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Supercarcere di Novara. Tuti e Concutelli uccidono Ermanno Buzzi (1981)

Redazione Spazio70

Alla fine del 1981, il bilancio della violenza nelle carceri italiane sarà sconcertante: 27 omicidi e centinaia di ferimenti e aggressioni

«Buzzi Buzzi, sento odore di infamuzzi. O ce n’è, o ce n’è stati, o ce n’è di strangolati!»

Con questa macabra filastrocca, il neofascista Mario Tuti sigilla l’esecuzione appena avvenuta nel cortile del carcere di Novara. Impresso con un lapis, l’infantile dileggio fa da epitaffio sulla parete in cemento. È il 13 aprile 1981 e assieme all’ordinovista Pierluigi Concutelli, il leader del Fronte Nazionale Rivoluzionario ha appena strangolato Ermanno Buzzi, ladro bresciano con simpatie naziste. Classe 1939, all’età di quarant’anni Ermanno Buzzi viene condannato all’ergastolo per la strage di Piazza della Loggia. Personaggio bizzarro e controverso, nel suo passato vanta un ricovero presso il manicomio di Castiglione delle Stiviere. Dopo aver acquistato a Napoli un falso titolo nobiliare, Buzzi si fregia dell’appellativo di «Conte di Blancherie». Politicamente si ritiene un «nazista himmleriano», tuttavia, è legato per lo più al mondo della delinquenza comune, in particolare agli ambienti della ricettazione di opere d’arte. Ama abbigliarsi in uniforme da alto ufficiale ed esibisce con orgoglio le rune delle SS tatuate sul polso. Ex marito di una fattucchiera, da molti neofascisti non è visto di buon occhio per via di alcune voci imbarazzanti che da tempo girano sul suo conto: in tanti lo descrivono come un pederasta, un adescatore di ragazzini, un mitomane esaltato e paranoico. Non solo. Negli ambienti neofascisti Buzzi è considerato un confidente del capitano dei carabinieri Francesco Delfino.

UN RITUALE DI MORTE

Ermanno Buzzi

In data 11 aprile 1981 viene trasferito al carcere di Novara. Dopo due giorni di auto-segregazione in cella, Buzzi si fa vedere per la prima volta in cortile. Durante l’ora d’aria è sufficiente un cenno e l’intesa tra i due killer è immediata. Alcuni detenuti giocano a ping pong, altri osservano la partita chiacchierando. Il nuovo arrivato si guarda attorno spaesato, del resto sa benissimo di non essere il benvenuto da quelle parti. Quando Concutelli gli si para davanti, Buzzi percepisce l’imminenza di una sonora lezione: forse un paio di schiaffi o magari qualche cazzotto. Dopo un pugno allo stomaco ben assestato, l’ingenua aspettativa del bresciano finisce stritolata dai muscoli di Tuti che compare minaccioso alle sue spalle. Ogni flebile speranza di salvezza si disperde con l’ossigeno dell’ultima esalazione. Il rituale di morte si compie a ridosso delle mura, nell’angolo «buio» del cortile, quei centimetri quadrati di spazio avulsi dalla visuale delle guardie.

Due stringhe attorno al collo e una mano sulla bocca. Effettuata a quattro braccia l’operazione è letale. I lacci degli scarponi di Tuti si rivelano più efficaci del nylon di Concutelli che dopo l’eccessiva pressione finisce per spezzarsi sugli ematomi di quel collo martoriato. Quando il cuore di Buzzi è ormai fermo, Tuti infierisce affondando con disprezzo i due pollici negli occhi del cadavere.

«BUZZI? INFANGAVA I MIEI PRINCIPI, I MIEI VALORI»

Gli altri detenuti nel frattempo ammutoliscono. C’è chi guarda altrove per ostentare omertà e chi nel silenzio si gusta gli ultimi istanti di spettacolo. Le guardie non si accorgono di nulla. Quando viene segnalata la presenza di un cadavere, i secondini credono addirittura che si tratti di uno scherzo. L’omicidio, tuttavia, viene rivendicato e gli assassini si assumono le responsabilità di quel gesto. Secondo Tuti, un uomo che afferma di militare sul fronte nazional-rivoluzionario non può essere coinvolto anche in torbide storie di adescamento di ragazzini. Un detenuto che esibisce sul polso le rune delle SS non può fare accordi sotto banco con capitani dei carabinieri, agenti di polizia e guardie carcerarie. In sede processuale, il fascista empolese spiegherà al giudice la sua decisione con queste parole:

«Io sono in galera per una scelta, una scelta politica, una scelta ideologica. Rimango fedele a questa scelta. Quindi, se un mio nemico o un nemico della mia parte si trova in contatto con me, io cerco di colpirlo, perché continuo la mia lotta anche in carcere. (…) Siccome io sono in galera proprio per aver voluto comportarmi sempre con dignità, con coerenza, per fedeltà ai miei principi, non ammettevo che qualcuno cercasse di infangare questi principi e questi valori».

Alla fine del 1981, il bilancio della violenza nelle carceri italiane sarà sconcertante: 27 omicidi e centinaia di ferimenti e aggressioni. Oltre il doppio delle uccisioni rispetto al 1980.