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Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
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Estate 1964. Il contesto mediterraneo in pillole

Redazione Spazio70

Le settimane del «tintinnar di sciabole»

Con la crisi del governo Moro I, il primo a partecipazione diretta socialista, emergono le preoccupazioni dei principali partners europei sui temi economici. Il discorso che viene fatto, in termini più o meno ufficiali, è semplice: al nuovo governo italiano (qualsiasi  esso sia dopo la crisi) si chiede di ridurre rapidamente la domanda interna di beni, di aumentare le imposte, e di tener conto del fatto che il deficit della bilancia dei pagamenti non potrà attenuarsi tanto presto. Non si tratta soltanto di indiscrezioni giornalistiche, ma della rude relazione trimestrale della Comunità economica europea resa nota nella prima parte dell’estate 1964. Il rapporto elenca anche i fatti positivi che si possono prevedere per quell’anno: miglioramento delle esportazioni, aumento del reddito nazionale (4 per cento) e della formazione di capitale lordo (2 per cento). Pubblicato prima delle dimissioni dell’onorevole Moro, il documento definisce la situazione economica italiana «un misto di sintomi positivi e di pericoli, di realtà negative e di tendenze favorevoli». Uno degli aspetti più descrittivi della debolezza dell’intesa tra democristiani e socialisti è certamente quello del dissenso sul finanziamento della scuola privata, sintomo di un accordo mai pienamente raggiunto su un tema di fondamentale importanza come quello dell’istruzione. Un episodio, che di fatto scatena la crisi dell’estate 1964, rivelatore della natura della maggioranza che sosteneva il governo Moro: non frutto di una chiara intesa sui problemi fondamentali, bensì di reciprochi accordi politici caso per caso. Un tipo di navigazione a vista che, sul piano economico, si manifesta in una serie di provvedimenti non coordinati e quasi mai tempestivi che di fatto impediscono di mettere sotto controllo l’andamento della cosiddetta congiuntura economica del 1964.

IL SOSTEGNO USA ALL’ECONOMIA DI FRANCO

Nell’estate dello stesso anno, sulla stampa specializzata anglosassone, compaiono degli articoli che preannunciano una sorta di piccolo «miracolo economico» spagnolo. Il piano quadriennale lanciato da Madrid nel gennaio del 1964 ha evidentemente attirato l’attenzione dell’industria americana che dà il via a una «corsa» agli investimenti nei principali settori della economia iberica. Il governo di Franco offre, infatti, sovvenzioni pari al 20 per cento per i nuovi investimenti nella zona di Burgos e Huelva e del 10 per cento nelle regioni di Siviglia, Valladolid, Saragoza, La Coruna e Vigo. Una politica favorevole agli investitori internazionali che si concretizza, inoltre, in una fortissima riduzione delle imposte, crediti a lungo termine e condizioni favorevoli all’acquisto dei macchinari. Secondo notizie pubblicate sulla grande stampa, a metà giugno ’64, 671 società, spagnole e straniere, hanno chiesto l’autorizzazione a investimenti diretti pari a 790 milioni di dollari: di queste, ben duecento sono americane con un capitale da oltre 100 milioni di dollari. A metà anni Sessanta si costruiscono infatti raffinerie a La Coruna, Huelva e Valencia con le società petrolifere americane che ottengono permessi di ricerca nel Sahara spagnolo. Investimenti Usa anche per la produzione di materiale plastico vengono segnalati dalla stampa specializzata a Tarragona, per conto della Dow Chemical, mentre sempre a metà anni Sessanta sono in corso trattative tra il governo spagnolo e la DuPont, la Monsanto, la Allied Chemical, la American Cyanamid, la Upjohn International e la Phillips Petroleum. Le richieste di investimento da parte americana in Spagna riguarderanno anche il settore commerciale e quelli dell’elettricità e della metallurgia.

LA QUESTIONE CIPRIOTA. JOHNSON PROVA A MEDIARE TRA GRECIA E TURCHIA

Nel nobile intento di risolvere pacificamente la questione di Cipro, il presidente americano Lyndon Johnson invita a Washington i primi ministri di Turchia e Grecia. Prima Ismet Inonu poi Georgios Papandreou aderiscono all’iniziativa compiendo viaggi separati: l’esito dei loro colloqui con Johnson rimane avvolto nel segreto e nella incertezza. Si sa soltanto che il presidente ha prospettato a entrambi le disastrose conseguenze che un conflitto tra Grecia e Turchia avrebbe non soltanto per la NATO, ma per l’indipendenza e per l’economia dei due Paesi e dell’isola di Cipro. In caso di guerra, Grecia e Turchia si dissanguerebbero, procurando vantaggi tangibili solo all’Urss che, secondo gli americani, aspetta l’occasione propizia per fare di Cipro una «Cuba del Mediterraneo» puntata contro la vicina Turchia.  Il guaio è che Inonu e Papandreou debbono combattere una battaglia all’interno dei rispettivi parlamenti nazionali, assai poco inclini ad accettare soluzioni di compromesso. Ad Ankara, poco prima di partire per gli Usa, Inonu ha ottenuto a malapena la fiducia alla Camera turca. Su 394 votanti, 194 si sono rifiutati di avallare la politica cipriota del Primo ministro e contemporaneamente si aveva notizia di ufficiali turchi arrestati perché complottavano contro il governo. I complotti militari non sono una novità in Turchia e spesso si concludono con innalzamento di forche. Ad Atene, nell’estate del 1964, la situazione è analoga, mentre a Cipro il governo dell’arcivescovo Makarios sta costituendo forze armate esclusivamente di ciprioti di stirpe greca, con l’appoggio dell’Urss che fornisce armi e materiali. In questa situazione Johnson assume una veste non già di semplice mediatore, ma di monitore verso Grecia e Turchia. Il messaggio è chiaro: se dovesse scoppiare una guerra per Cipro nel Mediterraneo, gli Usa non resterebbero inerti a guardare chi vince.