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I Br raccontano la rivolta nel carcere dell’Asinara dell’ottobre 1979

Redazione Spazio70

«Dopo tre anni ci proponete la stessa contraddizione, ci volete far accettare i difensori del regime. Tireremo tutte le conseguenze di questo fatto»

Firenze, 15 ottobre 1979. Nella foto che vedete sopra, nel titolo, Nadia Mantovani saluta tra le sbarre Renato Curcio nel corso della prima udienza in Corte d’Assise del processo alle Brigate Rosse. All’interno della stessa gabbia sono rinchiusi anche i brigatisti Pietro Bassi, Loris Tonino Paroli, Angelo Basone, Alberto Franceschini e Piero Bertolazzi. Prima del battibecco finale con il Presidente della Corte, Curcio parla della recente rivolta nel carcere dell’Asinara: «Nelle celle ci sono buchi grossi così perché quelli hanno sparato! Sono stato in altre carceri speciali dove gli agenti fanno il loro lavoro e cercano di non scatenare l’aggressività. Abbiamo sopportato una volta, due volte, ma un giorno abbiamo detto basta e nonostante tutto siamo stati buoni. Non è andata bene a noi ma a loro. Abbiamo detto loro di stare attenti perché invece di tirare quello che avevamo a venti metri di distanza glielo potevamo tirare addosso! Abbiamo conquistato degli spazi e loro hanno voluto chiuderli ma indietro non si torna, hanno usato gas ustionanti questa volta».

«NON SAI PIÙ SE SEI PRIGIONIERO DI QUESTI BUZZURRI O DELLO STATO ITALIANO»

Interviene Alfredo Buonavita da un’altra gabbia: «All’Asinara vennero gettate tre bombe a mano dimostrative; altre due, micidiali, furono consegnate. Erano al plastico: mezzo chilo».

Parla anche Tonino Paroli, mostrando una piaga sulla propria gamba: «Hanno sparato almeno diecimila colpi e usato il gas!».

Riprende Curcio: «È un problema di sopravvivenza. Lì non sai più se sei prigioniero dello Stato italiano o di questi buzzurri e poi a noi non ce ne frega proprio niente di quello che può accadere e ci possono anche mettere sotto terra: ma questo è un banco di prova perfetto di quello che è lo Stato italiano!».

Si prosegue per circa tre quarti d’ora in Camera di consiglio e poi la nomina dei difensori d’ufficio. Dopo essere stato zittito più volte, Curcio ottiene nuovamente la parola: «Dopo tre anni ci proponete la stessa contraddizione, ci volete far accettare i difensori del regime. Tireremo tutte le conseguenze di questo fatto. La soluzione di rissa l’avete scelta voi!».

Il giudice Cassano che presiede la Corte risponde infastidito: «Allontanate dall’aula quel detenuto che parla e che non so neppure come si chiama! La corte si ritira in attesa che sia allontanato questo imputato di cui non conosco ancora il nome. Non è questo il momento di parlare».

Curcio replica: «Lei parla quando le compete. Io parlo quando voglio!».