emanuela Orlandi». E non ebbe niente di significativo da raccontare: «Conosco Emanuela Orlandi dall’ottobre del 1981, quando c’incontrammo alla scuola di musica ‘T.L. Da Victoria’ dove insieme abbiamo frequentato il corso di canto corale. La nostra conoscenza era oltremodo superficiale anche a causa della differenza d’età». Parole che assestano un altro colpo alla voce di Emanuela innamorata di M. Perché certe confidenze non si fanno a chi conosciamo appena. Ma soprattutto, ed è la notizia più importante, Giorgio M. non verbalizzò nulla e non realizzò alcun identikit. Lo si deduce dal finale della deposizione – «Si dà atto che alla redazione del […] verbale è presente il predetto Giorgio M, che si identifica come sopra» – inserita nel fascicolo dell’inchiesta Orlandi col numero 783.

Indice degli atti (cliccare per ingrandire)

Se l’avessero interrogato, ci sarebbe stata anche la sua. Col numero 782 o col 784, rispettivamente attribuiti invece alla copia di un comunicato Turkesh e alla deposizione dello zio di Emanuela, Mario Meneguzzi. La Digos poi nell’audizione della De Vincenzi non avrebbe specificato la sua presenza, che s’inserisce quando una persona funge da accompagnatore (come un genitore col figlio minorenne) e si limita a confermare il racconto dell’altra. E se l’avesse sentito, non gli avrebbe consentito di presenziare al resoconto della fidanzata per evitare che il suo subisse condizionamenti. Infine, se fosse stato davvero un agente segreto, sarebbe stato innanzitutto un collega. Quindi avrebbe esibito un tesserino di riconoscimento, non sarebbe stata annotata la sua presenza e non sarebbe stato interrogato. Per cui sarebbe forse più proficuo investire meglio tempo e risorse nelle ricerche sulla sorte di Emanuela perché quel verbale non esiste.

LE TANTE FANTASIE, COME IL FINTO AGENTE SISMI

Dalla De Vincenzi, comunque, arrivano altre conferme sull’inconsistenza di quell’aspirante undercover. A Roma, oltre a risiedere nella casa di lei nel quartiere Salario, l’allora Giorgio M. era «domiciliato presso la “Pensione Mina” in via Villafranca», cioè tra Castro Pretorio e la stazione Termini. Al telefono invece mi aveva detto: «Avevo un alloggio al Don Orione, al Quarto Miglio […] mi hanno pagato tutto» con implicito riferimento agli onnipresenti «Servizi». E se è vero che era chitarrista, alla Taverna Antonina non ci lavorava certo mascherato da donna. Il locale si trova nei pressi del Parlamento, ha una lunga tradizione ed è spesso frequentato da personaggi illustri, politici in primis. Per cui, negli anni Ottanta di un’Italia dal pensiero ancora perbenista, mai avrebbe accettato un intrattenitore musicale in abiti femminili.

Così tante fantasie hanno ricordato quelle di Luigi Gastrini, il finto agente del SISMI apparso nel caso Orlandi nel 2011, e si aggiungono alla sempre più chilometrica schiera di bugie e mitomanie su questa vicenda. Se è comprensibile l’esigenza di verità – che spinge ad ascoltare chiunque e però prevede anche di cercare ovunque – questa non autorizza ad attribuire immediata veridicità a qualsiasi racconto. Come accaduto, per esempio, nel novembre 2019 con la favola della telefonata dei rapitori di Emanuela alla sala stampa vaticana la sera della scomparsa.

Sarà interessante vedere se stavolta, a differenza di allora, si riconoscerà d’aver preso un abbaglio. E se in futuro, davanti a eventuali situazioni analoghe, prima d’immettere notizie solide quanto l’argilla su quei social network terreno fertile per la cinematografia, ci si premurerà di accertarle. Come fa il buon giornalismo, che verifica le informazioni prima di diffonderle. E se si accorge che non lo sono, le cestina. Oppure le racconta per quello che sono. Delle balle, appunto. Come in questo caso.