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La commissione di inchiesta sul caso Orlandi? Un progetto che fa acqua da tutte le parti

Tommaso Nelli

Il dibattito politico di questi giorni non autorizza a essere ottimisti sulle premesse che potrebbero portare all'istituzione dell'organo parlamentare atto a svolgere, com'è noto, indagini conoscitive su fatti di pubblico interesse con gli stessi poteri e limiti dell'autorità giudiziaria

Un guazzabuglio di errori, pressapochismo e spese folli. La proposta di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta sul caso di Emanuela Orlandi denuncia tutta l’impreparazione della politica sulla vicenda della cittadina vaticana scomparsa a Roma il 22 giugno 1983. Tanto che, se dovesse essere costituita, non potrebbe non deragliare dai binari della verità traducendosi in un ennesimo spreco di denaro pubblico. Ma che cosa c’è che non va in questa iniziativa? Quasi tutto. Dalla sovrapposizione dei testi depositati da alcune formazioni dell’attuale legislatura (Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Alleanza Verdi-Sinistra) alle inverosimiglianze del loro contenuto. Cioè la base per dare vita a un organo parlamentare, previsto dall’articolo 82 della Costituzione, che ha il compito di svolgere indagini conoscitive su fatti di pubblico interesse con gli stessi poteri e limiti dell’autorità giudiziaria.

PERCHÉ ACCOMUNARE I CASI ORLANDI, GREGORI E CESARONI?

Una commissione parlamentare d’inchiesta non può sostituirsi alla magistratura, ma soltanto raccogliere informazioni che meglio consentano la comprensione di ciò di cui si occupa. Un obiettivo al momento utopico per l’enigma Orlandi, a causa della superficialità e vanità di chi vorrebbe affrontarlo.

Altrimenti non sarebbero state presentate quattro proposte in due mesi e mezzo. Bensì si sarebbe lavorato su una sola, la prima, a firma dell’onorevole Francesco Silvestri, capogruppo alla Camera dei deputati del M5S, depositata il 1°dicembre 2022 con l’obiettivo di “verificare, attraverso l’analisi degli atti processuali e del materiale investigativo raccolto, quali criticità e circostanze abbiano determinato il mancato accertamento giudiziario dei fatti e delle eventuali responsabilità”. Invece il 20 dicembre, l’onorevole Roberto Morassut (PD), in una conferenza stampa a Montecitorio, annunciava un’idea analoga al fine di “ricostruire e analizzare in maniera puntuale la dinamica del rapimento di Emanuela Orlandi”.

Già qui una prima forte collisione col testo di Silvestri che, a ragion veduta, ripete per undici volte solo la parola “scomparsa”. E non è l’unica. Perché Morassut associava al mistero Orlandi anche quello di Mirella Gregori e pure il delitto di Simonetta Cesaroni. Drammi assenti dalla proposta pentastellata, peraltro mai citata durante la conferenza alla quale partecipava una esponente del M5S: l’onorevole Stefania Ascari firmataria, insieme agli onorevoli Matteo Richetti (Italia Viva), Augusto Curti, Luciano D’Alfonso e Toni Ricciardi (PD), di una iniziativa Morassut incomprensibile e irreale. Perché non esistono ragioni né fattuali e né temporali per accomunare i “gialli” Orlandi, Gregori e Cesaroni. I primi due riguardano adolescenti sparite e delle quali non si è più saputo nulla a cominciare dalle spoglie, presenti invece per Simonetta Cesaroni — caso di omicidio (mai risolto) e non di “scomparsa”. Inoltre, di Mirella ed Emanuela si persero le tracce nel 1983, mentre Simonetta fu uccisa nel 1990.

EMANUELA ORLANDI? NON CI FU ALCUN “RAPIMENTO”

Morassut deve essersi accorto dell’incongruenza o qualcuno gliel’ha forse fatta notare. Perché il 13 febbraio, due giorni prima che iniziasse l’esame della proposta Silvestri nel frattempo assegnata alla I^ Commissione permanente (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni) della Camera dei Deputati, depositava un nuovo testo. Analogo al precedente, ma senza il delitto Cesaroni, srotolava di nuovo il filo rosso tra Orlandi e Gregori: “La madre di Mirella, durante una visita del Papa in una parrocchia romana il 15 dicembre 1985, riconobbe in un uomo della scorta una persona che spesso andava a prendere la figlia a casa. Forse lo stesso uomo che è stato visto con Emanuela Orlandi, pochi giorni prima della sua scomparsa?”. Nient’altro che infondatezze. Perché l’uomo visto in quell’occasione dalla madre, non andava a prendere Mirella a casa. Bensì era stato notato dalla donna intrattenersi, a volte, con la figlia e una sua amica ai tavolini del bar dei genitori di quest’ultima, all’epoca situato sotto casa dei Gregori. Ma soprattutto non poteva essere l’uomo visto con Emanuela pochi giorni prima della scomparsa perché, tra documenti e testimonianze orali, la ragazza non fu mai notata con qualche adulto.

