logo Spazio70

Benvenuto sul nuovo sito di Spazio 70

Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
Buona lettura e non dimenticare di iscriverti sulla «newsletter» posta alla base del sito. Lasciando un tuo recapito mail avrai la possibilità di essere costantemente informato sulle novità di questo sito e i progetti editoriali di Spazio 70.

Buona Navigazione!

Impreparazione e sfiducia. La Polizia nei primi anni Settanta

Redazione Spazio70

I duemila uomini impegnati in una sorta di «servizio a domicilio» nelle case di prefetti e questori

Negli anni Settanta numerose inchieste giornalistiche rendono noto il profondo stato di malessere che pervade la polizia. Si tratta di difficoltà ben manifestate anche in missive, inviate da uomini dello Stato ai giornali, quasi tutte tese a rivendicare una maggiore libertà di azione nella repressione della criminalità. Nel 1970 il principale riferimento normativo sul delicato tema della consistenza numerica degli organici di polizia è ancora rappresentato dalla legge n. 1116/1966 che fissa il tetto degli arruolati a poco più di 78 mila unità. Il governo Colombo fa proprio, nel 1971, l’obiettivo di assumere cinquemila nuovi agenti, ma le numerose proposte di legge sul tema finiscono per arenarsi presto in Parlamento. Con l’attentato alla questura di Milano posto in essere da Gianfranco Bertoli nel 1973 – e soprattutto con la strage di piazza della Loggia – il progetto governativo tendente a facilitare nuove assunzioni nelle forze di polizia si tramuta finalmente in legge.

A risultare sorprendente è la limitata risposta giovanile ai concorsi per l’arruolamento in polizia: nel 1974, su quattromila posti disponibili, si presentano alle selezioni poco più di 1400 ragazzi, secondo una linea di tendenza che sarà costante per tutti gli anni Settanta. A pesare, accanto ai nuovi e più selettivi criteri d’ingresso che impongono l’obbligo della licenza media inferiore, è la consapevolezza delle tante difficoltà proprie di una carriera in polizia in anni di fortissime tensioni politiche e sociali.

L’arruolamento implica infatti l’obbligo di sottoporsi a un regime disciplinare e retributivo davvero poco allettante per chi è in possesso di un buon livello d’istruzione. La possibilità concreta di esporsi a gravi rischi di natura professionale rappresenta poi un ulteriore motivo capace di dissuadere i più da una carriera nelle forze dell’ordine.

«GLI AGENTI NON DISTINGUONO IL TRITOLO DALLA DINAMITE»

Per approfondire, si rinvia al libro di Andrea Baravelli «Istituzioni e terrorismo negli anni Settanta»

«Dei circa 80 mila militari impiegati in polizia», si legge in un articolo del dicembre 1974, «la maggior parte proviene dal Mezzogiorno: su 35 mila uomini arruolati negli ultimi anni, la metà proviene da Sicilia, Puglia e Campania. Dall’organico della polizia mancano settemila militari e cinquecento funzionari, ma riempire questi vuoti è diventato problematico dato che da qualche anno i bandi di concorso attirano pochi aspiranti. C’è chi prevede che se si vorranno completare gli organici, recentemente aumentati di altri cinquemila uomini dal ministro Taviani per fare fronte alla criminalità, bisognerà praticamente rinunciare a ogni seria selezione all’atto dell’arruolamento. Ma più che la mancanza di uomini incide la scarsa preparazione o il cattivo uso di quelli che ci sono. Accade spesso che durante le perquisizioni gli agenti non siano in grado di distinguere il tritolo dalla dinamite: mentre secondo statistiche abbastanza attendibili solo il venti per cento dei poliziotti sarebbe veramente adibito ai servizi per i quali è stato arruolato. Numerosi gli agenti impiegati in servizi sedentari mentre il 30 % degli uomini in organico presso ogni questura risulta introvabile sul posto di lavoro essendo adibito a pulire i pavimenti di casa dei prefetti e dei questori o ad accompagnare i loro bambini a scuola e le loro signore dal parrucchiere».

UNA IMPREPARAZIONE PSICOLOGICA DA FAR PAURA

Secondo alcune statistiche pubblicate a metà anni Settanta, il poliziotto italiano ha una età media di 42 anni: è alto un metro e settantuno e possiede una specializzazione precisa. La realtà è però diversa. Quando un gruppo di cappellani militari decide di fare per proprio conto un’indagine avente ad oggetto l’ultimo contingente arruolato, a emergere è una immagine di poliziotto con una impreparazione psicologica da fare paura. Nell’indagine viene infatti qualificato come «ottimo» soltanto lo 0,30 per cento degli intervistati: i «buoni» sono il 4,48 per cento, i «sufficienti» il 49,22 per cento, mentre gli «scarsi» rientrano nel 46 per cento del campione esaminato. Soltanto il 15 per cento ha il diploma di scuola media inferiore con uno stato d’animo del personale che oscilla tra la «pura disillusione, la sfiducia e il disorientamento».

A peggiorare ulteriormente le cose è poi la cervellotica distribuzione del personale sul territorio. In molte questure gli organici non tengono conto né della popolazione né dell’indice di criminalità. Il settimanale «Panorama» a metà anni Settanta calcola in duemila gli uomini impegnati in una sorta di «servizio a domicilio» nelle case di prefetti e questori. L’addestramento del personale è poi particolarmente carente: spesso si concretizza in marce e poco altro.

LA «VACANZA ROMANA» DI COLUCCI

Una volta giunte a destinazione, le reclute non solo si trovano spesso a svolgere servizi non previsti, ma sono tenute ad adattarsi alle più disparate esigenze della vita di questura.

«Nel 1970 sono arrivato a Padova, trasferito dalla squadra mobile di Foggia», racconta Giuseppe Colucci, uno dei principali collaboratori del sostituto procuratore Pietro Calogero, «poi ho fatto un anno di corso a Roma, alla scuola di polizia dell’Eur, volto a formare esperti della scientifica. Alla fine del corso mi hanno detto che sarei rimasto a Roma. Poi è arrivato un telegramma: non più Roma, ma Padova. Sono venuto a Padova e una volta arrivato qui il questore si aspettava un incremento di organico, perché gli uomini sono sempre pochi: però non si attendeva che quell’incremento fosse rappresentato da un funzionario alla polizia scientifica. Quella qualifica significava che dovevo stare nel gabinetto e non avrei potuto fare servizio di ordine pubblico, polizia giudiziaria o altri servizi così. “Senta Colucci”, mi dice un giorno il questore, “voglio sapere chiaro e tondo se vuole andare al gabinetto di polizia scientifica oppure se preferisce che si faccia finta che lei quel corso a Roma non lo abbia mai fatto”. E io rispondo: “Guardi, se è questo che serve possiamo anche dire che ho fatto una vacanza romana”. La mia avventura professionale a Padova è iniziata così».