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Hijos desaparecidos. La tragica realtà dei «figli appropriati» durante gli anni della dittatura argentina

Michele Riccardi Dal Soglio

Quella dei bambini sottratti alle detenute dei centri di detenzione e tortura è una vicenda che emerge all’attenzione dell’opinione pubblica argentina, assieme a quella dei desaparecidos, verso la fine del governo militare instauratosi nel 1976

Notte degli Oscar 1986-Norma Aleandro, Luìs Puenzo e Jack Valenti

Forse non tutti oggi ricordano la Notte degli Oscar del 1986, nonostante l’eccezionale concentrazione di eccellenti film e interpreti di questa edizione. La vittoria per il miglior film dell’anno viene assegnata a La Mia Africa di Sidney Pollack, la cui protagonista, Meryl Streep, perde la statuetta a favore della straordinaria Geraldine Page per la sua interpretazione in Viaggio Verso Bountiful. C’è anche più America Latina quell’anno: William Hurt ottiene il riconoscimento come miglior attore protagonista per Il Bacio della Donna Ragno di Héctor Babenco, film girato e ambientato in Brasile ma tratto dal romanzo omonimo dello scrittore argentino Manuel Puig. Nella pellicola vengono toccati i temi della guerriglia, della tortura e della repressione politica durante la presidenza costituzionale di Peròn.

Ma in quel 1986, alla Notte degli Oscar, l’Argentina è presente in modo più diretto perché il Paese partecipa per la seconda volta in pochi anni alla nomination per il miglior film in lingua straniera: è Robin Williams a introdurre l’attrice argentina Norma Aleandro che, assieme a Jack Valenti, presenta i film in lingua straniera candidati all’Oscar: Raccolto Amaro, di Agnieszka Holland, per la Germania Federale; Tre Uomini e una Culla, di Coline Serreau, per la Francia; Papà è in viaggio di Affari, di Emir Kusturica, per la Yugoslavia e Il Colonnello Redl, di Istvan Szabo, per l’Ungheria. Da ultimo, La Storia Ufficiale, di José Luis Puenzo, di cui l’attrice è anche la protagonista femminile.

È la stessa Aleandro a rompere il sigillo della busta contenente il nome del film vincitore, piegandosi subito dopo sul leggìo per soffocare un grido commosso ed esclamare poi un sentito: «God Bless You!!!».

LA REALTÀ DEI «FIGLI APPROPRIATI»

Chunchina Villafane e Norma Aleandro ne La Storia Ufficiale 1985

La Storia Ufficiale è quindi il film vincitore: il regista Luis Puenzo, nel suo broken english rotto più che dalla pronuncia dalle lacrime trattenute a stento, ricorda che proprio in quella stessa sera di dieci anni prima, il 24 Marzo 1976, l’Argentina entrava ufficialmente nella pagina più oscura della sua storia recente. Il film infatti fa conoscere a tutto il mondo uno degli aspetti più terribili e angoscianti della dittatura da poco finita, quello dei bambini sottratti alle madri desaparecidas e dati in adozione illegalmente a famiglie che non facevano troppe domande sulla provenienza di questi niños. Nella trama, la Aleandro è una professoressa di Storia in un liceo che – provocata e smossa dalle testimonianze di amici e allievi – durante l’ultimo anno della dittatura militare prende coscienza della realtà dei desaparecidos. Inizia così a sospettare che la figlioletta adottiva possa essere figlia di uno di loro, essendo entrata nella casa grazie alle conoscenze del marito, uomo d’affari potente e prepotente, in buone relazioni con gli apparati militari della dittatura.

Per Puenzo e il resto del cast non è stato semplice girare questo film, nonostante la dittatura fosse praticamente finita al momento dell’inizio delle riprese. Tutti e tre gli attori principali – Norma Leandro, Héctor Alterio e Chunchuna Villafane – erano stati fino a poco tempo prima esuli, fuggiti ancor prima dell’inizio del regime a causa delle minacce della Triple A. Al momento delle riprese hanno ancora paura per la loro vita: ricevono minacce più o meno velate e sanno di dover fare attenzione quando camminano per strada, soprattutto a causa della tematica del film che stanno girando.

