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Helmut Schmidt e la DDR di cartone

Redazione Spazio70

Durante il suo impegno politico Schmidt fu sempre attento verso le sorti della popolazione tedesco-orientale. Se da un lato si doveva imparare a «vivere nella divisione», condizione di cui nessuno conosceva la durata, dall’altro non si doveva «perdere di vista l’obiettivo di un progressivo superamento dei confini, della ricostruzione di un tetto comune»

di Gianluca Falanga

Dal gennaio 1992, quando entrò in vigore la legge speciale che aprì al pubblico gli archivi della Stasi, circa tre milioni di persone hanno letto il dossier che la polizia segreta della Germania orientale compilò su di loro. Secondo dati resi noti dall’Archivio di Stato federale (Bundesarchiv), che nel giugno 2021 ha acquisito il lascito archivistico della Stasi, fra i 111 chilometri lineari di documenti disponibili sono custoditi materiali riguardanti almeno cinque milioni di persone. Vuol dire che circa due milioni di persone hanno finora preferito rinunciare al loro diritto di verificare che cosa la Stasi abbia raccolto e scritto sul loro conto. Premesso che ciascuno è libero di decidere come preferisce, è interessante ragionare sulle motivazioni di questo fenomeno che gli psicologi definiscono di deliberate ignorance: la scelta di non voler sapere.

Un sondaggio recentemente realizzato dal prestigioso Max-Planck-Institut für Bildungsforschung di Berlino, in cooperazione con la Technische Universität di Dresda, ha prodotto in merito il seguente risultato: su un campione di 160 intervistati il 78% sostiene di non avere intenzione di leggere il proprio fascicolo perché le informazioni lì contenute non avrebbero alcuna rilevanza per la vita presente che si conduce, il 58% perché ha timore di scoprire di essere stato spiato da colleghi di lavoro, amici o parenti e, di conseguenza, il 44% perché ha paura, dopo avere appreso, di non riuscire più a fidarsi di nessuno; il 39% sostiene di sapere già che cosa ci possa essere scritto, il 29% ha dubbi sulla correttezza e veridicità delle indiscrezioni riportate, il 40% dichiara di non avere voglia di affrontare le noie che comporta la pratica burocratica, il 38% non ha simpatia per la cosa perché preferisce ricordare altri aspetti più positivi della vita nella DDR, il 22% sostiene di non volere fare questo passo perché sa che altri se ne sono pentiti, infine il 15% non ha interesse perché intorno a sé nessuno fra amici, parenti, vicini e conoscenti, ha mai voluto fare questa esperienza.

POLITICI OCCIDENTALI ERANO OBIETTIVO DI ELEVATO INTERESSE INFORMATIVO

Markus Wolf, a lungo alla guida dell’HV A (ADN-ZB/Schöps/8.12.89/Berlin)

Chi non vuol leggere il proprio fascicolo della Stasi è in compagnia non solo di tanti anonimi e comuni concittadini, ma anche di talune personalità illustri e noti personaggi della vita pubblica come lo scrittore e premio Nobel per la letteratura Günter Grass o il presidente dell’agguerrito sindacato dei macchinisti tedeschi Claus Weselsky. Fra questi c’è anche l’ex cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt, il quale, nell’agosto 2006, rifiutandosi di leggere gli incartamenti che lo riguardano, acconsentì alla loro pubblicazione nel rispetto delle disposizioni di legge vigenti, che prevedono l’oscuramento di passaggi o la non ostensione di interi documenti di contenuto strettamente privato.

Schmidt, naturalmente, è consapevole di essere stato oggetto – come quasi tutti gli uomini politici della ex Germania Ovest – di intensa attività di osservazione ed esplorazione spionistica da parte dell’intelligence estera della DDR nonché di altre strutture operative della Stasi, per esempio in occasione delle sue visite, di Stato o private, nella Germania orientale. Nello schedario degli agenti dell’Hauptverwaltung Aufklärung (HV A), a lungo diretta dal generale Markus Wolf, cancellieri, ministri e segretari di partito compaiono registrati con l’indicazione IMA, abbreviazione che sta per Inoffizielle Mitarbeiter mit Arbeitsakte, ovvero (traducendo alla lettera) «collaboratori non ufficiali con fascicolo di lavoro». Con Arbeitsakte o «fascicolo di lavoro» s’intende un dossier personale, nel quale è raccolto materiale informativo di una qualche utilità per il lavoro operativo intorno a una determinata persona. La sigla IM indicava invece la categoria dei confidenti o informatori, cosa che sulle prime aveva fatto strabuzzare gli occhi agli archivisti: se i politici occidentali erano registrati come IMA, voleva forse dire che erano tutte spie della DDR?

