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Buenos Aires, 21 marzo 1972. L’ERP sequestra e uccide il dirigente Fiat Oberdan Sallustro

Michele Riccardi Dal Soglio

«Socrate, prima di bere la cicuta, deplora l’atteggiamento piangente dei suoi discepoli. Li giudicava come invidiosi perché lui invece avrebbe conosciuto prima di tutti loro la verità. Sono molto sereno pure io perché finalmente conoscerò la verità di Dio»

Il 21 marzo in Argentina è il primo giorno d’autunno, ma il clima almeno a Buenos Aires è ancora gradevolmente caldo e le foglie delle jacarandà che ombreggiano i viali della città non sono ancora ingiallite. Quel mattino, alle 11.20, dal civico 2628 di Calle Casares a Martìnez, comune alle porte della capitale, un uomo d’affari esce da un elegante villino a bordo della sua Fiat 1600 per recarsi al lavoro in centro, affiancato dall’autista personale che siede al posto del passeggero. Non ha nemmeno percorso una cinquantina di metri lungo la via che un furgone Dodge gli taglia la strada, obbligandolo a sterzare e a finire con le ruote anteriori contro il marciapiede. Un gruppo composto da alcuni individui e almeno una donna spalanca la portiera della berlina e cerca di trascinare via l’uomo che si dibatte con tutte le forze, fino a perdere la giacca. Alla fine viene caricato a forza sul furgoncino. L’autista, invece, tenta di fuggire e gridare aiuto, ma viene raggiunto da dei colpi d’arma da fuoco. Nonostante le ferite riuscirà a trascinarsi fino a una casa vicina per allertare i soccorsi.

«LA VIOLENZA NELLE MANI DEL POPOLO NON È VIOLENZA, È GIUSTIZIA»

Oberdan Sallustro ritratto nel covo dei sequestratori

L’uomo sequestrato quel 21 marzo 1972 non è un imprenditore qualunque: è Oberdan Guillermo Sallustro, il numero 1 di Fiat Concord – filiale argentina del colosso multinazionale italiano dei motori. L’azione è appena stata portata a termine dai guerriglieri dell’ERP (Ejercito Revolucionario del Pueblo). Quello del 1972 non è infatti un autunno caldo solo dal punto di vista climatico nel Paese australe: il presidente al potere è Alejandro Agustìn Lanusse, militare appartenente allo schieramento dei colorados, il cui governo non costituzionale regge da due anni il Paese dopo aver rimosso dalla Presidenza della Repubblica un altro militare, Juan Carlos Onganìa.

Onganìa a sua volta aveva deposto l’integerrimo ma debole Arturo Umberto Illia nel 1966 e non sembrava avere alcuna intenzione di mollare lo scranno di Rivadavia – il primo presidente dell’Argentina – per restituire il Paese a legittime elezioni.

Lanusse invece non è solo intimamente convinto che i militari non debbano occupare ad libitum la scena politica – intervenendo soltanto in condizioni del tutto eccezionali – ma è altrettanto certo che la responsabilità di gestire o quanto meno mettere freno al fenomeno della guerriglia che da due anni colpisce l’Argentina con azioni sempre più audaci e violente spetti alla politica parlamentare, alla fin dei conti essa stessa fautrice della resistenza armata. Quando pensa questo Lanusse si riferisce certamente a Peròn, che dal suo dorato esilio madrileno incoraggia le azioni di lotta armata di Descamisados e Montoneros, le due principali organizzazioni di ispirazione giustizialista, affermando che «la violenza nelle mani del popolo non è violenza, è giustizia».

LA GUERRIGLIA ARGENTINA. ERP E MONTONEROS

Nella galassia di movimenti più o meno rivoluzionari che gravitano nella scena argentina ce n’è però uno che si distingue sia dal punto di vista politico che per la terribile determinazione: è appunto l’ERP, nato come braccio armato del PRT (Partido Revolucionario de los Trabajadores), partito di ispirazione marxista e trotzkista, da Mario Roberto Santucho Ana María Villarreal, Luis Pujals, Enrique Gorriarán Merlo, Benito Urteaga, Domingo Menna, José Joe Baxter tra gli altri. Nonostante o forse proprio perché la presenza della dottrina marxista leninista non ha mai veramente attecchito in Argentina – dove le istanze tipiche del socialismo sono state storicamente fagocitate dalla dottrina nazionalista della tercera posicion di Peròn – gli stessi militari al potere e l’intelligence governativa non sembrano prestare all’ERP la stessa attenzione che danno ai movimenti armati di ispirazione peronista che, certo non a torto, sono considerati come il vero rischio per la sicurezza del Paese a causa del fortissimo consenso che il tiranno profugo e la sua dottrina esercitano a distanza anche nella generazione più giovane.

