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L’alba di OP. Il giornalismo d’assalto di Pecorelli nel labirinto della prima repubblica

Redazione Spazio70

Il periodo che va dalla fondazione di OP al 1974, quando Pecorelli tornò a prendere pieno possesso dell’agenzia, è estremamente magmatico. Questa fase iniziale è resa ancor più confusa dal fatto che l’Osservatore Politico mancava di un indirizzo giornalistico chiaro. Si può, tuttavia, cercare di fare un po’ di ordine.

di Tommaso Minotti

La vita di Nuovo Mondo d’Oggi, settimanale che vide gli esordi nel giornalismo di Mino Pecorelli, si rivelò molto travagliata e la sua fine, orchestrata dai servizi, fu l’epilogo di un’avventura editoriale tanto breve quanto interessante. Lo stesso Pecorelli, che aveva partecipato attivamente all’esperimento, lasciò il periodico senza grandi guadagni economici, ma con un enorme bagaglio di conoscenze e fonti. I suoi legami con le varie fazioni dei servizi segreti nacquero proprio a fine anni Sessanta, nel contesto di quella redazione. In parallelo, Pecorelli affinò anche la sua particolare propensione al giornalismo d’assalto che tanto lo caratterizzò durante tutta la sua carriera, conclusasi, com’è noto, in maniera tragica.

Il terreno nel quale si muoveva era particolarmente scivoloso e il materiale, in parte ereditato da Nuovo Mondo d’Oggi come per il caso dell’inchiesta Pro Deo, scottante. Saperlo gestire non era cosa da poco e una certa confusione si vede nella prima fase dell’Osservatore Politico, nato ufficialmente il 22 ottobre 1968.

I BURRASCOSI RAPPORTI TRA PECORELLI E SIMEONI

Mino Pecorelli. Un numero della agenzia giornalistica Op-Osservatore politico internazionale (aprile 1972, fonte eBay)

Un numero della agenzia giornalistica Op-Osservatore politico internazionale (aprile 1972, fonte eBay)

Il periodo che intercorre tra il 1968 e il 1974 è estremamente sfaccettato. Si apre con il conflitto tra Pecorelli e Franco Simeoni, prosegue con la furibonda lotta attorno a OP tra Vito Miceli e lo stesso giornalista molisano e si conclude con Pecorelli che riprende il controllo totale dell’agenzia. Una situazione complessa, con molti personaggi che appaiono e scompaiono in maniera un po’ aleatoria, sullo sfondo di un panorama giornalistico che risente pesantemente dell’influenza dei servizi segreti. I vari centri di potere combattevano una vera e propria battaglia tra bande. In questo contesto la stampa e soprattutto OP avevano un ruolo particolare che comprendeva la possibilità di essere strumentalizzati, ma anche di mettere sotto pressione gli apparati. Un confine, come si vedrà, molto labile.

L’Osservatore Politico nacque, lo spiega Sergio Flamigni nell’introduzione di Dossier OP, usando come prestanome prima Marina Bradstetter, segretaria di Pecorelli, e poi Silvia Marina Limongelli, madre del giornalista molisano. Il direttore responsabile era Franco Simeoni, legatissimo a Eugenio Henke, ammiraglio a capo del SID, e al colonnello Giuseppe Fiorani, vertice del centro di controspionaggio di Roma. Simeoni era già stato un importante elemento a Nuovo Mondo d’Oggi e la sua contiguità con alcuni elementi dei servizi segreti era circostanza acclarata. Personaggio criticatissimo da Nicola Falde, altra personalità interessante che si tratterà in seguito, collaborò con Pecorelli fino al 1969.

La ragione dietro l’abbandono di Simeoni è molto particolare. Egli scrisse, in un articolo pubblicato sul numero di OP dell’8 aprile 1969, che il giorno dopo, nel salernitano, ci sarebbero stati gravi scontri causati da una manifestazione del PCI. Nel pezzo si prevedevano addirittura drammatici sviluppi. E il 9 ci furono, effettivamente, due morti a Battipaglia dove, a inizio dell’aprile 1969, la Saim, Società Agricola Industriale del Mezzogiorno, aveva deciso di chiudere uno zuccherificio e un tabacchificio. Il sindaco e il sindacato avevano avuto una reazione molto dura. Il corteo di protesta, che sfilava nelle vie della città, sfuggì al controllo delle forze dell’ordine a Piazza della Repubblica. I manifestanti prima si spinsero verso la ferrovia, che fu occupata per qualche ora con gravi disagi, e poi verso il commissariato. Dopo una giornata di cariche della Celere, l’assedio al posto di polizia fu fatale. Oltre ai duecento feriti, molti dei quali da armi da fuoco, ci furono due morti: Carmine Citro e Teresa Ricciardi, rispettivamente operaio tipografo e insegnante. Flamigni, nella già citata prefazione, scrisse di agenti provocatori.

