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Le dichiarazioni di Marco Donat Cattin al primo processo Moro

Redazione Spazio70

Al suo ingresso in aula, l'ex leader di Prima linea viene schermito dagli altri terroristi presenti

Roma, 2 novembre 1982. Nell’aula bunker del Foro Italico, l’ex militante di Prima Linea Marco Donat Cattin è chiamato a deporre dinnanzi ai giudici della Corte d’Assise alla ripresa del processo per la strage di via Fani e per il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. Arrestato a Parigi nel dicembre del 1980 e successivamente dissociatosi dalla lotta armata, il «figlio ribelle» dell’ex ministro democristiano deve rispondere alle domande dei giudici sui rapporti intercorsi tra le Brigate Rosse e Prima Linea. Le gabbie dell’aula sono piene di terroristi. Al suo ingresso Donat Cattin viene schernito dal brigatista Bonisoli che rivolgendosi al Presidente della Corte, il giudice Severino Santiapichi, afferma: «Presidente, noi ce ne andiamo. Fate venire anche suo padre!». Si ode qualche risata tra le sbarre mentre la maggior parte dei brigatisti abbandona l’aula, ad eccezione di un gruppetto di dissociati.

«PRIMA LINEA CERCÒ DI PARTECIPARE AGLI INTERROGATORI DI MORO»

Donat Cattin non sembra però scomporsi: ignora le provocazioni e risponde alle domande. Tra le varie questioni, Santiapichi chiede delucidazioni anche sull’uso di armi in comune tra i due gruppi.

«L’unico carico di cui sono a conoscenza è del 1978 — afferma l’ex terrorista — proveniva dal Libano. Furono prestati a Prima Linea un Kalashnikov e alcune bombe a mano. Questo dopo la morte di Caggegi e della Azzaroni».

— E i contatti tra BR e PL ?

«Anche se tra noi c’era una grossa differenza politica, pur essendo due organizzazioni armate, in alcuni casi c’erano dei contatti. Dopo il sequestro Moro avevamo chiesto un colloquio per sapere cosa stava accadendo nelle BR. Loro ci accusarono perché non avevamo fatto nulla per impedire che la repressione si abbattesse su Roma e sulla “prigione del popolo”. Ma durante i 55 giorni del sequestro Moro, Prima Linea cercò di partecipare comunque alla gestione dell’interrogatorio del prigioniero, cosa che le BR rifiutarono».