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Caso Orlandi: il flop della «pista Sarnataro»

Tommaso Nelli

«Niente trova riscontro nel suo racconto. A cominciare dalla collocazione temporale»

Una macedonia andata a male. Tra le portate avariate del caso di Emanuela Orlandi c’è anche la cosiddetta “pista Sarnataro”, rilanciata tra l’incredulità generale in questi giorni dall’edizione romana del quotidiano “la Repubblica” e basata sulle dichiarazioni di tal Salvatore Sarnataro. Come anticipato, una notizia tutt’altro che inedita, perché queste informazioni uscirono sui media già nel 2015, quando l’inchiesta giudiziaria sulla scomparsa della giovane cittadina vaticana si concluse con una mesta, quanto purtroppo inevitabile, archiviazione. E le parole di quel pregiudicato, nonché ex proprietario di un banco di frutta nella più che popolare zona Marconi (vicina alla Magliana), contengono errori e contraddizioni che offrono una ricostruzione dei fatti inverosimile e buona soltanto a confondere ancor di più le acque sulla sorte della brava flautista. Ve ne avevamo già parlato durante la nostra diretta YouTube “Banda della Magliana ed Emanuela Orlandi: grande bluff o verità negata?” dello scorso 8 aprile, e chi scrive la aveva dettagliata nel suo libro sul caso Orlandi, Atto di Dolore. Ma l’attualità ci “impone” di occuparcene un’altra volta.

«EBBERO DA DE PEDIS L’ORDINE DI PRELEVARLA» 

E allora andiamo. Ai magistrati romani, in quattro incontri tra il 24 settembre 2008 e il 1° dicembre 2009, Salvatore Sarnataro raccontò che il figlio Marco, deceduto prematuramente nel 2007, durante un periodo di comune reclusione a Regina Coeli gli avrebbe confessato di aver partecipato al sequestro di Emanuela Orlandi assieme ad altri due criminali dell’orbita Magliana, tali “Ciletto” e “Gigetto”, per poi consegnarla a un sodale di Enrico De Pedis, organizzatore del misfatto. “Mi disse che per diversi giorni sia lui che ‘Ciletto’ e ‘Giggetto’ pedinarono per le vie di Roma Emanuela Orlandi su ordine di ‘Renato’ De Pedis, da loro chiamato “Il Presidente”. […] Ebbero da De Pedis l’ordine di prelevarla. Marco mi disse che l’avevano fatta salire su una BMW berlina a p.zza Risorgimento a una fermata dell’autobus. La ragazza salì sulla macchina senza problemi e senza alcun tipo di violenza. […] Quindi la condussero al laghetto dell’EUR dove li stava aspettando “Sergio” che era l’autista e l’uomo di fiducia di De Pedis. […] Venni a sapere poi che mio figlio per questa cortesia ebbe in regalo una moto ‘Suzuki 1100’. Non ricordo se Marco mi disse che gliela aveva data Raffaele Pernasetti oppure un’altra persona. Marco mi disse più volte che la ragazza era consenziente e non mi riferì alcun particolare su suoi comportamenti anomali durante il tragitto, ovvero da piazza Risorgimento al laghetto”.

Periodi di detenzione comune di Salvatore e Marco Sarnataro

Era il 1°ottobre 2008 e fu la sua prima effettiva dichiarazione, dato che nella precedente aveva detto di voler valutare se fosse o meno il caso di parlare. E a conti fatti sarebbe stato meglio di no. Perché niente trova riscontro nel suo racconto. A cominciare dalla collocazione temporale della “rivelazione”. Secondo Sarnataro sarebbe giunta “poco tempo dopo il sequestro (Orlandi, ndg)”. La ragazza sparì il 22 giugno 1983, lui e il figlio furono carcerati assieme dal 3 all’8 maggio 1984 e quindi ci sarebbero i presupposti per un’attendibilità. Sennonché poco dopo specificò che “queste confidenze mi vennero fatte durante un periodo di detenzione comune, ma in epoca poco precedente a quando io e Marco fummo arrestati per armi e droga”. Ma i due, per quei reati, si ritrovarono in galera proprio e soltanto nel 1984. E prima di quella data mai erano stati in prigione assieme. La sua inattendibilità cronologica fu confermata anche nella successiva deposizione del 4 dicembre 2008, quando spostò la “confessione” addirittura al 1987, anno in cui i due furono arrestati solo per spaccio di stupefacenti, e parlò anche delle sue precarie condizioni di salute, che lo vedevano seguire una massiccia terapia farmacologica.