La previsione di Simeoni si era quindi rivelata fin troppo esatta e aveva segnato il momento di rottura con Pecorelli. Anni dopo, nel numero di OP dell’8 ottobre 1974, si percepiva ancora distanza tra i due. Questo, infatti, è il bilancio della collaborazione tra Simeoni e il nativo di Sessano del Molise: «Nell’ottobre 1968 il giornalista Franco Simeoni, che conoscemmo ai tempi di “Mondo d’Oggi”, ci espose un progetto per la realizzazione di un’agenzia giornalistica, contrassegnata con la sigla “Op”, che sarebbe stata confortata, dopo la sua uscita, dall’aiuto di amici politici (nostri) e amici militari (suoi). Per la verità l’impresa editoriale si manifestò particolarmente onerosa (per noi) e particolarmente vantaggiosa (per lui). Così l’iniziativa dopo pochi mesi, nel maggio del 1969, subì un brusco arresto, perché una volta meglio precisati i collegamenti del Simeoni lo allontanammo dal lavoro e finimmo per denunciarlo alla magistratura ordinaria».

Simeoni venne quindi rimosso dalla posizione di direttore responsabile. Pecorelli, probabilmente, lo riteneva troppo compromesso o comunque troppo manovrabile. Enrico Fiorini, redattore di Nuovo Mondo d’Oggi, parlò così davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2: «Pecorelli mi disse che si era accorto di essere strumentalizzato dai servizi segreti, i quali, tramite qualcuno della redazione legato ai Servizi stessi, gli passava notizie da pubblicare. Mi disse che aveva praticamente sciolto la redazione sostituendone il direttore Franco Simeoni e assumendo il giornalista Rodolfo Cardellini. Ricordo che Pecorelli mi riferì di essersi personalmente recato presso l’ammiraglio Henke per protestare per questa intromissione dei Servizi nella sua agenzia».

Si chiuse così il primo periodo dell’agenzia OP, quello più direttamente collegato con Nuovo Mondo d’Oggi. L’abbandono di Simeoni sancì un cambio di passo rispetto alla precedente esperienza, troppo legata ai servizi. Le connessioni con tali settori rimasero, ma non furono più caratterizzate da quel rapporto di sudditanza che, invece, si notava in maniera più chiara e netta all’interno della redazione romano-milanese della precedente avventura editoriale.

TRA MICELI E MALETTI

Sempre secondo il racconto di Fiorini, Pecorelli, subito dopo l’allontanamento di Simeoni, andò dall’ammiraglio Henke per lamentarsi delle ingerenze in OP. In questo contesto di cambiamenti interni all’agenzia giornalistica, Pecorelli allacciò rapporti con Vito Miceli, all’epoca capo dell’ufficio D del SID. Egli era stato il vertice del SIOS —il servizio informazioni costituito all’interno di ciascuna delle forze armate— e nell’ottobre 1970 sostituì proprio Henke come direttore del SID. I rapporti con Miceli erano molto ondivaghi, come dimostra una nota dell’8 ottobre 1974 intitolata: Dal Sid di Henke al Sid di Miceli. Così si legge: «I pesanti interventi del gen. Miceli ci hanno dato la consapevolezza che il diritto alla libertà è un diritto affievolito in Italia. A ogni tentativo da noi fatto per eludere la stretta e vigorosa sorveglianza cui il gen. Miceli ci sottoponeva, faceva riscontro un “bombardamento” di ingiunzioni, minacce, ammonimenti».

Per comprendere meglio il rapporto Pecorelli-Miceli, che racchiude una dimensione economica da approfondire in altra sede, occorre fare un passo indietro considerando la situazione sotto la lente della storia dei servizi segreti. All’epoca, il grande scontro in atto era quello tra Miceli e Gianadelio Maletti. Il primo vicino a Moro e filoarabo, il secondo considerato uomo di Andreotti e filoisraeliano. Pecorelli aveva come fonti informative molti miceliani: il già citato colonnello Fiorani, il capitano di vascello Giuseppe Cataldo, il colonnello Federico Marzollo e vari ufficiali del controspionaggio. Maletti, alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, disse di Pecorelli: «Quando giunsi al SID, nel 1971, Pecorelli era veramente guardato come la pecora nera del Servizio, almeno da una parte del Servizio, cioè dal Reparto D, il cui precedente direttore Federico Gasca Queirazza mi aveva messo in guardia contro contatti con Pecorelli. Mi aveva anche detto che Pecorelli era in stretto contatto con l’entourage del generale Miceli, e in particolare con il tenente colonnello Cosimo Pace che era un elemento alle dirette dipendenze del generale Miceli».