Premesso ciò, associare i casi Orlandi e Gregori rappresenta “un accostamento arbitrario e strumentale”, come scrisse chi se ne occupò, la giudice Adele Rando, nella sentenza di archiviazione del 19 dicembre 1997. E come si riscontra dallo studio delle vittime. Perché le due non si conoscevano, abitavano in ambienti differenti, frequentavano persone diverse e sparirono in luoghi distinti (Mirella a Porta Pia, Emanuela su Corso Rinascimento). Ad accomunarle, la modalità di perdita delle loro tracce. Alla luce del giorno e in posti affollati. Circostanze che fanno capire come seguirono una persona che conoscevano e di cui si fidavano e che in automatico esclude il concetto di “rapimento”. La proposta Morassut però sentenzia: “Emanuela Orlandi fu rapita. Se ne ha, ormai, certezza vi fu una rivendicazione del suo rapimento da parte dei rapitori, che ottennero addirittura una linea riservata con la Segreteria di Stato della Santa Sede, nella persona del cardinale Agostino Casaroli, al fine di trattare le condizioni per il rilascio”. Una ostentata certezza che non fa i conti con l’ignoranza della materia.

L’ultimo avvistamento della giovane fu dopo le 19:00 del 22 giugno, nel centro di Roma e di fronte al Senato della Repubblica. Nemmeno il più dilettante dei delinquenti porterebbe via con la forza una persona, per giunta minorenne, in un posto del genere, transitato da centinaia di persone che si sarebbero accorte di una simile violenza e con la vittima che avrebbe urlato aiuto. Infatti, negli atti non è riportato nulla di simile. Come non ci sono prove del “rapimento”. Tutt’altro. Perché la rivendicazione richiamata dall’onorevole non fu altro che un abile depistaggio. Infatti, la presunta organizzazione mai si accreditò sulla scena pubblica; mai fornì prove che dimostrassero la sua detenzione della ragazza; propose una trattativa insussistente che chiedeva la liberazione di Alì Agca (condannato dalla giustizia italiana) in cambio di quella di Emanuela (cittadina vaticana); visto che il turco non fu scarcerato, mai restituì il corpo di Emanuela dopo l’ultimatum del 20 luglio 1983.

“SE EMANUELA È IN CIELO, DOBBIAMO PREGARE PER LEI”

Da ultimo, inverosimili anche altri due passaggi del testo: la famiglia Orlandi all’oscuro delle indagini del SISMI e questi atti mai consegnati all’autorità giudiziaria. Sennonché durante la conferenza stampa del dicembre 2022, un documento del servizio segreto militare è stato citato dal fratello di Emanuela Orlandi. Dunque, la famiglia è a conoscenza dell’attività del SISMI. Parte di questi atti si ritrovano poi nell’ultima inchiesta giudiziaria sul caso, archiviata nel 2015, mentre “l’intera documentazione” fu già acquisita dalla dottoressa Rando: “Il G.I. […] dispone la consegna immediata da parte del Direttore del SISMI della documentazione in originale” scrisse nel decreto che le permise la consultazione degli atti sul caso Orlandi conservati a Forte Braschi che dal 1983 arrivavano fino al febbraio 1986.

Anche la proposta dell’M5S non è esente da criticità. Non è vero che “l’attività investigativa iniziò in ritardo rispetto alla sparizione”, perché il 27 giugno 1983 la Squadra Mobile di Roma aveva già stilato due relazioni sull’attività svolta fino a quel momento. E, diversamente da quanto scritto, la magistratura italiana fece domanda “per via diplomatica” al fine di ottenere il contenuto delle chiamate sulla linea riservata chiesta dai presunti rapitori col codice 158. Avvenne con la seconda rogatoria inoltrata alle autorità vaticane il 2 marzo 1994. Il problema è che da Oltretevere mandarono “una cassetta riflettente conversazioni effettuate sulla linea riservata ma assolutamente irrilevanti”. Il testo dei Cinque Stelle poi cede alla deriva sensazionalistica sulla vicenda degli ultimi anni — tra la citazione della cassetta di via della Dataria priva delle voci maschili, notizia infondata come svelato su “Spazio70, e il presunto dossier che sarebbe stato avvistato ai tempi di Benedetto XVI “sulla scrivania del Segretario del Pontefice” e che “stava per essere consegnato ad un magistrato che seguiva l’inchiesta Orlandi”. Un racconto scaturito dal film (cioè un prodotto di finzione) “La verità sta in cielo” che però collide con la realtà. Dove un magistrato non può allegare materiale alla sua indagine in via informale, bensì soltanto in forma ufficiale. Cioè con una consegna diretta oppure con un invio alla sua segreteria. E in entrambe le circostanze la procedura deve essere verbalizzata.