Non sbaglia del tutto Lanusse nel pensare che, facendo ritornare Peròn nel Paese, la spinta alla lotta armata dovrebbe conoscere una battuta d’arresto: è infatti proposito dello stesso gruppo di Montoneros e dei movimenti armati a esso vicini di cessare la guerriglia se il vecchio caudillo tornerà al potere. I Montoneros in questa fase della loro esistenza intendono infatti destabilizzare il governo militare e accelerare il ritorno alla democrazia per far vincere Peròn e imporre con lui un modello di socialismo nazionale che dovrebbe controllare il capitale – non distruggerlo – e fomentare lo sviluppo del Paese in un’ottica nazionalista e non allineata. L’ERP non ragiona così, ha obbiettivi diversi e non è interessato alla creazione di una Argentina Potencia ma a una rivoluzione marxista su scala continentale, mediante la distruzione del capitale e l’instaurazione di una rivoluzione permanente, per raggiungere la quale è necessaria una strategia di guerriglia foquista sul modello cubano e vietnamita.

LA «FIAT CONCORD» E LE TENSIONI SINDACALI

Conferenza stampa degli esponenti di ERP

L’ERP a differenza dei Montoneros non ha il supporto di una larga base di simpatizzanti e fiancheggiatori e non conta sul consenso di un vasto gruppo di aggregazione politica come la Juventud Peronista: l’ERP semplicemente non è interessato al consenso delle masse, né al loro ritorno verso una democrazia parlamentare, perché dovrebbero essere liberate e condotte attraverso la rivoluzione, non persuase. L’unico punto che accomuna i due grandi movimenti armati in questa fase è il riconoscimento della «anomalia argentina» e il conseguente spostamento del foquismo da un contesto rurale a quello urbano: l’Argentina degli anni Sessanta e Settanta, con l’eccezione dei latifondi della canna da zucchero della provincia di Tucumàn, non ha mai avuto un grande sottoproletariato rurale come quello di altri Paesi latinoamericani, ma un vasto proletariato urbano e una diffusissima piccola borghesia urbana operaia e impiegatizia. E’ per questo che le prime azioni di ERP volte a ottenere un successo effettivo oltre che mediatico sono quelle operate in città: svariati assalti a commissariati, assassinii di poliziotti in servizio finalizzati a sottrarre armi da fuoco, clamorose rapine a istituti di credito nei quartieri più blindati della capitale, sequestri di persona a scopo estorsivo, espropri proletari molto reclamizzati a beneficio di quartieri indigenti, attentati di varia natura, il tutto nel contesto urbano delle maggiori città industriali come Buenos Aires, Rosario e Cordoba.

Tornato al 21 marzo, il quotidiano La Razòn pubblica subito la rivendicazione di ERP nella sua edizione straordinaria. A Oberdan Sallustro viene imputata la colpa di aver saccheggiato il Paese e aver attuato pratiche monopolistiche, nonché di aver usato la repressione nei confronti dei suoi dipendenti. Fiat Concord negli anni Sessanta è una impresa in fortissima crescita in Argentina perché sta investendo e innovando molto, dopo aver individuato una fascia di mercato prima trascurata dalle grandi major automobilistiche statunitensi. Se esiste un monopolio in questo settore, lo sta abbattendo assieme alle altre case produttrici che hanno deciso di installare le loro fabbriche localmente anziché delocalizzare. Agli effetti benefici sull’occupazione e sul benessere nei principali distretti urbani, si contrappongono però gli inevitabili conflitti sindacali di cui i leader militari della Revoluciòn Argentina iniziata nel 1966 non amano sentir parlare nel tentativo di gestirli con una fallimentare politica corporativista. E’ durante la rivolta urbana del 1971 conosciuta come Viborazo che i sindacati Sitrac e Sitram, fortemente legati all’estrema sinistra rivoluzionaria, vengono commissariati e poi sciolti durante l’intervento del capo dell’esercito Alcide Lopez Aufranc: a seguito di ciò i leader sindacali vengono arrestati, e 260 impiegati di Fiat Concord sono inizialmente licenziati.

