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«Incorrotta e perfettamente restaurata». La straordinaria storia (politica) della salma di Evita Peron

Michele Riccardi Dal Soglio

Se la notizia del ritrovamento del corpo di Evita, creduto definitivamente perduto da anni, riecheggerà in tutti i giornali del mondo, solo in Argentina la portata dell'avvenimento finirà per essere considerato, non a torto, un evento storico

Negli ultimi anni della sua esistenza don Giulio Madurini, ormai quasi del tutto cieco a causa del diabete, debilitato da un tumore cronicizzato, tornava spesso a raccontare alle persone che lo visitavano alcuni dei momenti che lo avevano più segnato nel corso della sua esistenza. Tra di essi, i ricordi dell’occupazione nazista — durante la quale si era prodigato per salvare diverse persone dalle rappresaglie dei tedeschi — e di quando era stato incarcerato per settimane, trovandosi a un passo dalla fucilazione; o di come quattro anni più tardi, in qualità di Superiore Generale dell’Ordine di San Paolo per l’Argentina, fosse riuscito ad accompagnare fuori dal Paese, salvando loro la vita, alcuni giovani ai quali il regime di Videla stava dando la caccia.

Ma una delle memorie alle quali don Giulio teneva di più era quella che, negli ultimi anni, aveva calamitato l’attenzione di giornalisti, storici e reporter: la restituzione della salma di Eva Duarte de Perón. Il sacerdote di origini italiane era infatti stato per anni custode della tomba milanese di Evita e l’unico a conoscerne l’esatta ubicazione.

UN CORPO MIRACOLOSAMENTE «INCORROTTO»

Giulio Madurini

È al suo ritorno dagli esercizi spirituali, a fine agosto del 1971 in una Milano deserta per l’esodo estivo, che don Giulio viene informato della visita di alcuni argentini alla portineria della residenza ecclesiastica di Villa Clerici. Il momento per lunghi anni atteso è ormai giunto e lui lo intuisce subito. Pochi giorni più tardi, infatti, la piccola delegazione, guidata dal colonnello Cabanillas, capo della SIDE, si ripresenta chiedendo la restituzione del corpo di Evita.

Accordata la sua assistenza per espletare, sotto il massimo riserbo, tutte le pratiche burocratiche necessarie alla riesumazione e all’espatrio della salma, don Giulio si presenta con Cabanillas presso il campo 41 , lotto 86, dove tra lo sbigottimento generale degli altri presenti il corpo della defunta — una certa Maria Maggi in Magistris, nome sotto cui era registrata la tomba di Evita presso il Cimitero Maggiore di Milano — appare miracolosamente incorrotto sebbene giaccia sottoterra dal 1957. Dopo aver distribuito una lauta mancia agli operai del cimitero per ringraziarli del lavoro svolto e soprattutto invitarli a un prudente silenzio, il sacerdote sale assieme a Cabanillas su un Caravelle della Iberia, diretto a Madrid, per incontrare di persona il vedovo della defunta, la cui salma nel frattempo affrontava via terra il viaggio da Milano fino alla Residencia 17 de Octubre a Puerta de Hierro, tramite una opportuna staffetta tra carri funebri, ambulanze e furgoni di pasticceria attraverso le varie frontiere.

Perón, avvisato soltanto all’ultimo momento dell’imminente restituzione del corpo della seconda moglie, accoglie don Giulio con un cordiale saluto in piemontese, lingua natia del sacerdote, millantando presunte origini alessandrine: le operazioni burocratiche di riconoscimento e affidamento, nonostante le iniziali proteste del segretario personale del generale, José Lopez Rega, verranno svolte con la massima discrezione, mentre Isabel, la terza moglie di Perón, si preoccuperà di ravviare i capelli della defunta e ricomporli nella forma dell’iconico «rodete» con cui spesso li acconciava la Primera Dama durante le sue apparizioni pubbliche.

