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La decadenza argentina. Una volgare cospirazione per uccidere Cristina Kirchner

Redazione Spazio70

I giovani che hanno attentato alla vita della vicepresidente non vivono nelle baraccopoli, ma provengono da una classe medio-bassa che è scivolata sotto la soglia della povertà durante la stagnazione economica che affligge l’Argentina da almeno undici anni

di Ceferino Reato*

In questo angolo del pianeta, “la fine del mondo” secondo le parole di Papa Francesco, settembre significa l’arrivo della primavera; è il mese del sole, dei fiori, degli studenti, dell’allegria, dell’amore. Tuttavia, questo settembre è iniziato in Argentina con un attentato nientemeno che contro la vicepresidente Cristina Fernandez de Kirchner, la persona più potente della politica locale.

Per fortuna il “magnicidio” non ha avuto luogo: il proiettile non è uscito dalla pistola calibro 32 impugnata da Francisco Sabag Montiel, un brasiliano di 35 anni che vive in Argentina dal 1993. La televisione ha mostrato quasi dal vivo e in diretta il momento esatto in cui Sabag Montiel ha puntato l’arma contro la testa della vicepresidente, che si recava in quel momento nel suo appartamento, sito in Recoleta, uno dei quartieri più eleganti di Buenos Aires, dopo aver diretto una seduta del Senato.

L’ARMA HA FATTO CILECCA? NO, A FAR CILECCA È STATO L’ATTENTATORE

Francisco Sabag Montiel

Tutti in questo Paese abbiamo visto, quasi nell’attimo stesso dell’attentato o in qualcuna delle innumerevoli ripetizioni di quella drammatica immagine, la mano sinistra che impugna la pistola Bersa, un vecchio modello che quell’azienda argentina non fabbrica da più di 40 anni. Nel Paese è il principale tema di conversazione da quasi tre settimane, oltre all’inflazione alta persino per noi argentini: nel solo mese di agosto è arrivata al 7%.

Sabag Montiel ha premuto il grilletto senza successo: l’arma ha fatto cilecca? No, le perizie hanno dimostrato che era in grado di uccidere. Chi ha fatto cilecca è stato l’attentatore che non ha portato a termine il movimento corretto nella pistola affinché il proiettile si posizionasse in canna; non sapeva usarla? Pare di sì, invece, a giudicare dalle immagini ritrovate sul suo cellulare che lo mostrano mentre maneggia l’arma pur con la mano destra. Forse non ha voluto uccidere? Si è innervosito? Forse nella fretta e in mezzo alla folla, che negli ultimi tempi tutte le sere si concentrava davanti all’abitazione di Cristina Kirchner per manifestarle appoggio contro le gravi accuse giudiziarie di corruzione, non ha azionato correttamente il carrello della pistola?

Sono solo alcuni degli interrogativi che circondano il tentativo di omicidio aggravato, come i giudici hanno definito il capo di imputazione del delitto avvenuto giovedì 1 settembre a una decina di minuti dalle 9 di sera.

LA MAGGIOR PARTE DEGLI ARGENTINI NON CREDE SIA STATO UN VERO ATTENTATO

Un dato molto curioso è che i sondaggi coincidono sul fatto che per almeno il 60% della popolazione argentina si sia trattato di una montatura del “kirchnerismo” per far apparire come una vittima Cristina Kirchner, che la giustizia ha collocato sul banco degli imputati per presunte manovre di corruzione con il denaro destinato alle opere pubbliche nella provincia patagonica di Santa Cruz, la roccaforte politica dei Kirchner. La maggioranza degli argentini non crede si sia trattato di un reale attentato e questo la dice lunga sulla mancanza di efficacia di Cristina come viene chiamata tanto dai suoi sostenitori come dai suoi oppositori nello sfruttare un avvenimento così drammatico.

Tutto ciò nonostante lei possieda molti attributi istrionici, al punto che lo stesso Francis Ford Coppola la definì “una diva” quando la conobbe: talenti che le sono risultati molto utili in questi tempi di “teledemocrazia” in cui la politica è uno spettacolo, una rappresentazione. Per esempio, nel 2010, quando morì Néstor Kirchner, suo marito e capo politico indiscusso, riuscì a riprendersi dal dolore e a dimostrare, prima ai “capoccia” peronisti e in seguito al Paese intero, che era in condizioni di governare senza di “lui”, come iniziò a chiamarlo, tutta di nero vestita, durante un lunghissimo lutto con cui affrontò una campagna elettorale travolgente che le permise la rielezione l’anno seguente, alla prima tornata e con il 54,11% dei voti.

Tutto ciò nonostante il kirchnerismo venisse da una sconfitta elettorale nelle legislative del 2009, dopo un conflitto con i produttori agrari. Ben appunto: nel 2011, Cristina vinse anche nella “pampa” agricola.