Errato anche il riporto della frase che Papa Francesco avrebbe detto alla madre di Emanuela all’uscita della chiesa di Sant’Anna il 17 marzo 2013, quattro giorni dopo la sua elezione. Che non fu “Emanuela sta in cielo” bensì, come raccontano le cronache dell’epoca attraverso le parole del fratello della giovane, Se Emanuela è in cielo, dobbiamo pregare per lei. Infine, si cita il “ruolo chiave” di Sabrina Minardi per la pista della Banda della Magliana quando invece i suoi racconti – dal presunto luogo di detenzione di Emanuela alla sua fine, etc. – risultano del tutto privi di riscontri. Come abbiamo spiegato nella nostra diretta, ma soprattutto come scritto nel decreto di archiviazione del Tribunale di Roma che, nell’ottobre 2015, accolse in toto le valutazioni sulle parole della donna formulate da chi la indagò, la dottoressa Simona Maisto: “Il P.M. ritiene dunque che le dichiarazioni di Sabrina Minardi […] appaiono e sono del tutto inverosimili oltre che contraddittorie”.

ALTRE INSENSATEZZE CARE AL “MAINSTREAM”

A intensificare il caos, la proposta dell’onorevole Filiberto Zaratti (AVS – Alleanza Verdi e Sinistra), depositata anch’essa il 13 febbraio, quasi un florilegio delle insensatezze sul caso proferite nell’ultimo decennio. Come la prima telefonata che sarebbe arrivata alla sala stampa della Santa Sede la sera stessa della scomparsa di Emanuela, alle ore 21”. Riferimento implicito alle parole di monsignor Viganò, estirpate però alla radice dall’assenza in Vaticano quel giorno della presunta fonte di quell’informazione, padre Romeo Panciroli (portavoce della sala stampa), che era in Polonia con Giovanni Paolo II. Si cita quindi il possibile scambio di persona con Emanuela rapita per sbaglio al posto della figlia di Angelo Gugel, aiutante di camera di Wojtyla. Una teoria nata dalle parole della giovane nel luglio 1984 ai Carabinieri di Roma, ai quali raccontò che tre anni prima, pochi giorni dopo l’attentato contro il Santo Padre, aveva notato un uomo di carnagione scura che la fissava sull’autobus che la portava a scuola. Successe per un paio di settimane, poi questo sparì. Come scritto in Atto di Dolore, se l’episodio fosse stato percepito fin da subito in tutta la sua gravità, sarebbe stato denunciato nell’immediatezza o comunque non si sarebbero attesi più di tre anni. E quanto accaduto alla Gugel, a seguito di più testimonianze raccolte fra sue coetanee dell’epoca da parte di chi scrive, era purtroppo frequente perché rientrava nelle modalità di abbordaggio del genere femminile al tempo. Senza contare che, se davvero un’organizzazione terroristica internazionale avesse voluto rapire la figlia dell’aiutante di camera del Papa o Emanuela Orlandi, non avrebbe sbagliato obiettivo.

Più avanti, ci si imbatte nel riciclaggio di un altro fuoripista sulla tesi del sequestro da parte della Banda della Magliana tanto cara al mainstream: il ruolo di tal Marco Sarnataro, delinquente di piccolo taglio. Un flop che vi abbiamo raccontato lo scorso agosto, smontando il surreale scoop di “Repubblica”. Spazio dunque alle ossa rivenute nella Nunziatura Apostolica di via Po alla fine di ottobre del 2018, per le quali si afferma: “Trattandosi di un palazzo della Santa Sede il collegamento con i casi di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori, scomparsa un mese prima di Emanuela, è stato immediato”. Un ragionamento inconcepibile. Intanto che cosa c’entra Mirella Gregori con la Santa Sede, visto che era cittadina italiana? E poi perché, siccome la nunziatura è territorio vaticano, quei resti avrebbero dovuto essere per forza di Emanuela Orlandi? Ma si sa che Roma ha migliaia di anni di storia, che sotto la sua superficie ci sono le rovine di almeno altre due città, che fino a tre secoli fa i morti venivano seppelliti in casa e che quelle ossa sarebbero potute appartenere a una persona comune? Come, tra l’altro, stabilirono gli esami della Polizia Scientifica, che accertarono fossero di un uomo vissuto nei primi secoli dopo Cristo.