Ovviamente no: la dizione era forse infelice e inutilmente contorta, ma esprimeva soltanto che uomini politici di rilievo erano persone di grande interesse, pertanto qualsiasi contatto con loro (coperto, diretto o indiretto) era fonte di informazioni potenzialmente utili quanto quelle che si potevano recuperare con una collaborazione confidenziale. Insomma, Schmidt non era una spia, semmai uno spiato. Comunque sia, com’è naturale per un dirigente politico di tale calibro, un obiettivo di elevato interesse informativo.

NELL’OMBRA DI WILLY BRANDT

Brandt e Schmidt

Potrebbe sembrare disinteresse, forse dettato da una certa presunzione che si poteva essere tentati di attribuirgli. Da protagonista della politica, prima ai vertici della socialdemocrazia tedesca e del governo della Repubblica di Bonn, poi come illustre pensionato, Schmidt fu enormemente popolare, il suo parere cercato ed ascoltato, nonostante il carattere schietto e ruvido dell’amburghese verace, difficile da impressionare, poco incline a emozionarsi e a emozionare. Ma forse stava proprio in questa sua asciutta attitudine, che nei suoi ultimi anni di vita (è morto nel 2015) metteva nostalgia di una generazione di statisti e visionari della politica del passato, la ragione che dava peso alla sua parola. E, probabilmente, era dovuta proprio a questo suo distacco anseatico l’impressione, quando nel lontano 1974 divenne cancelliere succedendo a Willy Brandt, che non avrebbe dedicato la stessa premura alle ansie e ai patimenti del popolo diviso, specie a quelli dei cugini tedeschi orientali prigionieri dietro il Muro, come aveva fatto il suo predecessore.

Succedeva al padre e fautore della Ostpolitik, meritevole di avere rivoluzionato i rapporti fra i blocchi nell’Europa lacerata della Guerra fredda sotto gli auspici della distensione, colui che aveva avvicinato est e ovest e, malevolenza del destino, era inciampato su una spia comunista infilata nel suo ufficio. Scandalo a parte, che lo aveva costretto alle dimissioni, Brandt aveva suscitato speranze immense (anche superiori a quelle che intendeva accendere e alimentare senza dovere illudere) se non di superamento, quantomeno di alleviamento degli effetti della dolorosa divisione, nei cuori di tante donne e uomini della Germania orientale: a conquistarli, ancora più della sua opera politica, era stata la palpabile umanità dell’uomo, incapace di nascondere le proprie fragilità, senza che questo pregiudicasse la propria autorevolezza di politico carismatico, capace e attrezzato di passioni e idee forti.

Se non si poteva stravolgere l’ordine di mondo, allora forse si potevano (dovevano!) lenire le sofferenze e le difficoltà di un popolo costretto alla vita in due Stati ostili, in due sistemi diversi e contrapposti, rimuovendo il più possibile gli ostacoli ai contatti, facilitando viaggi e scambi, per evitare che straniamento e alienazione suggellassero la disgregazione della nazione tedesca. E il buon Schmidt, avrebbe raccolto il testimone e proseguito su questa strada? I dubbi, generati dal suo asciutto pragmatismo, si rivelarono ingiustificati e ingenerosi. In tempi che vedevano eclissarsi bruscamente le buone stelle della distensione, cedendo il passo al ritorno della competizione muscolare degli arsenali, ai fantasmi della guerra e dell’olocausto nucleare, il cancelliere dalla proverbiale retorica concisa e tagliente, alle grandi parole che mettono le ali agli animi, ma sollecitavano le insicurezze del regime comunista, preferì avvicinare i tedeschi provvedendo a migliorare le strade e le infrastrutture per rendere più agevoli viaggi, trasporti e comunicazioni, e promuovendo la cooperazione amministrativa, anche nelle questioni umanitarie, come il riscatto di prigionieri politici dalle prigioni della DDR.