Insieme alle tempistiche è immangiabile anche la polpa dei racconti di Sarnataro. Ignorò il movente di quel gesto – “Io non so effettivamente il motivo preciso del perché Marco mi ha voluto raccontare del suo ruolo nel sequestro di Emanuela Orlandi” – e fece confusione anche su altri particolari. Suo figlio mai ebbe un “Suzuki 1100”, nell’estate 1984 in dotazione a De Pedis che quindi non glielo avrebbe mai potuto regalare indipendentemente che il tramite fosse o meno il “fedelissimo” Pernasetti, bensì una “Yamaha 1100”, a bordo della quale fu arrestato nel 1987, a viale Marconi, per resistenza aggravata a pubblico ufficiale.

«UN’AFFERMAZIONE INVEROSIMILE, CHE APRE AD ALTRE CONTRADDIZIONI» 

L’applicazione della logica ad alcuni fatti acclarati della vicenda Orlandi spalanca poi enormi falle nella ricostruzione di Sarnataro. In primis, il luogo della scomparsa. Di Emanuela si persero le tracce su corso Rinascimento, alla fermata dell’autobus di fronte al Senato. E non a piazza Risorgimento, distante oltre un chilometro e a due passi dalle Mura Vaticane. Dove lei, se mai lo avesse fatto, avrebbe avuto due possibilità per arrivarvi. La più breve: a piedi per via Vitelleschi o via Crescenzio. Ma così facendo, uscita da scuola di musica sarebbe transitata davanti al “Palazzaccio”, dove era attesa dagli amici del quartiere che però non la videro mai arrivare. L’ipotesi è dunque da scartare. Rimarrebbe l’altra. Percorrere tutto corso Rinascimento fino a corso Vittorio Emanuele II, prendere l’autobus 64, scendere all’allora capolinea di piazza della Città Leonina e da lì raggiungere la vicina piazza Risorgimento, passando tra l’altro davanti all’ingresso vaticano di Porta S. Anna. Sennonché una sua compagna della scuola di musica, Laura Casagrande, quella sera salì sul 64 proprio a corso Vittorio Emanuele. Ma ai Carabinieri di Roma, il 4 agosto 1983, disse come “Arrivata quasi alla fine di Corso Rinascimento mi sono di nuovo girata vedendo solo gli amici, mentre Emanuela non vi era più”.

Spostare quindi la sua sparizione a piazza Risorgimento, è un’ottima idea per una fiction televisiva sul suo dramma, nel quale si può liberare la fantasia al punto da farla salire sulla vettura di un criminale “senza problemi e senza alcun tipo di violenza”. Un’affermazione inverosimile che apre ad altre contraddizioni e che lede pure l’immagine di Emanuela quale “brava ragazza”. Perché implicherebbe una sua conoscenza pregressa di Sarnataro e compari, che indurrebbe a chiedersi: “quando” e “dove” cominciò? Si dovrebbe dunque ipotizzare che Orlandi frequentasse ambienti governati da valori agli antipodi rispetto a quelli spensierati e ingenui dei suoi? Altrimenti lei, diffidente verso gli estranei, mai sarebbe montata su una macchina con tre habitué della delinquenza. Ma così non era. Perché nulla aveva da spartire con certa gente. E poi: se fosse salita di sua spontanea volontà su quella berlina, che bisogno ci sarebbe stato di pedinarla “per le vie di Roma”? Si pedina qualcuno di cui non si conoscono abitudini e orari per capire quale sia il momento giusto per colpirlo. A volte a morte, come facevano le Brigate Rosse e la mafia. Oppure per sequestrarlo, come era nel dna dell’Anonima o della banda di “Lallo lo Zoppo”. Ma non si pedina una persona che poi accetta di seguirci in maniera “consenziente”. Tra l’altro, se davvero fosse successo questo, l’incontro tra Emanuela e Sarnataro sarebbe potuto avvenire direttamente fuori la scuola di musica, su corso Rinascimento, visto che a quell’ora, 19-19:30, l’affollamento di auto e di persone è il medesimo di piazza Risorgimento.

Marco Sarnataro

Esaurita la disamina del contenuto, viene da chiedersi “come” gli inquirenti fossero arrivati a Marco Sarnataro. E qui inizia un capitolo di incongruenze contaminato da un pesante errore investigativo. Tutto nacque dalla deposizione di un amico di Emanuela, Angelo Rotatori, che il 9 settembre 2008, in una foto di un album della Squadra Mobile di Roma, lo aveva riconosciuto come colui che il 16 giugno 1983 aveva seguito lui, Emanuela e altri amici mentre da Porta S. Anna erano andati a una sala giochi del vicino viale Giulio Cesare. “Poteva avere circa 22-23 anni, portava i capelli corti ed era vestito con dei jeans e una camicia molto chiari. […] Lo riconosco nella foto nr. 8”.