UNA ICONA AL LIMITE DELLA «SANTITÀ»

Se la notizia del ritrovamento della salma di Evita, creduta definitivamente perduta da anni, riecheggia in tutti i giornali del mondo, solo in Argentina la portata dell’avvenimento finisce per essere considerato, non a torto, un evento storico. Nel 1971 la Primera Dama è scomparsa già da quasi vent’anni contro gli otto nei quali, pur senza aver mai ricoperto alcuna carica pubblica, aveva di fatto esercitato sulle masse argentine un potere di persuasione fin lì sconosciuto. D’altronde è proprio nel ventennio successivo alla morte che l’immagine di Evita, o sarebbe meglio dire la sua icona, acquista un significato e un potere ancor più grandi.

È corretto parlare di icona perché per le famiglie del sottoproletariato urbano e rurale — affluite nelle periferie delle grandi città da dentro e fuori il Paese durante gli anni d’oro di un’espansione economica della quale non tutti hanno beneficiato — Eva Duarte de Perón è a tutti gli effetti, che al Vaticano piaccia o meno, una santa. Per questa ragione già pochissimi minuti dopo il suo decesso causato dal cancro, la sera del 26 Luglio 1952, il medico anatomista spagnolo Pedro Ara aveva iniziato a praticare un processo di mummificazione, molto simile alla plastinazione, finalizzato in primo luogo a esibire il corpo intatto durante i 16 giorni di ostensione ininterrotta presso la camera ardente alla quale milioni di argentini si sarebbero recati come segno di omaggio e cordoglio. L’intenzione di Perón era quella di esporre per sempre la salma della Primera Dama in un colossale mausoleo raffigurante la stessa Evita — che nel progetto originale avrebbe dovuto essere più alto della Statua della Libertà di New York — in modo da perpetuare la sua memoria ben oltre le settimane di lutto civile obbligatorio imposto a tutti i lavoratori. Nel mezzo di tutto questo si poneva anche la richiesta, indirizzata al Vaticano e avanzata da una delegazione di deputati del Partido Justicialista, di aprire una causa di beatificazione.

L’ODIO DEI MILITARI E L’INUMAZIONE IN ITALIA

Il dottor Tellechea procede al leggero restauro della salma di Eva, dopo il rientro in patria nel 1974

Nell’attesa della costruzione del faraonico mausoleo — rimandata più volte non certo per le opposizioni parlamentari, ma per la crisi economica che colpisce l’Argentina a partire dal 1953 — la salma di Eva era stata conservata per tre anni, presso la sede centrale della Confederación General del Trabajo, senza mai ricevere cristiana sepoltura. Quando nel settembre 1955 il colpo di Stato denominato Revolución Libertadora metterà fine al secondo mandato costituzionale – ma sempre più autoritario – di Juan Domingo Perón, una delle prime azioni della giunta appena insediatasi sarà quella di inviare un drappello alla CGT per far scomparire la salma di Evita, da sempre odiatissima dai militari e disprezzata dagli oppositori del regime.

Nei successivi due anni il corpo, occultato in una cassa per ricambi radiofonici, viene spostato in continuazione tra le varie installazioni militari per evitare che i seguaci del peronismo proscritto possano rintracciarlo e recuperarlo. Nel frattempo la stessa salma è fatta oggetto di oltraggio e vessazioni da parte del custode, il colonnello Moori Koenig. Il presidente de facto Pedro Eugenio Aramburu, venuto a conoscenza dell’ossessione necrofila del militare, con l’aiuto del Vaticano e dell’Ordine di San Paolo, darà disposizioni precise per sottrarre la salma da certe attenzioni e da un possibile recupero per mano peronista; da qui il trasporto fino a Genova a bordo del transatlantico Conte Biancamano e poi l’inumazione, sotto falso nome, in un luogo non meglio precisato in Italia.

IL FANATISMO INCENDIARIO DEL GIUSTIZIALISMO «ORTODOSSO»

Il mistero che avvolge il destino del corpo di Eva – unito alla proscrizione imposta al peronismo che di fatto proibisce anche solo la semplice menzione della Primera Dama e di suo marito – diviene un combustibile eccezionale nell’alimentare la fiamma di un mito senza tempo. Da una parte Eva Duarte è l’icona del giustizialismo «ortodosso», quello fedelissimo a Perón, rappresentato dalla potentissima e invadente «burocracia sindical» che la stessa Evita aveva legittimato in vita con la propria azione sociale rivolta alle classi meno abbienti attraverso la costruzione di importanti infrastrutture – come policlinici, istituti per l’infanzia, colonie estive – gestite in modo esclusivo ed escludente da peronisti per altri peronisti.