Un’azione coerente e persistente, non sempre coronata dal successo, che doveva misurarsi con la suscettibilità e le linee rosse tracciate da Honecker, preoccupato di non consegnarsi mani e piedi all’influenza occidentale mentre nel 1980-81 si facevano drammatiche le condizioni finanziarie dello Stato tedesco-orientale e s’infiammava la crisi polacca.

IL DIFFICILE VERTICE DEL DICEMBRE 1981 

Erich Honecker, 1976 (Archivio federale tedesco)

Di queste tribolazioni sullo sfondo e dell’ansia che la situazione potesse sfuggire di mano ci raccontano, a loro modo, le carte della Stasi, solerte ancella («scudo e spada») del partito-Stato SED, le cui apprensioni si condensarono attorno alla visita di Stato a Rostock di Helmut Schmidt, in programma già per l’autunno 1980 e più volte rimandata. La diplomazia segreta era infine riuscita a fissare la data del vertice fra i capi politici delle due Germanie (sarebbe stato il terzo dopo il memorabile scambio di visite ufficiali ad Erfurt e Kassel del 1970) per le giornate del 11-13 dicembre 1981. Le condizioni, però, non potevano essere peggiori. Il 9 ottobre 1980 il ministero delle Finanze della DDR, senza preavviso, aveva disposto l’aumento del cambio minimo giornaliero per i cittadini tedeschi occidentali in visita nella DDR da 13 a 25 marchi (ovest) e senza esenzioni o agevolazioni per minori e pensionati. A questo «sgarbo» unilaterale erano seguite, solo quattro giorni dopo, nuove rivendicazioni, che rendevano proibitivo il prosieguo dei negoziati per ulteriori concessioni in ambito umanitario in cambio di aiuti finanziari. Le cosiddette «rivendicazioni di Gera» avanzate da Honecker, consistenti nel riconoscimento della nazionalità tedesco-orientale da parte di Bonn e nella chiusura del centro di registrazione di Salzgitter, dove dal novembre 1961 si raccoglieva sistematicamente documentazione dei crimini e delle violazioni dei diritti umani e civili commesse dalle istituzioni della DDR, erano prevedibilmente irricevibili per il governo social-liberale guidato da Schmidt.

Conoscendo al dettaglio gli umori della popolazione tedesco-orientale, come attestano le numerose informative inviate dagli analisti ai vertici del partito, la Stasi si premurò di allarmare l’autorità politica che, nonostante Schmidt avesse messo in chiaro prima di partire che non vi era da parte sua alcuna disposizione a trattare intorno a quelle richieste, le aspettative generate nei tedeschi orientali dalla visita del cancelliere non erano affatto modeste.

In tutti i distretti e in tutti i gruppi sociali sono molto diffuse determinate aspettative, anche se queste si esprimono nell’imminenza del vertice in maniera assai differenziata. Si registra che speculazioni e attese in relazione all’incontro, deliberatamente diffuse in forma di rivendicazioni dai mass-media della Repubblica federale, si riflettono nelle corrispondenti dichiarazioni e discussioni della gente, in parte sono state addirittura assunte da singoli come base per formare le proprie opinioni. Con riferimento all’elenco delle rivendicazioni avanzate dal CDU/CSU, ampiamente diffuso dai mass-media della Repubblica federale, nonché a quelle presentate dai rappresentanti del governo di Bonn, […] si giudica possibile che:

— sarà modificato il cambio minimo, con aspettative che vanno da una sua completa abolizione ad una riduzione a marchi dell’ovest 20,00 e ad un’esenzione per alcune categorie di persone (pensionati, minori, disoccupati, ecc.);

— sarà abbassato a 50-55 anni il limite minimo di età dei cittadini della DDR che possono recarsi nella Repubblica federale e a Berlino Ovest, probabilmente in combinazione con l’argomento che a quella età i cittadini della DDR si sarebbero ormai fatti una vita, acquisito una posizione e beni, mentre a Ovest non avrebbero alcuna prospettiva. Ciò basterebbe a «garantire» il loro rientro da soggiorni nell’Occidente non socialista;

la validità del visto d’ingresso giornaliero nella DDR sarà estesa a 48 ore …;

— […] saranno intrapresi scambi tra i due Stati tedeschi nei campi della letteratura, della cultura e dello sport.