LE ACCUSE CONTRO GLI “AUTORI INTELLETTUALI” DELL’ATTENTATO

Appena tre ore dopo il tentativo di omicidio, il presidente Alberto Fernández ha quindi parlato a reti unificate per radio e televisione, dando la colpa dell’attentato al “discorso dell’odio”, disseminato dai detrattori del governo, in politica, nei mezzi di comunicazione e nel potere giudiziario, decretando festivo il seguente venerdì 2 settembre, cosa che è stata ampiamente sfruttata dal peronismo per organizzare marce verso la Plaza de Mayo a sostegno della vicepresidente.

Fernández è il presidente, ma nei fatti è Cristina che comanda dal momento in cui ella lo designò come compagno di corsa elettorale e al primo posto, nel 2019. Ovviamente, il discorso del Presidente fu “concordato” con la Vicepresidente, come poi ufficialmente confermato.

Sembrerebbe che alla “maga” siano finiti gli incantesimi. Nonostante orienti tutti i suoi sforzi verso il “discorso dell’odio”, verso i falchi dell’opposizione, i mezzi di comunicazione più critici e i sostituti procuratori che la accusano di corruzione, Cristina non è riuscita a migliorare la propria immagine pubblica né a riguadagnare terreno nelle intenzioni di voto. Tant’è che, come ha già lasciato filtrare, rinuncerebbe alla candidatura per la presidenza alle elezioni del prossimo anno.

Va riconosciuto a Cristina e ai suoi collaboratori di non aver difettato nell’impegno. Sono apparsi molto più adirati con i presunti autori intellettuali dell’attentato che con i giovani che sono stati arrestati, accusati di formare una banda capeggiata dalla compagna dell’aggressore, Brenda Uliarte, di 23 anni. “Oggi divento San Martìn, farò uccidere Cristina… Sarò la liberatrice dell’Argentina”, ha scritto costei in una chat con un’altra detenuta di 21 anni.

UN COMPLOTTO DA “DUE SOLDI” CHE SPINGE MOLTI A PENSARE A UNA MONTATURA

Brenda Uliarte, compagna dell’attentatore, ritratta mentre brandeggia la pistola usata nell’azione contro la Kirchner

La presunta leader di questa armata Brancaleone in salsa argentina non aveva idea di come il suo compagno sarebbe dovuto fuggire dopo l’attentato, né di come evitare che facesse il suo nome una volta arrestato: non si sarebbe nemmeno preoccupata di cancellare la valanga di messaggi sul suo cellulare in cui descriveva l’odio nei riguardi della “vecchia” — Cristina — e i preparativi per assassinarla. Non è stato sicuramente un attentato ben pianificato, però è stato abbondantemente discusso su WhatsApp dalla apparente organizzatrice e istigatrice del “magnicidio”.

Se tanti giovani di classe media e alta — molti di essi, incoraggiati dai propri genitori — affermano di volersene andare dall’Argentina per fuggire dalla sua inarrestabile decadenza, per Uliarte e i suoi amici la via d’uscita non passava dall’aeroporto di Ezeiza, ma dall’eliminazione, la cancellazione, del personaggio centrale della politica argentina da dodici anni a questa parte. Questa realtà smentisce, almeno per ora, l’enfatica interpretazione dell’ex capo del gruppo guerrigliero Montoneros, l’ex “comandante” Mario Eduardo Firmenich, che ha espresso solidarietà alla vicepresidente in un articolo giornalistico scritto da casa sua, nella periferia di Barcellona. “Una provocazione terrorista per la guerra civile”, così ha qualificato l’aggressione.

Tanto alla vittima come a una buona parte del giornalismo e del pubblico, le rivelazioni quotidiane di questa banda di emarginati sembra una cosa trascurabile. Sarà perché noi argentini aspiriamo sempre a qualcosa di più? “Vuoi fare un vero affare? Compra un argentino per quel che vale davvero e vendilo per quanto dice di valere” è una delle battute con cui ci sfottono i nostri vicini — ma questo complotto così poco sofisticato, da due soldi, spinge molti a pensare a una montatura.

LA CACCIA CONTRO GLI “ODIATORI” IN POLITICA, NEL GIORNALISMO E TRA I MAGISTRATI

Questo non vale ovviamente né per Cristina né per la maggioranza, secondo i quali dietro a questi giovani esistono — devono esistere! — le fabbriche dell’odio del nemico. I tentativi di individuarle nel PRO, il partito dell’ex presidente Mauricio Macri, sono falliti; non hanno avuto successo nemmeno frugando tra i seguaci del deputato ultraliberista Javier Milei, un personaggio estraneo alla politica “criolla”**. Hanno quindi puntato il dito contro gruppetti di giovani disillusi nei confronti dei falchi dell’opposizione, che negli ultimi mesi hanno condotto proteste più o meno violente. Non trascurano nemmeno gli “odiatori” del giornalismo e della giustizia. Riguardo ai giudici che accusano Cristina di corruzione, la cattiva notizia per la maggioranza di governo arriva dai sondaggi secondo i quali circa il 60% della popolazione avrebbe un’immagine positiva dei magistrati inquirenti.