Una immagine vera che però non tiene conto del «coté» rivoluzionario di Evita, la cui assoluta fedeltà e fanatica devozione pubblicamente riconosciute al generale si sono scontrate nell’ultima parte della sua vita con la volontà di assumere un ruolo politico ufficialmente riconosciuto e autonomo – la vicepresidenza della Repubblica contro la volontà dello stesso Perón – senza contare il desiderio di combattere una sfida all’ultimo sangue con le opposizioni arrivando, poco prima di morire, a finanziare per conto proprio l’acquisto di un arsenale di armi utile a organizzare una «resistenza peronista» nel caso di un tentativo di rovesciare il caudillo.

Dall’altra parte vi sono il fanatismo incendiario, che impregna i discorsi di Eva Duarte, e l’odio assoluto, dichiarato, verso qualsiasi classe sociale e proposta politica non aderenti all’ortodossia giustizialista: «Non dovrà restare in piedi un solo mattone che non sia peronista», recitava in un infuocato discorso. C’è poi il tema dell’amore incondizionato per la povera gente che, dopo estenuanti anticamere di giorni e giorni presso la sua fondazione, la Primera Dama ricopriva di elargizioni e regali finanziati non solo espropriando denari dalle tasche degli «schifosi oligarchi e vendipatria», ma anche attraverso il prelievo forzoso dalle buste paga di operai e impiegati dello stesso piccolo ceto medio di cui il peronismo si era erto a difensore.

EVITA: EROINA E ICONA DELLA «TERCERA POSICION» PERONISTA

Rimpatrio della salma di Eva Duarte in Argentina durante il governo di Isabel Peron

C’è poi, non ultima, la rivendicazione della partecipazione politica delle donne attraverso la creazione del Partito peronista femminile e il riconoscimento del diritto di voto: tutti elementi che accendono l’immaginario rivoluzionario di una generazione composta da giovani che spesso non erano ancora nati quando Eva Duarte de Perón era in vita e che in molti casi non provenivano nemmeno da famiglie peroniste bensì da quella classe media, socialdemocratica liberale ovvero conservatrice, della quale lei stessa augurava l’eliminazione.

È questa generazione — animata da un profondo desiderio di palingenesi sociale che a metà degli anni ’60 tocca i giovani di ogni Paese occidentale — a ritrovare dunque nella figura idealizzata di Evita l’eroina, la pasionaria rappresentante di quel «socialismo nazionale» che si pone come applicazione rivoluzionaria della «Tercera posicion» rivendicata dal peronismo. La loro Evita non è quella degli abiti sfarzosi di Christian Dior e Paco Jamandreu, degli abbaglianti gioielli esibiti a sfregio delle sue origini di povera figlia bastarda o quella che esibisce elaborate acconciature alte da diva del cinema anni ’40 quale aveva ambito essere; la loro immagine è quella celeberrima scattata da Aristobulo Fusco in cui Eva Duarte è ritratta in modo inusuale, abbigliata con una giacca sportiva e con la chioma sciolta al vento, mentre sorride fissando un ipotetico punto verso l’orizzonte. Immagine altrettanto iconica quanto la foto scattata da Alberto Korda al Che Guevara, che è sì argentino ma che ha lottato per una causa rivoluzionaria internazionale e non per la patria argentina come Eva.