[…]
Orientamenti ostili-negativi espressi apertamente hanno carattere individuale e sono privi di effetto sull’opinione pubblica. Si tratta essenzialmente di affermazioni di questo genere:

— l’incontro è stato richiesto unilateralmente del governo della DDR perché la tesa situazione economica nella DDR renderebbe inevitabile la consegna di aiuti da parte della Repubblica federale;

— […] sul tavolo del negoziato ci sarebbero anche specifiche questioni riguardanti la frontiera e l’Ovest dovrebbe pretendere l’abolizione dei «dispositivi di autosparo» …;

— il luogo delle trattative sarebbe stato per questo spostato in «aree più isolate», in modo che la popolazione della DDR non possa avvicinarsi a Schmidt e sia resa impossibile qualsiasi manifestazione di simpatia per il cancelliere;

— la delegazione tedesco-occidentale verrebbe probabilmente «schermata» in modo tale da non consentire a nessun cittadino «normale» della DDR di avvicinarsi;

— viene dato per certo che non si verrà ad alcun accordo in materia di «concessioni umanitarie» perché il governo della DDR avrebbe «paura» di accettare un numero troppo elevato di espatri verso la Repubblica federale.

(Da: Rapporto sulle reazioni della popolazione all’incontro Honecker-Schmidt, 11 dicembre 1981)

PAROLA D’ORDINE: EVITARE UNA SECONDA ERFURT 

Una delle vie di Güstrow che avrebbero visto il passaggio di Schmidt

Nei giorni che precedettero e seguirono il vertice come per tutta la sua durata, l’apparato di polizia segreta fu messo in stato di massima allerta. Vi era il forte timore che gli accadimenti nella vicina Polonia, dove si era alla vigilia della proclamazione della legge marziale da parte della giunta del generale Jaruzelski per avere ragione dell’opposizione, potessero spingere anche i tedeschi orientali alla protesta, magari cogliendo l’occasione della visita di Schmidt ovvero del faro dell’attenzione internazionale puntato sull’evento. La dirigenza della SED e molti ufficiali della Stasi avevano ancora nelle orecchie le grida acclamanti di Erfurt «Willy, Willy!»: si doveva impedire ad ogni costo una ripetizione dell’imbarazzante umiliazione del 1970, quando la folla nel capoluogo turingio aveva accolto Brandt come un salvatore.

Dopo due giorni di consultazioni nella residenza di caccia di Honecker nella foresta di Schorfheide, il programma concordato prevedeva per l’ultima giornata una visita al duomo di Güstrow (Schmidt aveva espresso il desiderio di potere ammirare il grande altare gotico, il famoso dipinto LAngelo sollevato di Barlach e l’atelier-museo dell’artista espressionista) con un passaggio al mercatino di Natale nella cittadina del Meclenburgo. Per l’occasione era autorizzata ai media occidentali la trasmissione in diretta: Honecker voleva presentare al mondo la sua DDR, compatta e quadrata all’interno, sicura di sé nell’affrontare il concorrente occidentale e, al contempo, aperta al mondo. E siccome la DDR così non era, si affidò alla regia del suo fedele Erich Mielke, capo della Stasi, perché gli mettesse in scena il più colossale degli show nella migliore tradizione russa dei villaggi Potëmkin, la costruzione di una ridente località fittizia, plastica rappresentazione della beatitudine nel socialismo realizzato, immersa nella magia di una luccicante e innevata atmosfera prenatalizia.

La Stasi si mise immediatamente all’opera, con diverse settimane di anticipo sul grande appuntamento. Furono passati al setaccio gli schedari per rintracciare tutti gli elementi ostili o potenzialmente tali, ne furono individuati 644, che nei giorni intorno al 13 dicembre furono sottoposti a misure di restrizione della libertà di movimento, fermo di polizia, arresto e persino allontanamento dal domicilio con l’inganno. I funzionari della polizia segreta provvidero anche a staccare le linee telefoniche per isolare gli abitanti e si ricorse all’impiego di ogni apparecchiatura di sorveglianza disponibile. Le aree di Güstrow che il cancelliere Schmidt avrebbe dovuto vedere (o sarebbero potute finire nell’obiettivo delle telecamere dei cronisti occidentali) furono messe a nuovo, tirate a lucido, le facciate delle case lungo il percorso stabilito dal protocollo restaurate e ritinteggiate.