La realtà dei figli appropriati – come vengono oggi chiamati i bambini sottratti, subito dopo il parto, alle detenute dei centri di detenzione e tortura – emerge all’attenzione dell’opinione pubblica argentina, assieme a quella dei desaparecidos, verso la fine del governo militare instauratosi nel 1976. Nel Paese sudamericano si inizia a parlare sottovoce di sequestri e uccisioni, verso il 1977-1978, principalmente a causa di pochi celebri casi che suscitano lo scalpore e la reazione della comunità internazionale, come quelli delle monache laiche francesi Lèonie Duquet e Alice Domon o dell’adolescente argentino-svedese Dagmar Hagelin. Per il governo militare argentino è relativamente facile confondere le acque operando una censura durissima, con la quale addossare la responsabilità dei sequestri alla guerriglia armata che in quegli anni sta dando gli ultimi colpi di coda. Il regime invoca, al tempo stesso, una presunta «campagna anti-argentina» mossa dalle sinistre internazionali per screditare la nazione tramite i mass media e le associazioni di tutela dei diritti umani. Dei sequestri meno celebri è invece più difficile parlare perché, dopo anni di guerriglia urbana tra varie fazioni armate e le uccisioni a sfondo politico, per molti comuni cittadini è davvero difficile capire se la sparizione di un conoscente, un collega di lavoro o un parente, sia dovuta a una fuga dal Paese, al passaggio in clandestinità con un movimento armato o invece a un arresto in piena regola per aver partecipato ad attività eversive. Per chi non ha dubbi sul fatto che i vari arresti notturni e le sparizioni siano dovuti alla repressione dello Stato, è comunque difficile parlare perché questo può comportare un pericolo concreto per sé stessi e i propri cari, come testimoniano i sequestri, le torture e le sparizioni di parenti, amici, avvocati e attivisti prelevati a loro volta per il solo fatto di aver insistito nel denunciare e investigare le desapariciones.

«NOI ARGENTINI? SIAMO DIRITTI ED UMANI»

Manifestazione per gli scomparsi, mentre Missing di Costa Gavras è nei cinema di Buenos Aires (foto Dani Yako)

L’incertezza e l’indeterminatezza relative alla realtà dei desaparecidos non sono frutto del caso, ma di un piano deliberatamente architettato dai vertici delle forze armate che hanno adottano i metodi di sequestro e tortura trasmessi loro dagli ufficiali dell’esercito francese – esponenti della cosiddetta Scuola francese istituita per smantellare la guerriglia durante i conflitti in Algeria e in Viet Nam. La segretezza e l’incertezza sul destino dei desaparecidos appaiono strumentali al fine di creare confusione, incredulità e terrore in una opinione pubblica che non sa che cosa stia succedendo ma vede, sospetta, teme, aborrisce, rinnega, rifiuta una realtà che ha i connotati di una leggenda urbana la cui reale portata è ignota a tutti tranne che ai servizi di intelligence che conducono il massacro. La Junta ha ben chiaro come questa strategia sia l’unica che permetta di agire senza suscitare una reazione di rifiuto da parte della popolazione, la sola possibile per non avere ingerenze da parte dei Paesi alleati, perché la repressione che si accinge a operare è qualcosa la cui dimensione non ha precedenti in Argentina. L’errore di Pinochet, che in Cile ammassa e tortura gli oppositori negli stadi davanti ai flash e alle telecamere della stampa internazionale, è un lusso che il nuovo governo civico-militare argentino, in cerca di stabilità economica e alleanze politiche e commerciali con l’estero, non può permettersi.

La reale portata della repressione comincia ad affiorare verso la fine della dittatura, quando la situazione economica è irrecuperabile e l’Argentina è uscita sconfitta e umiliata da una guerra sanguinosa e inutile come quella per il recupero delle Malvine. La convinzione dei militari di poterne uscire impuniti e indenni è fortissima, poiché con la repressione attuata in modo quasi indiscriminato credono di aver combattuto una guerra a tutti gli effetti. Ritengono quindi che l’opinione pubblica non crederà alle migliaia e migliaia di denunce di scomparse e testimonianze di torture che ormai vengono a galla ogni giorno o meglio pensano che le accetterà come prezzo da pagare per aver ottenuto la fine del terrorismo. Diviene a tal proposito emblematica una fotografia risalente alla fine del 1982: scattata quando è ancora in piedi la dittatura, durante uno dei primi cortei di protesta per la verità sui desaparecidos, mostra i cartelloni del film Missing, del regista Costa Gavras, fuori dai cinema della capitale. Come per dire – questo è il ragionamento della censura militare – che certe cose le fanno i cileni e non gli argentini, i quali, secondo un tristemente famoso slogan governativo di qualche anno prima, «sono diritti e umani».