Anni dopo, nella sua autobiografia, Maletti confermò la vicinanza del suo rivale con Aldo Moro. Scrisse infatti che Miceli era «un estimatore e, verosimilmente, un referente di Aldo Moro». Ma le rivelazioni non finirono lì. Secondo Maletti, Miceli aveva un gruppo di collaboratori, ufficiali o marescialli dei Carabinieri, che si interfacciavano con il mondo politico, dei servizi e del giornalismo tra cui Pecorelli. Le informazioni potrebbero sembrare falsate dalla grave rivalità, ma Maletti nel suo memoriale non dimostra più acredine per Miceli, morto nel 1990, considerato persona «riservata, cortese», con uno sfondo culturale «di non evidente spessore», ma dotata di «un’ottima base di preparazione professionale».

Nella prima fase di OP le lotte furibonde sopra citate emergevano con chiarezza. Pecorelli rimase, tuttavia, battitore libero. In un primo momento, vicino a Miceli e ai suoi sodali; successivamente si riappacificò con l’ambiente contiguo a Maletti. La stella polare dell’agire di Pecorelli rimaneva una sola: ottenere informazioni. In questo senso, lo scontro nel SID era una miniera per OP. Soffiate, dossier e perfino pettegolezzi trovavano nella creatura di Pecorelli un catalizzatore utile per colpire l’avversario. Il problema era che, per il direttore dell’Osservatore Politico, amici e nemici non esistevano. Esistevano solo le notizie da dare.

LA CAMPAGNA CONTRO IL PRESIDENTE LEONE

Giovanni Leone (fonte: Quirinale.it)

I primi anni Settanta furono un periodo di cambiamenti in OP, soprattutto nella direzione. Alla guida dell’agenzia, tra gli altri, si avvicendarono Gianfranco Negroni e lo stesso Pecorelli. A queste trasformazioni, sintomatiche del fatto che l’agenzia non avesse ancora una struttura consolidata, corrispose l’inizio di una campagna scandalistica contro il presidente della Repubblica Giovanni Leone, eletto il 24 dicembre del 1971 con il supporto del Movimento sociale italiano.

OP aveva messo da tempo nel mirino il clan Leone, in particolar modo la moglie e i figli del presidente. Pecorelli sosteneva che Leone avesse creato un sistema familistico diretto alla sistemazione, nei ministeri e negli enti parastatali, di amici e parenti, i cosiddetti compari di San Gennaro. Su OP trovavano spazio anche le inchieste sugli scandali che coinvolgevano l’allora Capo dello Stato, la maggior parte di natura finanziaria.

Leone si dimise a inizio estate 1978. Pochi giorni dopo, per l’esattezza il 25 giugno, Pecorelli dedicò un intero numero alla campagna di stampa contro il predecessore di Pertini. Era una sorta di bilancio di sette anni di lotta. Nel durissimo editoriale, si leggeva: «Il bubbone marcio che da sette anni inquinava il massimo vertice istituzionale è stato finalmente estirpato». A questo virulento attacco seguiva la stoccata finale: «Leone dovrà essere ricordato come l’uomo della fase tribale».

Nel medesimo numero, con in copertina Leone e la moglie, erano raccolte, sotto il titolo Sette anni di guerra, le note che avevano trovato spazio su OP dal 1972 in poi. Si passava dalla narrazione delle avventure dei figli del presidente, scortati in giro per la capitale, ai riferimenti allo scandalo Lockheed passando per la denuncia degli sprechi, come il codazzo di 109 persone per la visita presidenziale negli USA. Nel numero venne anche inserito uno stralcio del libro Memoria di accusa contro l’on. Giovanni Leone ed altri scritti sull’affare Lockheed, scritto dal senatore socialista Guido Campopiano.

Alcune di queste notizie, con ogni probabilità, arrivavano dall’ambiente dei servizi segreti. Questi ultimi, infatti, avevano messo gli occhi su Leone dall’estate del 1971. In quell’occasione un capitano del SID, Antonio Maroni, fu incaricato di seguire Leone durante la sua crociera, con la famiglia, a Corfù. Maroni, imbarcatosi sotto falso nome insieme a un collega, scattò alcune foto alla moglie del futuro Presidente della Repubblica, Vittoria Micchitto. Successivamente, tali immagini, commissionate dal SID, furono pubblicate su OP. Ma per comprendere meglio le ragioni di questa profonda acredine di Pecorelli contro Leone, occorre leggere attentamente un libro uscito nel 1978, per il quale la sua autrice, Camilla Cederna, fu condannata per diffamazione: Giovanni Leone. La carriera di un presidente.