UNA VISIONE DICHIARATAMENTE ANTIFEMMINISTA E TRADIZIONALISTA

È la Evita che gli slogan della Juventud peronista e della militanza armata celebrano cantando «si Evita viviera/ serìa montonera» (se Evita fosse viva, sarebbe montonera) come a rivendicarne il beneplacito postumo alle loro azioni di guerriglia. Più tardi lo stesso slogan, per sottolineare la lontananza ideologica dell’ultimo governo peronista dalla causa rivoluzionaria nazional-popolare e criticarne la conduzione caotica e violenta, diverrà: «Si Evita viviera, Isabel serìa copera» (se Evita fosse viva, Isabel farebbe l’entraineuse) — per rimarcare il disprezzo verso l’inetta e nemica terza moglie di Perón che ha avuto l’onore e l’onere di ottenere quella vicepresidenza negata a Eva usando contro di lei il suo passato di donna «poco seria». Curiosamente, quest’ultimo argomento nettamente sessista, è quello che durante tutta la sua vita, e anche dopo, i nemici del peronismo adotteranno per screditare Evita sfruttando la fugace carriera di attricetta per alludere — secondo una logica permeata di perbenismo maschilista — a un passato da donna di facili costumi, se non di vera e propria prostituta, secondo un’accusa che si rivelerà priva di ogni fondamento storico.

In realtà la figura di Eva infiamma anche i cuori delle giovani militanti peroniste degli anni ’70 che, sulla scia delle rivendicazioni dei movimenti internazionali per l’emancipazione della donna, vedono in lei un modello di autoaffermazione e riscatto della condizione femminile. Poco importa se Evita, pur volendo riconoscerle l’incredibile carisma e l’eccezionale capacità di conduzione politica, è giunta dove è giunta grazie al matrimonio con il suo leader e non ha mai rivestito alcun incarico ufficiale se non quello di «capo spirituale della Nazione». Ancor meno importa che la conquista del voto femminile universale sia stato il frutto, colto con eccellente tempismo, di una battaglia condotta già da decenni dalle donne ascritte al radicalismo e al socialismo — come Julieta Lanteri e Alicia Moreau de Justo — o che la creazione di un partito esclusivamente femminile di per sé non sia esempio fulgido di equiparazione dei ruoli sociali e politici.

Del resto, Eva Duarte è sempre stata estremamente chiara e onesta riguardo al ruolo della condizione femminile secondo l’ottica peronista, ossia una visione dichiaratamente antifemminista e tradizionalista che vuole le donne portatrici della verità politica del giustizialismo all’interno del focolare domestico e fedeli sostenitrici dell’attività politica dei loro uomini, in una versione in scala ridotta del ruolo da lei stessa svolto con abnegazione accanto al leader.

L’esplicito disprezzo verso le femministe«rimpiangono di non essere nate uomini» — verrà non a caso esternato anche nel libro La ragione della mia vita.

GLI EQUIVOCI SULLA FIGURA DI EVITA COME CONSEGUENZA DELLA NATURA «PROTEIFORME» DEL PERONISMO

La rivista Evita Montonera organo ufficiale del gruppo guerrigliero omonimo

Altri temi, come la devozione al cattolicesimo ortodosso e il viscerale anticomunismo espressi in vita, paiono cozzare con i valori dei giovani peronisti della cosiddetta Tendencia, la corrente rivoluzionaria della sinistra peronista che pure sembra permeata di quelle istanze ideologiche progressiste tipiche degli anni ’70. In realtà la conduzione iniziale di Montoneros sorge proprio da una formazione cattolica ultraortodossa e in taluni casi affine al falangismo, la cui morale — o meglio il moralismo — connota anche la condotta personale e sessuale dei suoi militanti, che non si fanno scrupolo di uccidere a sangue freddo il nemico della loro causa ma aborriscono il divorzio e castigano i casi di infedeltà coniugale tra i loro compagni guerriglieri.

Di certo se nella gioventù militante degli anni ’70 vi è un equivoco riguardo alla figura di Eva Duarte, e al suo autentico pensiero, ciò non dipende esclusivamente dalla mancanza di conoscenza diretta della donna quando era in vita, quanto dalla stessa natura proteiforme del peronismo capace di essere tutto e il contrario di tutto a seconda del contesto. Non a caso la prima azione di rivendicazione della salma di Evita coincide con la prima azione pubblica di Montoneros, quando questi rapiscono e assassinano l’ex presidente Pedro Aramburu, colpevole secondo loro di aver sequestrato il cadavere e quindi l’anima stessa del peronismo.