IL PRESIDENTE LANUSSE RIFIUTA QUALSIASI TRATTATIVA

Nei successivi comunicati dell’ERP non viene fatta menzione di una richiesta di riscatto, ma proclamata l’intenzione di procedere a un processo del popolo che ricorda tristemente quello farsesco e frettoloso che due anni prima aveva condannato a morte l’ex presidente Aramburu. Chi conosce Sallustro, resta doppiamente sconvolto da questa notizia; l’uomo, cittadino paraguayano nato in una famiglia di emigrati napoletani, non solo ha compiuto i suoi studi superiori e iniziato la sua carriera in Italia, ma vi ha fatto la guerra e lottato assieme ai partigiani contro l’occupazione nazifascista. E’ anche per questo che Aurelio Peccei, uomo chiave della Fiat con una storia familiare a sinistra, fondatore del Club di Roma e presidente delle operazioni industriali della casa torinese in America Latina, gli ha affidato lo sviluppo della filiale argentina.

Peccei stesso vola immediatamente a Buenos Aires per portare il suo aiuto nella negoziazione, mentre i comunicati di ERP si susseguono frequenti e contradditori: in un primo momento si dichiara che Sallustro è stato condannato a morte, poi che la condanna resterà in vigore ma la sua attuazione potrebbe essere sospesa a fronte di un versamento in contanti di un milione di dollari, la liberazione dei sindacalisti di Sitram e Sitrac arrestati l’anno prima, la riassunzione dei dipendenti Fiat licenziati e in ultimo la liberazione dei «guerriglieri» di ERP in carcere e il loro trasferimento in Algeria. Tra i suddetti guerriglieri c’è Mario Roberto Santucho, il leader del gruppo terrorista, in quel momento in carcere.

Peccei preme presso il presidente Lanusse per poter negoziare direttamente con i leader ERP e dichiara alla stampa che Fiat è disponibile ad accondiscendere alle richieste ricevute, sempre restando nella legalità pur di mettere in salvo Sallustro. Lanusse da parte sua è cortese ma inflessibile: ringrazia la dirigenza Fiat ma conferma che non si negozia con «delinquenti comuni», come definisce i terroristi di ERP in ripetute occasioni davanti a Peccei e alla stampa nazionale. Anzi, i leader di ERP vengono spostati improvvisamente in un altro carcere di massima sicurezza nella città di Rawson, a centinaia di chilometri dalla capitale, rendendone impossibile il contatto con Peccei. Nel frattempo, il 26 marzo da parte di ERP si comunica improvvisamente e senza dare spiegazioni che ogni trattativa, inclusa quella che riguarda la liberazione dei propri guerriglieri e la riassunzione dei lavoratori licenziati, è sospesa: si dichiara tuttavia l’impegno a salvaguardare la salute fisica e mentale del condannato. Salute che è in serio pericolo, perché nelle prime due settimane di prigionia Sallustro, che è cardiopatico, ha già perso più di dieci chili e non ha accesso ai medicinali essenziali per la sua sopravvivenza.

GLI APPLAUSI DI SARTRE E CORTÀZAR AI SEQUESTRATORI

Perquisizione dello chalet di Villa Lugano in cui Oberdan Sallustro viene assassinato, pochi momenti dopo l’irruzione della polizia

Non serve dire che l’opinione pubblica argentina è sconvolta da questo sequestro, più di quanto lo sia stata per quello di Aramburu due anni prima. Mentre gli appelli strazianti della moglie di Sallustro, Ida Burgstaller, riecheggiano nei televisori di tutto il Paese, gli esponenti dei più diversi schieramenti politici si dichiarano disponibili a negoziare con i sequestratori, dall’ex presidente Arturo Illia a Rodolfo Ortega Pena, l’avvocato marxista difensore dei prigionieri politici. Le loro offerte cadono però nel vuoto: nel frattempo il 20 marzo una concessionaria Fiat di Cordoba viene fatta saltare per aria da un bomba ad alto potenziale, fortunatamente senza vittime, mentre nelle stesse ore un comunicato di solidarietà firmato da 8000 tra impiegati e operai Fiat Concord invoca la liberazione di Sallustro.