Intanto, funzionari e militanti del partito effettuarono circa 1500 colloqui con le famiglie residenti negli stabili a ridosso dell’itinerario di visita per prepararli «consolidando la loro coscienza di classe», un po’ come si usava fare con gli atleti quando venivano mandati in «Paesi dell’estero non socialista» per partecipare alle competizioni internazionali. Si selezionarono inoltre persone che avrebbero dovuto formare un blocco di saluto, armato di bandierine, da sistemare lungo il marciapiede di sinistra, per simulare una folla di cittadini giubilanti che avrebbe accolto festosamente il segretario generale della SED. Era infatti previsto che Honecker sedesse al lato sinistro a bordo della Citroën presidenziale che avrebbe trasportato in corteo l’ospite fino alla piazza del mercato al centro della città. Doveva essere chiaro che il saluto dei passanti era rivolto al segretario generale e non al cancelliere.

VILLAGGI POTËMKIN: LO «STASI-SHOW» CON MIGLIAIA DI FIGURANTI

Figuranti della Stasi 

Come il principe di Tauride, che nel 1787, per impressionare Caterina II di Russia in occasione di un viaggio di Crimea, realizzò villaggi di cartapesta con tanto di attori che interpretavano falsi pastori dalla vita semplice e spensierata, Mielke, all’alba del 13 dicembre, fece scattare un’operazione senza precedenti, non solo per il numero di agenti coinvolti, circa 19.000 uomini della Stasi e 18.000 poliziotti, ma anche per la sua meticolosità. Intorno alle sei del mattino le forze dell’ordine bloccarono tutte le vie d’accesso alla città, poco dopo anche il centro storico veniva militarmente blindato, per consentire agli organizzatori di sistemare ai loro posti le comparse selezionate e preparate. All’arrivo di Schmidt, intorno alle due del pomeriggio, come al ciak di un regista, la piazza dove si teneva il mercatino di Natale, liberata dalla popolazione reale, si popolò di visitatori, clienti accalcati ai banchetti, famigliole a passeggio e curiosi davanti alle vetrine dei negozi riempiti di merci per l’occasione.

Esattamente come il pubblico che affollava il museo di Barlach e il duomo, quelle persone erano nella stragrande maggioranza agenti della Stasi in abiti civili che si atteggiavano a comuni cittadini. Onde prevenire qualsiasi atto ostile o sconveniente, anche la più modesta e innocente manifestazione di dissenso, scontento o piacere per la visita del cancelliere, le forze del regime si curarono di rendere impossibile che Schmidt potesse venire a contatto con un normale cittadino.

Ai residenti delle abitazioni che affacciavano sulla piazza era consentito di accedere alle loro case soltanto esibendo il documento d’identità e accompagnati fino alla porta da un agente di polizia. Ai soli giornalisti occidentali era concesso dimostrativamente di muoversi in libertà nella città proibita e di intervistare i passanti per la strada. Una quantità di volontari istruiti da funzionari di partito erano stati appostati in punti strategici, pronti ad attirare l’attenzione dei cronisti, a intercettarne le domande e a rispondere nel modo desiderato dal partito ovvero elogiando le confortevoli condizioni sociali e politiche della vita nella DDR ed esprimendosi risolutamente a favore del pieno riconoscimento della nazionalità tedesco-orientale rivendicata da Honecker a Gera l’anno prima.

L’enorme dispiegamento di risorse di ogni genere per controllare la situazione non bastò comunque ad impedire che un signore di nome Hans Camin riuscisse a farsi largo nella calca fino a raggiungere un giornalista e dare fiato davanti alle telecamere al proprio desiderio che tutti i tedeschi potessero viaggiare liberamente fra le due Germanie. Evidentemente, ci si era preparati anche a questa eventualità, perché immediatamente intervenne un altro fra i presenti a contraddire il concittadino, non era vero che non si poteva viaggiare, contestò, mentre altri sullo sfondo si misero a parlare l’uno sull’altro, una tattica studiata per catturare l’attenzione facendo muro contro il guastafeste, per non consentirgli di riprendere la parola.