La restituzione del corpo sarà infatti il primo gesto di rappacificazione tra il governo de-facto del legalista Alejandro Agustìn Lanusse nei confronti di Perón che se da un lato apprezzerà il gesto, dall’altro, nel privato, avrebbe probabilmente fatto volentieri a meno di un fardello politico come la presenza, ora di nuovo fisica, della amata ma ingombrante consorte. Tanto è vero che quando lo stesso generale rientrerà acclamato in Argentina per vivere il suo ultimo fallimentare governo, il corpo di Evita resterà nel luogo della prima restituzione, ossia in quella residenza 17 de Octubre nella quale José Lòpez Rega aveva inutilmente tentato tramite le sue arti magiche di trasferire il carisma politico e la capacità oratorie di Eva nella «inservible» Isabel.

LA TUMULAZIONE NEL CIMITERO DELLA RECOLETA

È un’altra azione di Montoneros — il trafugamento del corpo di Aramburu dall’esclusivo cimitero monumentale della Recoleta in un macabro contrappasso della storia — a far decidere per il rientro definitivo della salma di Evita, attorno alla quale ormai le vicende di sangue e di dolore non si contano più. Il rimpatrio, avvenuto nel 1974, sarà tuttavia ampiamente sponsorizzato come un merito del governo di Isabelita e del suo guru Lopez Rega e le foto, celeberrime e molto discusse, degli sgherri della Triple A che allo sbarco dall’aereo scortano il feretro della Primera Dama pesantemente armati, come a custodire un tesoro minacciato e conteso, faranno le prime pagine dei quotidiani e rotocalchi di un Paese già logorato dalla violenza politica quotidiana.

Qui la rivendicazione della figura di Eva, ad opera della corrente più ortodossa e pertanto destrorsa del peronismo, rappresenta l’apice, ma non la fine, del periplo geografico e insieme ideologico compiuto da questa salma inquieta e portatrice di accezioni e posizioni politiche spesso in contrasto tra di loro all’interno dello stesso movimento. Paradossalmente, proprio gli oppositori esterni del regime, già installatisi con il colpo di Stato del marzo 1976, non obbietteranno nulla sulla tumulazione del feretro di Eva Duarte proprio in quello stesso cimitero della Recoleta in cui hanno trovato sepoltura tutti i padri della patria e i rappresentanti di quella élite oligarchica che tanto Evita disprezzava in vita. L’alternativa sarebbe stato il più popolare cimitero cittadino della Chacarita, dove era invece stato sepolto Perón, la cui salma, identicamente imbalsamata, sarà a sua volta profanata nel 1987 con l’amputazione delle mani in un oscuro caso circondato da misteriosi omicidi e tutt’ora irrisolto.

Se la salma incorrotta e perfettamente restaurata di Eva ha trovato definitivamente pace nel cimitero del quartiere più chic di Buenos Aires, la sua figura è da allora continuamente riesumata dal mondo dello spettacolo — basti pensare al celeberrimo musical dedicatole da Andrew Lloyd Webber e ai suoi adattamenti o all’interessante film eponimo di Juan Carlos Desanzo  o ancora dalla saturante propaganda di regime kirchnerista di Cristina Fernández. Quest’ultima, negli anni della sua discussa e discutibile presidenza, ha issato la figura di Evita a vessillo di quelle istanze progressiste — di cui la stessa sarebbe stata spesso nemica — imponendone l’immagine su edifici pubblici, sfondi televisivi e financo su quelle banconote da 100 pesos così mostruosamente svalutate dall’inflazione per la quale l’argentino medio, oggi più disincantato e ironico che mai, parafrasando la celebre frase apocrifa di Eva Duarte «Tornerò, e sarò milioni», recita: «Tornerò, e sarò poco più che una mancia».

Forse solo oggi Evita, libera dalla condanna di essere icona, potrà iniziare a ricevere il meritato trattamento che spetta a qualsiasi grande figura storica.