L’INTERVISTA DI CAMILLA CEDERNA A PECORELLI

Per il suo libro, Camilla Cederna prese moltissime informazioni dall’Osservatore Politico che, infatti, è citato nei ringraziamenti. Tuttavia, il ritratto della creatura di Pecorelli non è propriamente lusinghiero, soprattutto se si leggono queste parole: «Sulla rivistina Op (Osservatore politico) si leggono sempre notizie offensive sulla famiglia presidenziale…». E poi: «Quest’agenzia di stampa, diretta dal romano Mino Pecorelli, da sempre passa per un’agenzia del SID, una emanazione del generale Vito Miceli, che ne era il capo dal 1970…».

L’intervista di Cederna a Pecorelli si trova nel capitolo quattro della terza parte, intitolato in maniera piuttosto esplicativa: È il SID che spia?. Cederna riteneva che OP fosse una sorta di emanazione dei servizi, legata anche ad alcuni settori della Guardia di Finanza e a una parte dei dorotei di Rumor. Punzecchiato da Cederna, Pecorelli respinse con decisione e ironia le accuse di vicinanza a Miceli e definì OP «un’agenzia democratica di controinformazione». Smentendo la diceria secondo cui Miceli sarebbe stato addirittura il proprietario di OP, Pecorelli rivelò a Cederna che nel 1973 fu chiamato proprio da Miceli per far cessare gli attacchi contro il Quirinale.

Il direttore di OP proseguì l’intervista sostenendo che il presidente della Repubblica avesse preso parte alle lotte di potere all’interno dei servizi, favorendo Maletti e lasciando che Miceli venisse arrestato per il golpe Borghese. Pecorelli affermò anche di avere le prove di una macchinazione di Leone contro di lui e, a questo proposito, citò due esempi: la perquisizione, nei primi mesi del 1975, della sede di OP da parte della Guardia di Finanza e una serie di intimidazioni. Per quanto riguarda l’intervento dei finanzieri, il giornalista molisano ritenne che la segnalazione per il controllo fosse arrivata al giudice Tamburino da Maletti, convinto che dietro l’agenzia si celasse Miceli. Tra le intimidazioni, invece, Pecorelli elencava la distruzione della sua auto, il ritiro del passaporto, un processo per falso in bilancio e bancarotta fraudolenta e un’altra perquisizione della Guardia di Finanza. L’intervista di Cederna si concludeva con una rivelazione: il presidente della Repubblica aveva provato persino una mediazione con OP.

Questa digressione in un periodo storico successivo a quello di interesse del presente articolo —con il libro di Cederna siamo, infatti, nel 1978— serve a fissare un dato di fatto. Pecorelli guidava un’agenzia di fatto fonte primaria per tutti i grandi quotidiani del paese. I quali si guardavano bene dal citarla o dal riconoscerne il ruolo. Tuttavia, bisogna anche evidenziare il fatto che, nel caso della campagna contro Leone, la coincidenza tra gli articoli di OP e gli obiettivi politici di una parte dei servizi segreti è ben chiara.

LA COLLABORAZIONE CON FIORENTINO SULLO

Il ministro democristiano Fiorentino Sullo, di cui Mino Pecorelli fu capo ufficio stampa per oltre un anno tra il 1972 e il 1973.

Fiorentino Sullo in una foto istituzionale di fine anni Settanta (fonte: legislature.camera.it)

Nel primo periodo dell’Osservatore Politico, Pecorelli decise di intraprendere una nuova sfida. Tra il febbraio del 1972 e il luglio del 1973, il giornalista molisano divenne capo ufficio stampa di Fiorentino Sullo. Il politico democristiano, durante il periodo di collaborazione con Pecorelli, fu ministro per il Coordinamento delle iniziative per la ricerca scientifica e tecnologica nell’Andreotti I e ministro per gli Affari regionali dell’Andreotti II. Sullo, in un’intervista a L’Espresso del novembre 1980, tornava sul momento dell’incontro con il direttore di OP. Fu quest’ultimo a offrire la sua collaborazione al ministro DC.

Sullo affermò di conoscere l’agenzia, ma non Pecorelli e, quindi, si informò con il SID e con Miceli. Il parere fu positivo, ma il direttore dei servizi segreti definì il giornalista molisano «autonomo». Sullo si decise così ad assumere Pecorelli. Un primo momento di crisi tra i due si ebbe poco tempo dopo quando Sullo, durante un viaggio ufficiale in Romania, sorprese il giornalista mentre cercava di registrare le conversazioni con i politici rumeni tramite un sofisticato strumento giapponese.