IL TRIONFO DELL’INSANABILE CONTRADDIZIONE FRA ESSERE E APPARIRE 

Il leader tedesco-orientale Erich Honecker con Erich Mielke, capo della Stasi, in occasione del trentesimo anniversario del ministero della Sicurezza dello Stato (febbraio 1980, Archivio federale tedesco) 

Schmidt non si attendeva una simile sceneggiata, quando si accorse di essere circondato da un esercito di figuranti, rimase profondamente colpito e faticò visibilmente a stare al gioco, nascondendo a stento il proprio imbarazzo. La visita ufficiale si concluse verso le cinque del pomeriggio. Schmidt fu accompagnato alla stazione ferroviaria, da dove lasciò Güstrow, dopo una permanenza di circa tre ore, in direzione Amburgo. Anche la cerimonia del saluto era stata preparata nei minimi dettagli, gli attori disposti lungo il binario avevano ordine di applaudire composti, restando in silenzio. Nessun arrivederci, la parola spettava al solo Honecker.

L’unico gesto imprevisto fu una caramella per la tosse allungata da Honecker a Schmidt, che l’accettò ringraziando, affacciato al finestrino del vagone. Una sbavatura di spontaneità, destinata a diventare triste e bizzarra icona di quella fredda giornata prenatalizia, consegnata alla storia come la manifestazione più eclatante e deprimente dell’insanabile contraddizione fra essere e apparire, ambizione e realtà, propaganda e verità, che segnò l’esperienza storica del comunismo nella Germania orientale dal primo all’ultimo dei suoi giorni. Rientrato a Wandlitz, la colonia segreta avvolta nella foresta brandeburghese dove abitavano separati dal mondo, protetti dalle guardie e da un muro (un altro!) i dirigenti dell’alta nomenclatura, Honecker si precipitò a ringraziare Mielke indirizzandogli parole fiammeggianti di orgoglio e sincera riconoscenza: «Siete riusciti a evitare che Güstrow diventasse una seconda Erfurt!» 

In verità, la povera Güstrow era diventata una barzelletta. Nei giorni seguenti la stampa internazionale si divertì a prendersi gioco dell’indecorosa messinscena (il magazine Der Spiegel parlò di «Stasi-Show»), ma la cosa non interessò più di tanto il capo della SED, che si limitò a contestare tiepidamente al rappresentante di Bonn a Berlino Est, Klaus Bölling, «l’immagine deformata [trasmessa dai media tedesco-occidentali] della bella accoglienza riservata a Schmidt da Güstrow», che definì senza vergogna «cordiale e calorosa».

Schmidt non si lasciò scoraggiare dall’accaduto. Considerato il contesto (nelle stesse ore in cui si trovava a Güstrow, a pochi chilometri di distanza il governo polacco aveva annunciato lo stato di guerra, preludio a una brutale ondata repressiva nel paese), poteva ritenersi soddisfatto di avere mantenuto in vita il dialogo con Berlino Est. Negli anni Ottanta, dopo avere lasciato a Kohl la guida del governo, Schmidt continuò a dare segnali di attenzione verso le sorti della popolazione tedesco-orientale, recandosi quasi ogni anno da privato cittadino nella DDR, sempre puntualmente accompagnato dalla più o meno discreta presenza degli osservatori della Stasi, che registravano ogni suo movimento e parola pronunciata: per esempio nel settembre 1983, quando su invito del presidente del Concistoro evangelico Manfred Stolpe (per la Stasi, confidente col nome in codice Sekretär) e del vescovo Albrecht Schönherr assistette a una messa a Wittenberg e tenne un intervento davanti a un centinaio di persone al centro diaconico Oberlinhaus di Potsdam, oppure nel febbraio 1985, quando presenziò a Dresda alla cerimonia di riapertura della Semperoper, distrutta dal pauroso bombardamento della città del febbraio 1945 e ricostruita dal regime comunista, o ancora nell’ottobre 1986, quando davanti a 1400 persone nella Chiesa di San Nicola al centro di Potsdam pronunciò un discorso registrato dalla Stasi con grande apprensione per come fu accolto positivamente dai presenti.

Parlando della particolare responsabilità dei tedeschi per il mantenimento della pace nel mondo, in quell’occasione Schmidt accennò alla questione tedesca, dicendo che, se da un lato si doveva imparare a «vivere nella divisione», condizione di cui nessuno conosceva la durata, dall’altro non si doveva «perdere di vista l’obiettivo di un progressivo superamento dei confini, della ricostruzione di un tetto comune».

