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«Bruciata viva dai fascisti». L’orribile morte di Iolanda Palladino

Redazione Spazio70

I responsabili verranno identificati in tre giovanissimi militanti del Movimento sociale italiano

Martedì, 17 giugno 1975. Con 10.148.723 voti alle regionali il Partito Comunista Italiano raggiunge il 33,46% dell’elettorato, riducendo il distacco con la Democrazia Cristiana ancora in vetta al 35,27%. Per i comunisti di tutte le città d’Italia sono ore di grandi festeggiamenti. A Napoli la festa è doppia. Alle amministrative il PCI ha battuto DC e MSI con 228.385 voti. In serata partono cortei spontanei che dalle sezioni partenopee si riversano in strada fino a notte fonda. Poco dopo le 23:00 un folto gruppo di militanti sfila lungo via Foria. Per strada c’è chi espone bandiere rosse dalle automobili e chi le sventola sui marciapiedi intonando canzoni e facendo baccano in un clima di gioiosa baldoria. Il traffico cittadino non blocca l’entusiasmo dei manifestanti, tuttavia, la viabilità stradale inizia a risentirne. Si è appena creato un grosso ingorgo.

«VOLEVO DARE UNA LEZIONE AI COMUNISTI»

Iolanda Palladino, studentessa al primo anno di giurisprudenza, è al volante della Fiat 500 che le è stata regalata dai familiari per il conseguimento del diploma di geometra. Ventunenne, figlia di un cuoco e di una casalinga, la ragazza dopo gli studi superiori ha prestato servizio per un po’ di tempo presso un ufficio commerciale e da un paio di mesi si paga l’università lavorando in uno studio di ingegneria edile-industriale in via Arenaccia. Nel trambusto generale, la giovane si ritrova, suo malgrado, nel bel mezzo di una manifestazione del partito comunista. Iolanda non si è mai occupata molto di politica, tuttavia, di recente ha sostenuto la campagna elettorale del professor Volturno Morani, direttore del giornale Stampa Sud, candidato per la regione nella lista della Democrazia Cristiana.

La vettura della ragazza è ferma all’altezza del civico 169, proprio dinnanzi alla sezione «Giovanni Berta» del MSI. I militanti di destra non sembrano gradire quel tripudio di bandiere rosse. Si odono dei fischi, poi reciproci insulti e man mano il clima inizia a farsi sempre più teso. Dopo un primo lancio di sassi da parte dei neofascisti compaiono anche le bottiglie incendiarie. Una delle molotov lanciate dai militanti di destra centra in pieno la macchina della giovane ed entra nel veicolo dal tettuccio aperto. L’auto va rapidamente a fuoco e la ragazza esce dalla vettura come una torcia umana, dimenandosi disperata alla ricerca di aiuto. Un uomo che assiste alla scena si leva prontamente la camicia e la stringe attorno alla donna per soffocare il fuoco. Il corpo della giovane, tuttavia, è già ustionato all’ottanta per cento. Iolanda Palladino viene condotta dal suo soccorritore presso l’ospedale Incurabili ma le condizioni sono molto gravi. Sarà trasferita al Cardarelli ed infine al reparto grandi ustionati del Sant’Eugenio di Roma dove morirà in data 21 giugno 1975.

«Me l’hanno uccisa. Erano in otto, gli assassini — afferma in lacrime la madre —. Erano su quattro motociclette: hanno seguito la macchina e le hanno tirato contro tre bombe. Nessuna ha preso il bersaglio. La quarta l’hanno buttata dentro, dopo essersi avvicinati alla utilitaria. Poi sono scappati lasciandola bruciare, senza prestarle aiuto». La dinamica dell’accaduto appare molto chiara, poiché a raccontarla a medici, parenti e poliziotti è stata la stessa Iolanda, rimasta a lungo lucida prima di perdere i sensi. «Vogliamo che il nostro dolore venga silenziosamente rispettato — dichiara Ciro, il fratello di Iolanda — e che sia un monito e non una causa di altri dolori e di altri lutti. Vogliamo che la morte di Iole, bruciata viva, scuota le coscienze dei responsabili».

Dopo aver appreso la notizia, la segreteria del Comitato antifascista dell’Alfasud emana il seguente comunicato: «Un’altra giovane vita è stata stroncata nei migliori anni della sua gioventù ed anche questa volta come sempre la matrice è fascista. In questo momento di immenso dolore, il comitato unitario antifascista dell’Alfasud esprime sdegno, orrore e rabbia e chiede con fermezza che le autorità si adoperino per assicurare alla giustizia gli assassini fascisti ed i loro mandanti per l’orrendo crimine consumato con crudele fermezza». Messaggi di cordoglio alla famiglia Palladino giungono anche da Enrico Berlinguer, segretario generale del PCI.

Per tale episodio saranno identificati ed arrestati tre giovanissimi militanti del MSI: Umberto Fiore, di anni 19 e i fratelli Giuseppe e Bruno Torsi di 18 e 16 anni. «Non volevo ucciderla — affermerà Fiore — ma soltanto dare una lezione ai comunisti che inneggiavano alla vittoria. Volevo spaventarli, ma non credevo che sarebbe finita così. Ho preso di mira l’ultima vettura, la 500 che chiudeva il corteo». Nel carcere di Poggioreale, prima del suo trasferimento a Regina Coeli, Fiore sarà ferito da un altro detenuto mediante accoltellamento.