La vicenda ha una notevole ripercussione mediatica anche all’estero: la notizia appare su tutti i principali quotidiani occidentali e se in Argentina l’organo ufficiale del Pc locale Nuestra Palabra condanna fermamente il metodo terroristico del sequestro di persona, in Francia Jean Paul Sartre e Julio Cortàzar plaudono all’azione di ERP augurando che sia la prima di tante iniziative simili, mentre Paolo VI intercede per la liberazione dell’ostaggio.

L’azione ai danni di Sallustro certo non aiuta a favorire l’immagine della rivoluzione marxista presso l’opinione pubblica argentina, che negli stessi giorni assiste ai disordini e alla débacle economica e istituzionale che sta avendo luogo nel vicino Cile dove, di fronte alle continue rivolte popolari e alla minaccia di caduta del governo di coalizione, Salvador Allende decide di chiudere le camere. All’interno dello stesso gruppo ERP che ha sequestrato Sallustro, ci sono le prime avvisaglie di dissenso: Carlos Ponce de Leòn, uno dei capi anziani, si rende conto che l’operazione – capace di coinvolgere ben più di una dozzina di guerriglieri a vario titolo – non viene gestita con la professionalità e la sicurezza che l’organizzazione dovrebbe avere. Rimprovera ai suoi colleghi più giovani, quasi tutti studenti, di trovare in Sallustro una persona umana e intelligente con cui è gradevole discutere: loro non hanno quello che ha lui, ossia un odio puro vero l’uomo e l’organizzazione che rappresenta. A Ponce de Leòn non interessa che Sallustro possa sembrare una brava persona o sia un ex-partigiano bensì gli rimprovera il fatto che la figlia di uno degli operati licenziati l’anno prima si sia data alla prostituzione, presumibilmente per via della perdita di reddito del padre, il quale per il dispiacere e il disonore si sarebbe poi tolto la vita.

L’IDEA DI UCCIDERE SALLUSTRO

Sallustro, dal canto proprio, non si lascia coinvolgere in questo tipo di provocazioni, ma chiede se può scrivere un’altra lettera alla famiglia: gli viene concesso e in quel momento Ponce di Leòn si rende conto che il manager Fiat anziché scrivere con la matita sta utilizzando la sua Rotring personale, un tipo di penna nuovissima e ancora rara in Argentina, il cui tratto e inchiostro rappresentano una possibile pista per la polizia scientifica federale. Sallustro viene quindi privato della sua Rotring e trasferito in un altro covo dell’ERP, mentre Ponce de Leòn dà indicazioni di far sparire e bruciare ogni traccia. Raccomandazione che non viene osservata; pertanto il 3 di aprile, quando la polizia arresta lui e altri membri di ERP, appare subito chiaro che gli inquirenti non si trovano di fronte a una cellula qualsiasi dell’organizzazione terroristica ma a una molto vicina al sequestrato.

Per questa ragione Sallustro viene spostato di nascondiglio in nascondiglio fino all’8 Aprile 1972 quando i vertici di ERP si rendono conto che la rottura della negoziazione con Peccei, voluta da Lanusse, impedisce loro di percorrere la via del riscatto. Se uccidono il sequestrato non otterranno la soddisfazione di alcuna richiesta; la liberazione dei «prigionieri politici» diviene un obiettivo irrealizzabile così come la consegna di denaro e armi, inizialmente proposta dalla Fiat, da effettuare in Uruguay.

L’idea che resta è insomma quella di uccidere Sallustro nel caso in cui il covo venga scoperto. L’impasse si scioglie il 10 aprile, quando allo chalet del civico 5413 di Avenida Castanares, nel quartiere di Villa Lugano, si avvicinano due poliziotti in borghese della Policia Federal. Il giorno prima era stata effettuata la perquisizione di un altro covo e l’arresto di un ulteriore membro di ERP, Martin Leguizamon, in una operazione che ha forse condotto, grazie a una serie di indizi, la polizia proprio a Villa Lugano. Gli inquirenti parleranno sempre di un controllo per verificare le informazioni ottenute il giorno prima, affermando anche di non avere avuto alcun sospetto di poter trovare Sallustro. In ogni caso non appena la polizia si presenta al citofono dello chalet viene accolta da una salva di colpi di pistola e in brevissimo tempo tutto l’isolato, all’epoca ancora popolato da poche villette e un solo edificio a due piani, si ritrova accerchiato da un imponente schieramento di agenti.

