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Freda: «La rivoluzione di Khomeini è l’unica vera rivoluzione»

Redazione Spazio70

«Il sangue tolto ai prigionieri? Sono le tragedie di chi ha delle responsabilità»

Signor Freda, il suo ideale di politico è Khomeini. Ha letto che ha ordinato ai soldati iraniani di togliere il sangue agli iracheni catturati, prima di ucciderli, e poi di mandarlo al fronte per le trasfusioni ai feriti?

«La rivoluzione di Khomeini è l’unica vera rivoluzione. Una società sacrale, guidata da un illuminato dalla verità, non da un illuminista. Il suo Iran mi ricorda l’Europa del Medioevo, e lui è un sacerdote della giustizia. Il sangue tolto ai prigionieri? Sono le tragedie di chi ha delle responsabilità. È meglio salvare i nemici del popolo o coloro che muoiono per la comunità? Reagan, invece, è la quintessenza del mercantilismo e dell’egemonia degli Usa, è il peggio di una società antieuropea!»

«LE SEMBRERÀ STRANO, MA SPERO NELLA RUSSIA»

— Della verità, di cui lei parla, va sempre detta? Si può mentire davanti ad un giudice, magari negando reati commessi?

«Non si deve mentire, ma celare la verità sì. Il soldato politico lotta per la verità e può servirla anche tacendola. E poi, il codice consente all’imputato di mentire, o mi sbaglio?».

Lui, intanto, si accende la pipa. Riprende il discorso sui politici italiani. Freda non ne salva nessuno, ma con qualche distinguo:

«Non mi è dispiaciuto Craxi. Mi pare faccia il capo del governo e non solo il presidente del Consiglio. Dicono che assomigli a Mussolini. Forse lui lo sa e ci gioca. Ma su Sigonella ha saputo manifestare almeno il pudore contro i padroni statunitensi. Non mi dispiacciono neppure certi radicali e le loro lotte per le condizioni di vita in carcere.»

— Ma c’è una speranza, uno sbocco per queste sue Idee?

«Le sembrerà strano, ma io spero nella Russia. Se saprà liberarsi dalle sue aspirazioni coloniali, se saprà ripulirsi dal marxismo-leninismo. Allora potrà unificare l’Europa delle etnie. Forse, però, è solo un’utopia. Ma gli Usa no, invece, sono il male peggiore. No, non mi piace neppure Papa Wojtyla, è un capo di Stato, non un capo spirituale.»

«PIAZZA FONTANA? FORSE NON SI VOLEVANO QUEGLI EFFETTI»

Franco Freda

— E il carcere? Ha avuto paura di essere ucciso? Come lo ricorda?

«Paura no, un soldato politico non può averla, perché non rispetterebbe se stesso. Si cerca di sopravvivere, inteso come vivere sopra. La consideravo una malattia e ho cercato di curarla, perché la melma degli eventi non mi sommergesse. Una sorta di aspirina spirituale.»

— Perché è fuggito?

«Perché un soldato non si consegna. Avevo saputo da fonte certa che per me si era già deciso l’ergastolo». Lo interrompe la moglie: «Ce lo fece sapere il segretario di un ministro democristiano». Ma Freda la zittisce: «L’abbiamo saputo e basta. Se mi hanno aiutato elementi della criminalità organizzata? Me l’hanno detto dopo che alcuni di loro sarebbero in odore di associazione mafiosa, ma a me non interessava. Quello che era importante era che fossero leali. Non chiedevo la fedina penale, ma aiuto che il singolo dà al singolo, disinteressatamente.»

— E quei sedici morti? Quella strage nella banca, le tante venute dopo, quella del treno di Natale?

«Una strage non fa neppure parte di una logica autentica del terrorismo. Quando penso a quelle cose, mi chiudo in me stesso, non voglio parlarne, provo uno stupore sgomento. A piazza Fontana, potrebbe essersi trattato di un incidente di percorso, chi ha messo le bombe probabilmente non voleva quegli effetti. E mi pare che anche Andreotti abbia scritto la stessa cosa. Perché allora continuare a parlare di strategia della tensione?»

— E la vita?

«Nessuno la rispetta come me. Sono vegetariano per non ammazzare, io che sono accusato di essere il cattivo che uccide.»


[Tratto da: Ettore Boffano, «Intervista con il “soldato nero” prosciolto dalla strage di Milano», La Stampa – 10 marzo 1986.]