C’era, inoltre, la questione del doppio incarico. Formalmente, infatti, Pecorelli non era più il direttore dell’Osservatore Politico, ma, in maniera ufficiosa, rimaneva il principale organizzatore dell’agenzia. Ciò comportava dei problemi, come ebbe modo di confermare anche Sullo. Egli doveva giustificare gli attacchi contro la Balena Bianca che apparivano su OP, creatura del suo capo ufficio stampa. Sullo fu, quindi, costretto a mettere Pecorelli davanti a una scelta: lavorare per lui o continuare con OP. Il nativo di Sessano del Molise optò per la prima opzione e, temporaneamente, lasciò l’agenzia. Tuttavia, il periodo di collaborazione con Sullo sarebbe durato ancora poco. Dopo che il politico democristiano non venne confermato come ministro, Pecorelli si allontanò e il legame tra i due si ruppe.

Il periodo da capo ufficio stampa si rivelò un momento decisivo per la carriera di Pecorelli. Il giornalista molisano riuscì ad approfondire i rapporti con il mondo politico ed economico che gravitava attorno a Sullo. Quest’ultimo era un vero e proprio notabile della DC. Aveva il feudo in Irpinia dove, tra anni Cinquanta e Sessanta, aveva costruito la sua fortuna elettorale.

Sullo, classe 1921, fece la sua prima esperienza politica nel Partito d’Azione. Nel 1944, tuttavia, si iscrisse alla DC dove cominciò la sua carriera politica. Negli anni Cinquanta divenne sottosegretario e nel 1960 fu uno dei tre ministri, insieme a Bo e Pastore, a dimettersi dal governo Tambroni in dissenso con la fiducia ottenuta grazie ai missini. A inizio anni Sessanta si fece promotore di una riforma urbanistica, affossata anche per la contrarietà dei grandi gruppi edili. Sul finire del decennio ci fu lo scontro con De Mita che andò all’assalto del feudo irpino. Sullo tenne duro fino a metà anni Settanta quando lasciò la DC per il PSDI per poi ritornare tra i democristiani nel 1982.

L’UOMO DEI SERVIZI: NICOLA FALDE

L'ufficiale dei servizi Nicola Falde, già direttore di OP, l'agenzia giornalistica di Mino Pecorelli, per alcuni mesi a cavallo tra il 1973 e il 1974

Nicola Falde, durante una puntata di «Telefono giallo» dedicata al caso Pecorelli (Rai Tre, 25 marzo 1988)

L’intimidazione contro Pecorelli nella notte tra 7 e 8 novembre 1973 diede il via al periodo più turbolento e complicato per l’Osservatore Politico. Il primo dicembre dello stesso anno, divenne direttore Nicola Falde. Questo fatto è stato interpretato in maniera variegata. C’è chi ha visto in Falde un uomo di Vito Miceli, messo al vertice di OP per controllare meglio l’agenzia e le notizie che venivano date, e chi, invece, ritenne Falde un semplice sostituto di Pecorelli, trasferitosi momentaneamente in Svizzera per problemi di salute mai confermati. Fatto sta che, per la seconda e ultima volta, Pecorelli perse il controllo di OP. Ma chi era Nicola Falde?

Ufficiale dei servizi, poi generale, sostituì Renzo Rocca, suicidatosi in circostanze mai chiarite, all’ufficio REI, divenuto ufficio RIS Ricerche Speciali alle dipendenze dell’ufficio D del SID. Precedentemente, Falde era stato segretario particolare del fanfaniano Giacinto Bosco. Quest’ultimo fu sottosegretario alla Difesa dal 1953 al 1958 e più volte ministro a cavallo tra anni Sessanta e Settanta. Ferruccio Pinotti, autore di Potere massonico, segnala Bosco come membro della loggia coperta Giustizia e libertà, affiliata alla massoneria di Piazza del Gesù. Era un ambiente che raccoglieva politici, industriali, grandi finanzieri, militari, alti burocrati e personaggi vicini alla malavita come Agostino Coppola, nipote del boss di Cosa Nostra Frank Coppola. Falde fu segretario particolare di Bosco dal 1953 al 1966. Dopodiché, si addentrò nel mondo dei servizi segreti.

Il primo contatto tra Pecorelli e Falde fu indiretto. Su Nuovo Mondo d’Oggi, infatti, comparvero diverse note molto critiche nei confronti dell’ex segretario di Bosco, accusato di favorire la Oto Melara nella lotta per le commesse militari, in quel caso carri armati. Pecorelli, in un secondo momento, si scusò per questi attacchi. Secondo Falde, essi erano stati commissionati dall’ammiraglio Eugenio Henke, primo direttore del SID e finanziatore di Nuovo Mondo d’Oggi e dell’Osservatore Politico, molto legato a Franco Simeoni, che lo stesso Falde definirà «giornalista-spia».