I CENTRI DI DETENZIONE COME AUTENTICHE SATRAPIE

La polizia tenda di impedire la Marcha Por La Vida delle Madri di Plaza de Mayo, 5 ottobre 1982 (foto Eduardo Longoni)

Sin dagli inizi, la CONADEP – la Commissione nazionale sulla scomparsa delle persone istituita dal Presidente Raùl Alfonsìn per raccogliere le testimonianze necessarie all’istruttoria del processo contro i rappresentanti della Junta Militar – raccoglie le testimonianze relative a minori sequestrati assieme alle loro famiglie o a nati in prigionia. All’epoca della prima edizione del rapporto, divenuto celebre con il titolo di Nunca Màs (Mai Più), viene menzionato l’operato dell’associazione Abuelas de Plaza de Mayo che al momento aveva già raccolto denunce per 175 minori scomparsi. Se per i desaparecidos adulti la procedura di tracciamento, sequestro e trattamento nei campi di prigionia clandestini, ha seguito uno schema predefinito in quasi tutti i casi, la presenza di minori al momento del sequestro o la nascita di bambini durante l’internamento sono stati considerati sin dall’inizio un evento collaterale e accidentale. Lo stesso Jorge Rafael Videla – durante la sua discussa intervista-confessione rilasciata in carcere al giornalista Ceferino Reato e raccolta nel libro Disposiciòn Final – conferma come le istruzioni relative alla gestione dei minori fossero chiare ed elementari, per esempio quella di restituire i bambini ai parenti del nucleo familiare del desaparecido qualora questo fosse stato eliminato. In assenza di familiari adulti in grado di gestire i bambini, gli stessi avrebbero dovuto essere lasciati presso orfanotrofi o istituti caritatevoli.

Nella pratica, questa disposizione della Junta Militar spesso non verrà osservata e soprattutto nessuno ne verificherà l’applicazione. Nelle cinque macro-aree in cui l’intelligence militare suddividerà il Paese per organizzare la repressione vi saranno zone in cui i casi di minori appropriati si riveleranno praticamente inesistenti – come nel distretto di Còrdoba – mentre la grande maggioranza si verificheranno nell’area della Capital Federal e della provincia di Buenos Aires. I centri di detenzione e i comandi federali, a partire dall’inizio della dittatura, agiscono infatti come delle autentiche satrapìe nelle quali ogni comandante decide non solo della vita e della morte dei suoi prigionieri, ma anche della destinazione dei figli superstiti alla stregua di quanto accade per i beni mobili e immobili dei desaparecidos. Nulla viene riportato alle autorità superiori, nonostante queste attività in teoria esulino dall’obiettivo della repressione; esse sono però tollerate come una sorta di risarcimento o bottino di guerra – per quanto riguarda i beni dei sequestrati – e di una riassegnazione a favore di famiglie ritenute più degne e idonee nel caso dei bambini.

Sebbene vi siano casi di bambini – sia sequestrati coi genitori che nati in prigionia – restituiti effettivamente ai parenti o lasciati presso ospedali e istituzioni di beneficienza, una grande parte di minori viene affidata in adozione illegalmente. Sono ancora anni in cui – complici una legge sull’aborto estremamente restrittiva e situazioni di povertà endemica – le adozioni illegali o le ascrizioni di minori a nuclei familiari non originari rappresentano già una realtà preesistente in Argentina alla quale talvolta ricorre chi non può avere figli, ritenendo anzi di compiere un gesto di grande umanità. In un contesto simile per i repressori è molto facile tessere una rete di adozioni illegali: si va da casi sporadici in cui qualche militare fa arrivare un bambino a coppie di amici o conoscenti – desiderosi di un figlio a tutti i costi – fino a situazioni come quelle delle partorienti, detenute presso l’ESMA, assistite prima e dopo il parto da medici dell’Hospital Naval (Dr. Jorge Magnacco e Dr. Martìnez) con una lista già pronta di ufficiali di Marina che non potevano avere figli ed erano disposti ad adottarli illegalmente. In altri casi le partorienti non sono minimamente seguite durante il travaglio, potendo contare unicamente sull’aiuto delle compagne di prigionia. I bambini vengono così alla luce in condizioni spaventose, per poi essere tolti alla madre subito o dopo pochissimi giorni. Sono poi molte le testimonianze di ostetriche e infermiere in servizio presso ospedali, militari e civili, che vengono improvvisamente chiamate ad assistere e curare puerpere in condizioni anomale. Queste operatrici vedono donne bendate o ammanettate, in locali non adeguati, in orari o situazioni che creano molti interrogativi sui quali però viene loro richiesto di fare silenzio.

