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Un leader poco amato. L’ostilità del mondo politico e imprenditoriale verso Aldo Moro

Redazione Spazio70

Soprattutto tra i media di destra, Moro è decisamente detestato. Ma anche a sinistra i giudizi sono spesso sferzanti

Aldo Moro appare così diverso dagli altri uomini politici italiani che parlare di lui richiede una grande attenzione. È anche per questo che esiste una scienza strana e complicata che prende il nome di «morologia» giustificata dalla difficoltà di capire quel che dice o fa. Il presidente della Dc è spesso oggetto di una fiducia incerta, quasi sospettosa, perché la sua faccia è melanconica e il suo sguardo enigmatico. Quando Moro viene ucciso dalle Brigate rosse, in molti sciolgono inni alla sua memoria. Si tratta degli stessi che lo consideravano poco attraente. Secondo il deputato comunista Davide Lajolo, «Moro ha il colore della lenta pioggia d’autunno», mentre per il liberale Giovanni Malagodi «è un Fanfani più lungo e melanconico». L’ex presidente della Repubblica Giuseppe Saragat lo ha definito poi «un beduino seduto davanti alla sua tenda, che conta i cammelli delle carovane che attraversano il deserto». A ben vedere, si tratta di malignità di poco conto, quasi sberleffi, al confronto con l’ostilità che gli viene tributata dal mondo politico e imprenditoriale.

«CON LUI QUESTA ITALIA DI MEZZE TACCHE HA DATO ALL’EUROPA IL PIÙ GRANDE STATISTA MORENTE»

Giornalisti celebri gli rinfacciano il suo cattolicesimo o addirittura immoralità politica per l’abitudine a sfumare, a non pronunciarsi quasi mai in maniera decisa, per non bruciarsi delle strade, delle possibilità, utili a raggiungere l’obiettivo che gli interessa.

Tra i media di destra, Moro è decisamente detestato. «Il Tempo» gli rimprovera, nel giugno 1971, «i molli patteggiamenti assembleari, fatti di scontri apparenti e incontri clandestini, oggi cedendo qualche cosa, domani negandone un’altra, perdendo terreno magari, ma un metro al giorno». È ancora il Tempo a dedicargli questo gentile pensiero: «Per mesi hanno echeggiato a Palazzo Chigi il ruggito del topo e l’ululato del coniglio. Con la tecnica molle, scivolosa e viscida di una piovra per anni egli è andato avanti, flaccido e cascante, come un piccolo visir, cupo, funereo, spargendo il suo cammino di cadaveri e rovine. I fatti di luglio, il governo delle convergenze, la morte di Tambroni, l’eliminazione dal gioco, tipo sgambetto e tradimento, di Fanfani».

Nell’editoriale del «Giornale nuovo» del 31 ottobre 1974, intitolato «La faccia di Moro», si legge che tutti i suoi ritorni sulla scena politica italiana sono sempre preceduti e sottolineati da «un rullio basso di tamburi, come quello che nei melodrammi accompagna il passaggio sulla scena dei condannati, e da premonizioni listate a lutto. C’è gente che passa la vita ad aggiornare il necrologio di Moro. Con lui, questa Italia di mezze tacche ha dato all’Europa il più grande statista morente».

UNA SCARSA PREDISPOSIZIONE PER LE BATTUTE

E poi c’è lo sberleffo, sempre dietro l’angolo.

«È una questione di faccia. Quella di Moro è tutt’altro che antipatica, ma invita allo sbadiglio. Egli comunica con la gente, ma comunica solo il torpore. E se una magia esercita, è quella della anestesia capace di procurare al paziente il più dolce dei sonni, ma senza dargli nessuna certezza di svegliarsi a operazione compiuta e riuscita. A torto o a ragione, insomma, l’uomo della strada vede in lui più che un risolutore un ibernatore di situazioni e di problemi. E si domanda perplesso se fosse proprio di questo che l’Italia aveva bisogno».

Nel nostro Paese, si sa, la serietà può però essere scambiata per melanconia e tristezza e la scarsa predisposizione di Moro per le battute viene vista come un intollerabile difetto capace di turbare, piuttosto che come una dote. Anche lo scrupolo per l’esattezza, la meticolosità certosina, l’abitudine a limare parole, discorsi, comportamenti e atteggiamenti, sono sue caratteristiche tipiche che destano inquietudine nel mondo politico e nel Paese in genere. Di lui si pensa fin troppo spesso che abbia residenza tra le nuvole e gli astri e invece la sua è una mania per la precisione che fa un tutt’uno con il rispetto che ha verso i suoi interlocutori. Moro sa che la politica è una cosa complessa e si esprime di conseguenza. Nonostante il suo eloquio, è chiaramente un testardo. Se una cosa è quella, e lui la vuole così, non c’è verso di fargli cambiare idea. È piuttosto deciso a rinunciarci.