Henke aiutò economicamente la creatura giornalistica di Pecorelli finché vi collaborò Simeoni. Fatto sta che Falde, nel 1969, lasciò i servizi, avvicinandosi all’ambiente del giornalismo. La collaborazione tra lui e OP partì un paio di anni dopo, nell’ottobre 1971. Per un breve periodo, dal 1° dicembre 1973 al 31 marzo 1974 ne fu anche direttore. Quando si dimise, Pecorelli, che aveva ripreso il controllo dell’agenzia, pubblicò una nota molto ironica: «La proprietà, la direzione, i redattori e il personale tutto, dipendenti di questa Agenzia, partecipano con soave beatitudine la dipartita dei loro collaboratori Nicola Falde e dott. Annibale Ilari. Addolorati e straziati ne danno pubblico annuncio ai loro lettori». Parole non proprio di affetto che nascondevano dissidi più profondi.

UN CONFLITTO SOTTERRANEO PER IL CONTROLLO DELL’AGENZIA

Perché i due si separarono così bruscamente? Falde dirà che il suo addio era relativo alla «incontinentia pubblicandi» di Pecorelli. Quest’ultimo, in piena campagna referendaria sul divorzio, pubblicava i comici annullamenti di matrimonio sanciti dalla Sacra Rota per le famiglie benestanti della Roma aristocratica e borghese. Le motivazioni erano ridicole e venivano passate a OP dal già citato Ilari, prelato ed ex direttore dell’Archivio Segreto Vaticano. Tuttavia, c’è una seconda chiave di lettura.

Nelle carte di Pecorelli, ritrovate nel suo studio e, in parte, inserite nel tomo XIV della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, c’è una nota senza data e non firmata in cui si legge: «Il Gen. Miceli ha chiesto che la direzione dell’agenzia fosse assunta dal dott. Falde e che l’agenzia desistesse da scrivere note non amichevoli verso la Presidenza del Consiglio, nei confronti dell’On. Ministro della Difesa, che venissero tralasciati argomenti di interesse personale nel settore militare, che cessassero le note polemiche nei confronti del Vaticano, del Quirinale, dell’On. Bisaglia. In un secondo momento, si è aggiunta anche la dirigenza di vertice dell’IRI».

Parallelamente alla guerra tra bande all’interno dei servizi segreti, all’interno di OP si stava combattendo un conflitto sotterraneo per il controllo dell’agenzia. Falde era a tutti gli effetti un uomo di Miceli e l’obiettivo di quest’ultimo, agli inizi degli anni Settanta, sembra quello di controllare più da vicino OP. A prova di ciò c’è un altro indizio. In Scoop mortale, libro di Rita di Giovacchino, si legge che nel 1972 OP si trasferì in Via Sicilia, in un edificio dove si trovava anche un ufficio di copertura del SID. Da una lettera di Pecorelli a Miceli, risalente al febbraio 1973, inoltre, emerge un altro dato interessante. Il giornalista molisano affermava di aver ricevuto pressioni per far cessare gli attacchi contro Tanassi, ministro della Difesa socialdemocratico.

«IL SUO STILE LO ESPONEVA A MILLE VENDETTE»

Una immagine in «fototessera» di Mino Pecorelli

Una immagine in «fototessera» di Mino Pecorelli

Gli anni di Falde a OP, sia come collaboratore sia come direttore, sono molto complessi in primis dal punto di vista economico. Falde, in un esposto presentato alla Commissione P2, scrive: «In breve si inaridirono tutte le fonti di sovvenzioni a O.P. e nel biennio 1972-73 Pecorelli fu attanagliato da una crisi finanziaria che portò il foglio quasi alla chiusura». D’altronde le lotte attorno a OP, la lontananza di Pecorelli —all’epoca capo ufficio stampa di Sullo—  e le turbolenze legate agli articoli pubblicati, avevano creato difficoltà enormi. Falde stesso disse che l’Osservatore Politico fu salvato da un prestito bancario di trenta milioni di lire accordato da una banca popolare.