Parte di queste contraddizioni sono emerse nelle sedute della I^ Commissione, che il 28 febbraio avrebbe dovuto deliberare il testo definitivo. Sennonché il presidente Nazario Pagano (deputato di Forza Italia) ha fatto presente come il Governo abbia chiesto “un supplemento di tempo per istruire le proposte emendative presentate”. Qualora venissero approvate, farebbero prevalere la linea “Morassut-Zaratti sulla Silvestri, dichiarata la “base” del testo dalla sua relatrice (l’onorevole Sara Kelany, Fratelli d’Italia), e orienterebbero l’azione della commissione a “ricostruire e analizzare in maniera puntuale la dinamica dei rapimenti di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori”.

IL TEMA DEI (TANTI) SOLDI PUBBLICI

Una variazione che, al di là del suo esito, riflette come PD e AVS non stiano giocando di squadra bensì per loro stessi, quasi interessati più a intestarsi questa iniziativa che a sposarne la causa. Altrimenti avrebbero appoggiato la proposta pentastellata senza presentare le loro. Ma soprattutto una variazione che traccerebbe la strada dell’insuccesso per l’eventuale commissione. Perché prospettando la vicenda Orlandi come “rapimento” e unendovi la Gregori quando invece è estranea, ne sbaglierebbe l’impostazione di fondo e la indurrebbe a indagare su una storia a sfondo internazionale. Lo si capisce anche dall’emendamento che vorrebbe promuovere “azioni presso Stati esteri, finalizzate ad ottenere documenti o altri elementi di prova in loro possesso che siano utili alla ricostruzione della vicenda”. Qualcuno potrebbe obiettare a giusto titolo che anche il Vaticano sia uno Stato estero. Dove però è già in corso un’inchiesta su Emanuela Orlandi. Quindi, nell’eventualità, o respingerà la richiesta italiana proprio con questa motivazione, oppure consegnerà quanto raccolto. Che non potrà nuocergli. Come detto più volte, qual è il responsabile di un misfatto che, a precisa domanda, lo ammette senza problemi e pure lo documenta? Ecco perché questa aggiunta guarda più a rogatorie internazionali presso altri Stati, funzionali alla tesi dell’intreccio politico e ottime perché la commissione duri a lungo (e inutilmente, perché quell’ipotesi è un depistaggio). Un obiettivo possibile grazie anche a un’altra richiesta che pretenderebbe “indagini […] su possibili nuovi elementi che possano integrare le risultanze delle indagini giudiziarie e processuali finora svolte su crimini che in qualche modo possano avere interferenze con la scomparsa di Emanuela Orlandi”. Di fatto, senza la lettura di un documento delle inchieste giudiziarie, la politica ha la presunzione di stabilire che la scomparsa di Emanuela Orlandi sia un intrigo tanto fitto da inglobare altri fatti criminosi. Come si fa a sostenere tutto questo senza lo straccio di un riscontro oggettivo?

Infine, alcune considerazioni. Questo governo, che ha ottime entrature con l’ala più tradizionalista della Curia, a gennaio issò la bandiera a mezz’asta (come il Portogallo, unici casi in tutta Europa) per la morte di Benedetto XVI nonostante nemmeno il Vaticano in quei giorni abbia fermato le sue attività come avviene quando muore un Pontefice. Per cui: tanta deferenza può conciliarsi con l’autorizzazione a un’indagine su un caso da sempre fumo negli occhi per Oltretevere? Certo, se il Vaticano non ne verrà toccato o sfiorato marginalmente. Come accadrà con questa commissione, viste le premesse che la vogliono intenzionata a guardare lontano e non vicino, cioè nei mondi e nel privato di Emanuela. La cui storia, trascorso un altro inconcludente quinquennio (tanto dura una commissione), precipiterà nell’oblio.

A spese nostre però. Già perché questa possibile inchiesta parlamentare ha pure un altro difetto. E non di poco conto. La richiesta dei finanziamenti per il suo svolgimento. Siccome è passato il testo Silvestri, dovrebbero essere 50.000 euro annui per cinque anni. Ma Zaratti ne aveva chiesti 100.000 mentre Morassut addirittura 150.000 il primo anno e 100.000 per i successivi. Entrambi contemplavano pure un possibile incremento del 30%. Non sappiamo ancora il preciso stanziamento, certo è che si tratta di una marea di soldi pubblici. Che il nostro Paese farebbe forse meglio a investire in altre direzioni, piuttosto che in un progetto del genere. Che fa acqua da tutte le parti.