IL VERO IDEALISMO È LA SOBRIA PASSIONE DELLA RAGIONE PRATICA 

La «caramella» offerta da Honecker a Schmidt

La popolarità di Schmidt e l’insidia rappresentata dalla sua predicazione laica, volta a mantenere viva nei tedeschi la fiammella della speranza di una riunificazione della Germania, spinse la Stasi a vigilare con la massima attenzione anche in occasione della partecipazione dell’ex cancelliere alla Giornata della Chiesa evangelica, che si tenne a Rostock il 18 giugno 1988. Seppure tenuta segreta fino all’ultimo, la sua presenza attirò almeno tremila persone alla Marienkirche di Rostock. Ancora una volta, l’ultima prima della svolta del 1989, Schmidt insistette sul tema della «costruzione di ponti» fra i due Stati tedeschi, esortando esplicitamente il regime di Honecker a non perpetuare la divisione, bensì di aiutare a superarla. E, all’immancabile presenza degli osservatori attenti della polizia segreta, la folla esplose in un fragoroso applauso allorché il relatore ricordò che nel suo libro intitolato Peresetrojka Michail Gorbacëv aveva lasciato aperta l’opportunità di una risoluzione futura della questione tedesca, non scoraggiando le prospettive di una possibile ricongiunzione dei tedeschi «sotto un solo tetto dentro la comune casa europea».

Honecker e Schmidt si incontrarono almeno altre due volte, nell’autunno 1983 a Potsdam e nella primavera del 1985 a Berlino Est. Nonostante Güstrow e i timori del capo di Stato comunista che Schmidt potesse conquistare consensi alla socialdemocrazia nel suo popolo, il loro scambio rimase vivo. Nel 1986, anno in cui concluse la carriera politica con un memorabile discorso di saluto al Bundestag, un urgente appello ai parlamentari «a riflettere sull’ethos di un pragmatismo politico ispirato da obiettivi morali», Schmidt chiese ad Honecker un favore: dovendo scegliere un artista che dipingesse il suo ritratto da inserire nella Galleria dei Cancellieri, la serie dei ritratti dei capi di governo della Repubblica federale (fino ad allora cinque, compreso Schmidt), aveva deciso di incaricare Bernard Heisig, noto pittore della Scuola di Lipsia, uno degli artisti più rappresentativi della DDR, considerato in Occidente un artista di regime. Honecker ne fu rallegrato e mantenne la promessa che evidentemente aveva fatto: a dispetto dell’eccezionalità dell’evento, il suo regime evitò di sfruttare propagandisticamente la cosa e mantenne un profilo molto basso, Schmidt si recò nella massima discrezione a Lipsia per posare nell’atelier di Heisig e la stessa Stasi fu tenuta ai margini come un mastino a cuccia, la documentazione che produsse a riguardo fu assolutamente modesta, qualche foto della moglie di Schmidt, Loki, che passeggiava da sola allo zoo di Lipsia, generiche informative di rito, incartamenti burocratici relativi all’arrivo e alla partenza e poco altro.

Schmidt era notoriamente un grande apprezzatore della pittura espressionista e proprio all’espressionismo tedesco si rifaceva Heisig, però non fu questa la sola ragione che lo mosse a una scelta per l’epoca assai controversa. Non era il tipo, Schmidt, che si faceva impressionare dalle critiche, il suo fu un gesto forte e privo di retorica. Uno di quegli atti che ne hanno fatto un gigante della storia politica tedesca del dopoguerra, come queste parole che pronunciò nel suo ultimo discorso al parlamento, applaudito dai deputati dell’intero emiciclo:

Ciò che vogliamo ottenere, ciò che vogliamo fare, deve avere una base morale. La strada che scegliamo per cercare di raggiungere l’obiettivo deve essere percorribile realisticamente, non può essere illusoria. Ma a qualunque cosa miriamo, non possiamo dimenticare che per raggiungere una meta lontana occorre fare molti piccoli passi. Non si creda che un tale ethos possa privare gli obiettivi politici del loro valore o il quotidiano della politica del suo fuoco. Il raggiungimento dell’obiettivo morale richiede un agire politico pragmatico e ragionevole, passo dopo passo. Al contempo, la ragione ci concede per questa via un incomparabile pathos. Perché non ci dovrebbe essere entusiasmo più grande della sobria passione per la ragione pratica.

(Da: Discorso di saluto al Bundestag, 10 settembre 1986)