Falde lasciava intendere che il problema fosse la natura di OP: «…purtroppo lo stile e l’orientamento dell’agenzia era tutto di Pecorelli e quel suo foglio che colpiva nel mucchio, indiscriminatamente, se esprimeva bene la personalità di Pecorelli, esponevano a mille vendette e a mille insidie non solo lui, ma soprattutto me stesso, attribuendomi colpe e responsabilità». Traducendo le parole di Falde, l’agenzia era in difficoltà economica a causa del fatto che non tutelasse, nei suoi articoli, nemmeno i propri finanziatori. A ciò si sommava la natura ondivaga del rapporto con i servizi e soprattutto con i miceliani e le minacce ricevute, come la distruzione dell’automobile avvenuta nella notte tra il 7 e l’8 novembre 1973 di cui Pecorelli incolpò esplicitamente, in un dossier pubblicato nel corso del 1976, Antonio Labruna, braccio destro di Maletti.

L’abbandono di Falde avvenne nell’aprile del 1974. Nel suo esposto e durante l’audizione alla Commissione parlamentare per la P2, presieduta da Tina Anselmi, Nicola Falde mostrava, in maniera indiretta, una certa tendenza a smarcarsi da OP. Ad esempio quando raccontava i particolari della collaborazione con Pecorelli, affermava di vivere poco la redazione. Egli, semplicemente, dettava le note da pubblicare a Cardellini, giornalista dell’agenzia. I suoi argomenti di riferimento erano le accuse a Camillo Crociani, boiardo di Stato coinvolto nel caso Lockheed, e gli attacchi a Eugenio Cefis, considerato l’alfiere del golpismo tecnocratico. L’ex membro dei servizi segreti, una volta lasciato OP, cercò per sua stessa ammissione di dare vita a un foglio di sua proprietà, ma non riuscì a trovare le giuste fonti di finanziamento.

LA «INCONTINENTIA PUBBLICANDI» DI PECORELLI

Rimasti vicini, Pecorelli e Falde si continuarono a frequentare. Ed è iconica la descrizione dell’ultimo incontro tra il generale del SID e il direttore di OP, fatta durante la già citata audizione alla commissione parlamentare: «Vidi il Pecorelli, fu l’ultima volta, un paio di mesi prima che venisse ucciso. Mi parve tranquillo e molto sicuro di sé. Pecorelli era uomo assai riservato circa le sue fonti informative… A proposito dell’atteggiamento baldanzoso di Pecorelli, mi ricordo che gli dissi – l’ultima volta che lo vidi – di “calmarsi” e di smetterla con la sua incontinentia publicandi (come io la definivo scherzosamente) ammonendolo che qualcuno lo avrebbe ucciso (testualmente gli dissi che “correva rischi mortali”)…Rimanemmo insieme per circa mezz’ora. Alla mia ammonizione, Pecorelli rispose: “Viva la libertà, me ne fotto, si campa una volta sola”».

Ed è anche interessante analizzare la lettura che diede Falde di OP: «La contraddittorietà di Pecorelli, che politicamente si confermava per la stessa parte che attaccava, non consentirono che io continuassi a scrivere su quel foglio e così, con l’aprile del ’74 cessò ogni mio collegamento con l’agenzia che pur lasciò un segno notevole perché ciò che venne scritto e venne letto non fu mai smentito perché negare la verità è difficile, sopprimerla o perlomeno soffocarla invece è facile per chi ha il potere». In queste poche righe è condensata tutta l’avventura di Falde a OP. In primis le ragioni dell’allontanamento, dovute al modus operandi di Pecorelli, considerato fin troppo spregiudicato. Ma c’è anche la rivendicazione della bontà del lavoro svolto nell’agenzia. Rimane il fatto che la figura di Falde, aderente ai servizi segreti, è di difficile lettura e la sua contiguità con Miceli è argomento da analizzare.

L’OMBRA DI GELLI

 Licio Gelli

Nei primi anni Settanta, OP era in subbuglio e la fluidità della sua struttura apriva fratture in cui potevano inserirsi entità diverse. Tra di esse, anche la P2 di Gelli. Durante una riunione all’hotel Baglioni di Firenze, avvenuta il 29 dicembre del 1971, venne fatta la proposta di costituire un servizio d’informazione massonico da affidare a Falde. Quest’ultimo affermò di non saperne nulla.

Effettivamente Falde era un membro della P2, ma successivamente attaccò Gelli e abbandonò la loggia coperta. In ogni caso al Baglioni c’era il direttivo della P2 al completo e il Gran Maestro del GOI, Lino Salvini. Questo incontro fu al centro di una domanda posta da Tina Anselmi a Nicola Falde, nell’audizione davanti alla Commissione. La risposta del generale del SID fu chiara: «Gelli cercava di farsi un suo centro d’informazione e voleva utilizzare l’agenzia OP come suo organo. Diceva che voleva utilizzarla, ma di fatto che cosa voleva fare? Una raccolta di notizie dalla periferia massonica a lui. Lui si teneva queste notizie e poi le avrebbe utilizzate. Cioè, nell’attività di Gelli si vede sempre il disegno costante di farsi un suo centro d’informazione. Praticamente, l’informazione è stata per lui un’arma operativa». Parole significative che certificavano un attento interesse nei confronti di OP.