Manifestazione per la restituzione dei figli e nipoti dei desaparecidos, 1985 (foto Roberto Pera)

La sfrontatezza e l’impreparazione dei militari a volte rasenta l’incredibile come nel caso di Silvia Mabel Valenzi. Detenuta presso il famigerato Pozo di Quilmes, viene portata d’urgenza a partorire presso La Maternità dell’Ospedale Municipale di Quilmes da personale in uniforme della Polizia Provinciale di Buenos Aires. Gli agenti non si identificano e restano in sala parto durante tutto il travaglio, impedendo a chiunque dei presenti di parlare o interagire con la partoriente. Poco dopo aver messo alla luce il suo bambino, Valenzi viene portata via con un mezzo della Polizia Provinciale non prima di aver gridato ripetutamente il proprio nome e quello dei familiari nella speranza che qualcuno li avvisi. Il neonato, lasciato presso La Maternità dell’ospedale, morirà due o tre giorni dopo a causa della nascita prematura. Il cognome del bambino verrà infine cancellato dal registro delle nascite e sostituito con N.N., ma i familiari informati dall’ostetrica Maria Luisa Martinez de Gonzalez e dall’infermiera Genoveva Fratassi si recheranno presso l’ospedale e alla polizia dove la detenzione della giovane verrà negata. Le due donne, subito individuate, per il solo fatto di aver parlato, scompariranno nel nulla come migliaia di altri desaparecidos.

Nonostante quanto affermato dall’associazione Abuelas de Plaza de Mayo, le evidenze storiche e testimoniali dimostrano come l’appropriazione e l’adozione in via illegale dei minori non abbiano corrisposto a un piano sistematico, bensì a una bieca prassi resa possibile dall’arbitrio e dal senso di onnipotenza di chi gestì e attuò la repressione. Se è stato possibile, sotto la presidenza Menem, amnistiare i reati di sequestro, tortura e omicidio perpetrati durante la dittatura, lo stesso non è valso per i reati di sequestro e adozione illegale dei minori in quanto giuridicamente casi aperti che non potevano cadere né sotto prescrizione né essere indultati. Proprio su questa strategia giudiziaria è stato possibile riportare in tribunale, e far condannare, i responsabili di una parte di repressione politica avvenuta tra il 1976 ed il 1983 in Argentina. Nell’agosto del 2010, la Corte Suprema detterà l’incostituzionalità del precedente indulto concesso dal presidente Menem. A oggi, circa 130 hijos desaparecidos sono stati rintracciati e identificati, taluni per il lavoro dell’associazione Abuelas de Plaza de Mayo, altri perché hanno deciso di sottoporsi ai test genetici che ne hanno rivelato l’identità come figli o nipoti di scomparsi. Dal momento della rivelazione dell’identità originaria, il processo di accettazione e ricostruzione della propria identità fino ad allora vissuta richiede il superamento di un trauma inevitabilmente durissimo e straniante, tanto che molti di questi hijos sono restii ad abbandonare la famiglia adottiva mentre altri la rinnegano in pieno.

Resta il fatto che al di là della strumentalizzazione politica che oggi, da una parte o dall’altra, macchia il discorso sui diritti civili in Argentina, la realtà dei minori scomparsi durante la dittatura, ormai adulti, è forse l’eredità più persistente e terribile tra quelle che hanno straziato il Paese sudamericano della fine del XX secolo.