Sia Cristina sia i suoi sostenitori sono convinti che dei giovani volessero ucciderla per l’odio inculcato dai magistrati nelle loro argomentazioni pubbliche ma, soprattutto, per la constante predica dei giornalisti “contro”, “dell’opposizione”, che lavorano per i “media egemonici, concentrazionisti”.

Vero è che non sono pochi i giornalisti che criticano duramente la vicepresidente e il kirchnerismo. Vari di loro, con un atteggiamento quasi sacerdotale, usano termini da barricata. Tuttavia Cristina non dipende dai media per trasmettere emozioni: risveglia amore in alcuni e odio in altri per come è, uno dei pochi politici che “buca lo schermo” e va oltre i media.

GLI ATTENTATORI? NON PROVENGONO DAL SOTTOPROLETARIATO “CLASSICO”

Nella sua prima apparizione pubblica seguente all’attentato, Cristina ha scelto di mostrarsi vestita tutta di bianco al Senato, insieme a un numeroso gruppo di sacerdoti e monache che lavorano nelle bidonville. Gli invitati sono tornati a consacrarla come loro leader indiscussa, rimpiangendo i bei tempi passati dei governi di Néstor (2003-2007) e di Cristina (2007-2015). Appartengono al kirchnerismo puro e duro, che nega l’identità peronista al presidente Alberto Fernandez e che si comportano come se Cristina non avesse nessuna influenza sulla politica economica che non regala altro che pessime notizie.

Anch’essi hanno incolpato dell’aggressione i profeti dell’odio. Però, mano a mano che l’indagine avanza, appare un’ipotesi più inquietante o, quantomeno, più impegnativa per tutti. I giovani che hanno attentato alla vita di Cristina non vivono in insediamenti d’emergenza o baraccopoli; non provengono dal mondo della marginalità o dall’emarginazione sociale, ma da una classe medio-bassa che è scivolata sotto la soglia della povertà durante la stagnazione economica, con inflazione, che affligge l’Argentina da almeno undici anni.

Sono sottoproletari sì, ma non del sottoproletariato classico: non sono marginali il cui tragico destino sarebbe il furto, la prostituzione o il narcotraffico. Sono piccoli lavoratori in proprio — venditori ambulanti di zucchero filato — hanno un titolo di studio di scuola superiore, gestiscono i propri account social e amano essere intervistati per strada durante i programmi televisivi.

UN CASO PER IL QUALE È ANCORA PRESTO GIUNGERE A CONCLUSIONI DEFINITIVE

L’incontro tenutosi in Vaticano tra Papa Bergoglio e il presidente argentino Alberto Fernández (31 gennaio 2020, fonte: Casa Rosada, Presidenza della Repubblica argentina)

Sono insomma privi di formazione politica, a malapena dimostrano un liberalismo selvatico: sono contro lo Stato, le tasse e la classe politica, che identificano come una corporazione sfruttatrice, incarnata dalla figura di Cristina Kirchner “la vecchia”.

Non vivono nelle bidonville, non dipendono dai sussidi del governo e non provano nostalgia per i rivoluzionari degli anni ’70; pertanto, non formano parte della clientela naturale del kirchnerismo né dei “curas villeros” – (i preti seguaci della teoria della liberazione che prestavano auto nelle bidonville, ndt) – che continuano ad adottare vecchie contrapposizioni, come per esempio “Popolo vs oligarchia” o “patria vs antipatria”.

Sono tempi amari per Cristina: ha incoraggiato gli assembramenti di sostenitori dinanzi al suo domicilio nel tentativo di proteggersi dalle accuse dei magistrati, convinta che “il popolo mi proteggerà”. Però in questo Paese così difficile, eccessivo, è accaduto che dei giovani della cosiddetta “economia popolare”, tanto cara alla maggioranza di governo, abbiano voluto ucciderla, a quanto pare rovinati e condotti alla follia da tanti anni di decadenza. Il dramma continua: è ancora troppo presto per giungere a conclusioni definitive.

[Traduzione e adeguamento dell’articolo a cura di Spazio 70. La versione originale del presente articolo, scritto in esclusiva per noi da Ceferino Reato, può essere consultata qui]

* Giornalista e scrittore, la sua ultima pubblicazione è intitolata “Masacre en el comedor”. Già redattore della sezione politica nazionale del giornale Clarin, caporedattore di Perfil, corrispondente dell’agenzia internazionale ANSA di San Paolo del Brasile, Reato è stato consigliere stampa dell’ambasciata argentina in Vaticano. Molto attivo sul circuito radio-televisivo argentino, ha pubblicato diversi libri d’inchiesta tra cui una serie di interviste all’ex dittatore Jorge Rafael Videla. Nel 2017 è stato riconosciuto dalla Fondazione Konex come uno dei cinque migliori giornalisti dell’ultimo decennio nel campo della ricerca. 

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