E sull’Osservatore Politico, il 18 gennaio 1972, comparve una nota: «Una snella ed efficientissima organizzazione, ottimamente mimetizzata, alla conduzione della quale è preposto un Personaggio del quale non possiamo rivelare l’identità essendo Egli pressoché ignoto alla quasi totalità degli iscritti militanti. Questo personaggio è l’elemento determinante delle più delicate e complesse vicende della vita politica italiana». Pecorelli, dunque, conosceva molto bene la P2 diversi anni prima che scoppiasse lo scandalo. Si iscrisse alla loggia massonica coperta il 27 novembre 1975. Il rapporto tra il giornalista molisano, Gelli e la P2 fu complesso e caratterizzato da attacchi virulenti alternati a riavvicinamenti, dovuti anche alle potenzialità informative del Venerabile. Non furono poche le notizie che Pecorelli trovò nell’ambiente multicentrico ed estremamente competitivo della P2, associazione sovversiva e camera di compensazione al tempo stesso.

UN BILANCIO COMPLESSO

Il periodo che va dalla fondazione di OP al 1974, quando Pecorelli tornò a prendere pieno possesso dell’agenzia, è estremamente magmatico. Questa fase iniziale è resa ancor più confusa dal fatto che l’Osservatore Politico mancava di un indirizzo giornalistico chiaro. Si può, tuttavia, cercare di fare un po’ di ordine.

Il punto fermo è la conflittualità. All’inizio, lo scontro è quello tra Simeoni e Pecorelli. Siamo proprio all’alba di OP, quando ancora Pecorelli era legato all’esperienza di Nuovo Mondo d’Oggi, con le sue storture e i suoi punti di forza. L’eccessiva vicinanza tra Simeoni e Henke ha portato il giornalista molisano ad allontanare il suo collega, troppo compromesso.

Poi c’è un secondo conflitto, quello tra il direttore di OP e Miceli. Il direttore del SID aveva l’obiettivo di rendere l’agenzia una sua creatura. Ed è in questa ottica che compare Nicola Falde, uomo dei servizi. Pecorelli, in difficoltà a causa della mancanza di finanziamenti, aveva assecondato, almeno per un periodo, questa manovra. Lo dimostra il periodo da capo ufficio stampa di Fiorentino Sullo. Un’esperienza diversa da quella che sarà la successiva carriera del giornalista nativo di Sessano del Molise, ma che lo aiutò a trovare nuove fonti e a consolidare contatti.

Dopo la fine della collaborazione con Sullo, Pecorelli tornò a OP. Tuttavia, ci fu un altro momento di sbandamento con il periodo in Svizzera e la parentesi di Falde come direttore. L’uscita di scena di quest’ultimo, nell’aprile del 1974, è di poco anteriore all’arresto di Miceli, a ottobre dello stesso anno, nell’ambito del golpe Borghese. È la fine dell’offensiva miceliana per tenere sotto controllo OP, coincidente con il secondo ritorno di Pecorelli al vertice dell’agenzia. Da questo momento, la struttura dell’agenzia diventa più solida e stabile, ugualmente soggetta alle intemperie economiche, ma meno incline ad assecondare influenze esterne.

C’è infine un ultimo elemento: la P2. Dalle parole di Falde emerge che il primo interessamento di Gelli verso OP risale proprio al 1972. L’attenzione del Venerabile Maestro nei confronti della stampa è cosa nota e l’utilizzo di un’agenzia ben inserita in determinati ambienti sarebbe stato un tassello importante nella strategia d’influenza gelliana. Ciò non avvenne per un insieme di fattori. Il più importante era la capacità giornalistica, ma anche umana, di Pecorelli, capace di blandire e minacciare al tempo stesso una figura oscura come Gelli in un gioco di attacchi e avvicinamenti.

In conclusione, la prima fase di OP fu al centro di un furioso scontro. Intorno a esso, c’erano personaggi con obiettivi e interessi diversi. Pecorelli cercò di mantenere il controllo dell’agenzia con alterne fortune, anche perché il conflitto non era banale e coinvolgeva forze importanti. Mentre il tentativo di Miceli faceva leva sul fattore economico —una delle grandi vulnerabilità dell’Osservatore Politico— la manovra di Gelli prevedeva un controllo delle fonti informative. Pecorelli, in un misto tra bravura e fortuna, riuscì a riemergere mantenendo il controllo della sua creatura che fece il definitivo salto di qualità, divenendo un settimanale venduto nelle edicole, nel tragico marzo del 1978.