I TRE COLPI, DI CUI DUE MORTALI

Titolo del quotidiano La Naciòn. Nello stesso giorno in cui viene ucciso Sallustro, un altro commando ERP spara sull’auto del Generale Sanchez nel centro di Rosario, uccidendo anche una edicolante

Ai sequestratori viene lasciata via libera sul retro della casa, dal quale scappano coprendosi la fuga sparando verso una viuzza posteriore: è in quel momento che i colpi si placano e la polizia irrompe dell’abitazione, registrata a nome dello studente Mario Klachko e della moglie Guiomar Schmidt; è lei l’unica rimasta, e si fa trovare in piedi nel soggiorno senza offrire alcuna resistenza all’arresto. Mentre la ammanettano, indica ai poliziotti che in un’angusta stanzetta senza finestre troveranno Oberdan Sallustro: qui l’uomo giace, freddato da tre colpi di cui due mortali, uno al petto e l’altro in mezzo agli occhi. La Schmidt sostiene di essere stata lei a uccidere Sallustro, ma in realtà è stato probabilmente il marito: la donna, da buona compagna d’armi, si assume la colpa per tutti essendo stata catturata in battaglia. Anche su questo punto non verrà mai fatta chiarezza, perché nessuno confesserà mai chi ha sparato il colpo di grazia al manager Fiat prima di abbandonare la casa.

E’ possibile pensare che la decisione di uccidere Sallustro secondo una simile modalità sia trapelata dagli interrogatori dei militanti ERP già arrestati? Si può credere che la Policia Federal sia andata coscientemente a stanare i terroristi sapendo che una delle probabili conseguenze dell’intervento sarebbe stata la morte di Sallustro? L’obiettivo era quindi quello di impedire ogni possibile negoziazione, dimostrando al contempo all’opinione pubblica la crudeltà bestiale e gratuita della guerriglia? Si tratta di punti che ancora oggi non sono stati chiariti.

L’uccisione del manager Fiat colpisce dapprima il quartiere, dove centinaia di persone si riversano richiamate dal passaparola vicino al villino di Castanares: dozzine di mezzi delle emittenti televisive pubbliche e private assediano i poliziotti che entrano ed escono dallo chalet in cerca di una conferma, ma è solo dopo aver visto arrivare e ripartire Aurelio Peccei con il volto terreo che la notizia esplode in tutta la sua drammaticità.

IL RIFERIMENTO A SOCRATE POCO PRIMA DI MORIRE

Messaggi di cordoglio arrivano alla famiglia dai vertici della Fiat, Agnelli stesso vola in Argentina per i funerali, mentre Lanusse, Paolo IV e altri capi di Stato inviano sentite lettere a Ida Burgstaller ed ai figli. E’ l’ultima lettera di Sallustro però quella che risulta più toccante, scritta pochi giorni prima di morire: «Socrate, prima di bere la cicuta, deplora l’atteggiamento piangente dei suoi discepoli. Li giudicava come invidiosi perché lui invece avrebbe conosciuto prima di tutti loro la verità. Sono molto sereno pure io perché finalmente conoscerò la verità di Giorgio e di Dio. Cordialmente, Oberdan Sallustro».

Il Giorgio cui fa riferimento la lettera era il figlio maggiore, morto ancora in tenera età per annegamento nella piscina di casa.

Forti parole di condanna per l’assassinio arrivano da ogni schieramento politico argentino: nel mondo tutti gli stabilimenti Fiat si fermano simultaneamente per cinque minuti di silenzio.

La vicenda ha un epilogo ancora più amaro: arrestati, i responsabili del sequestro e uccisione di Sallustro saranno nei mesi seguenti arrestati, processati per direttissima e condannati per i reati di terrorismo dalla Camera Penale speciale istituita dal giudice Jaime Perriaux – al quale ERP farà esplodere la casa nel tentativo di ucciderlo. Tuttavia già l’anno seguente i responsabili verranno scarcerati quando il neoeletto presidente Hector j. Càmpora, il giorno stesso del suo insediamento, il 25 maggio 1973, emetterà il decreto che quella sera stessa amnistierà e libererà dal carcere di Villa Devoto tutti i terroristi di ERP, FAP, FAR, Montoneros condannati per i reati connessi alle loro attività sovversive. Tra gli amnistiati ci saranno anche i responsabili confessi del caso Sallustro. Molti di questi torneranno immediatamente all’attività di guerriglia, creando un precedente nella vita istituzionale e politica argentina che sarà uno dei motivi alla base della decisione della successiva Junta militare del 1976 di procedere alla repressione del terrorismo per via non costituzionale.