Carabinieri di Roma. Verbale di sommarie informazioni testimoniali di Gabriella Giordani, 14 luglio 1983

Ascoltato nuovamente il 19 novembre dello stesso anno, Rotatori aggiunse altri particolari su quell’individuo: “Alto circa 1,73-74, capelli corti scuri, con barba incolta di un paio di giorni senza occhiali né baffi; però indossava delle scarpe da ginnastica bianche con delle striscette ai lati che non avevo mai visto prima di allora”. Ma c’è di più. Sempre indicando le foto, affermò che era Sarnataro anche il giovane uomo che in via dei Corridori (zona Vaticano), a bordo della sua auto, strattonò per un braccio Emanuela due o tre giorni prima della sua scomparsa: “Ricordo che ad un tratto una macchina si accostò a Emanuela e la persona seduta vicino al conducente la prese per un braccio ed esclamò “Eccola”. Emanuela ovviamente si divincolò dalla presa e rimase molto impaurita. […] In via dei Corridori eravamo io, Emanuela, Paola e Gabriella Giordani, Andrea Bevilacqua, Cristina Franzè e altre persone che non ricordo”. È normale però che Angelo non le ricordasse. Perché lui quel giorno non c’era. Lo appresi quando lo intervistai il 25 luglio 2011 – Io: “Ho letto in merito all’episodio di Emanuela che fu avvicinata qualche giorno prima dalla macchina con le amiche… lei c’era?”. Angelo Rotatori: “No, io non c’ero, me lo hanno raccontato” – ma soprattutto questa informazione si ricava dal verbale di una delle persone sì presenti all’episodio: Gabriella Giordani, una delle amiche del cuore di Emanuela. Una delle pochissime a esserlo ancora dopo quasi quarant’anni. Il 14 luglio 1983, al Reparto Operativo dei Carabinieri di Roma, raccontò: “Quel giorno verso le ore 7:15 io, mia sorella Paola, Emanuela e la sorella Cristina e Franzè Cristina siamo andate a Ostia a prendere il sole”. Come si vede, non c’erano né Rotatori e né altri da lui menzionati. Ci si chiede quindi come a chi possiede gli atti sia sfuggito questo particolare, che ha pesato nello sviluppo delle indagini. Individuarlo, avrebbe permesso di liquidare il “sentiero Sarnataro” e dedicare tempo ed energie all’esplorazione di altri versanti investigativi. Ma ritorniamo a Gabriella: “Al rientro verso le 14:30, in via dei Corridori, si è accostata una autovettura con alla guida due giovani. Quello posto al fianco del guidatore rivolgendosi al compagno ha detto ‘Eccola’, poi si sono avvicinati al marciapiede con l’auto e lo stesso giovane ha tirato fuori il braccio al che Emanuela si è allontanata. I due poi si sono allontanati. Escludo che Emanuela li conoscesse”.

Era il 19 o il 20 giugno ed è quindi inimmaginabile, se chi la strattonò fosse stato Marco Sarnataro, che Emanuela Orlandi tre giorni dopo sarebbe salita di sua spontanea volontà sulla sua auto. Ma non solo. La descrizione della Giordani di quel guappo – capelli biondi o castano chiaro, corti e ondulati, non aveva baffi o barba – collide con quella dello stesso Sarnataro, scuro sia di carnagione che di capigliatura. Tanto che nel 2008 a lei sembrò di riconoscervi Sergio Virtù, altro uomo vicino a De Pedis, indagato e poi prosciolto nell’inchiesta Orlandi, chiaro in viso, negli occhi e nei capelli. Ma l’attendibilità di questi riconoscimenti è del tutto relativa. Intanto del tipo dell’auto non fu mai fatto un identikit, per cui l’individuazione avvenne su ricordi della memoria vecchi di venticinque anni. E poi ai testimoni furono mostrate soltanto foto di soggetti aderenti od orbitanti la “Banda della Magliana”. Se, esempio, avessero visto un album di scassinatori di caveau, è probabile che avrebbero indicato altre persone, prefigurando così Emanuela Orlandi vittima di qualche “cassettaro”.

Carabinieri di Roma. Verbale di sommarie informazioni testimoniali di Angelo Rotatori, 15 luglio 1983.

Il 19 novembre 2008 anche Paola Giordani indicò Sarnataro come l’uomo della vettura, contraddicendosi però con il 1983, quando assistette al verbale della sorella e confermò “in tutte le sue parti quanto esposto”. Non fu la sola a rilasciare testimonianze di altro tenore a distanza di un quarto di secolo. Il 15 luglio 1983 anche Rotatori aveva descritto diversamente il soggetto che li seguì alla sala giochi: “Età apparente 18-19 anni, altezza 1,75 circa, corporatura snella, capelli castano chiari (in precedenza aveva detto ‘biondi’, ndg), corti, lisci e ben curati, indossava una camicia mezze maniche verde a righe, un maglione sulle spalle verde scuro, jeans azzurri e scarpe gialle con righe bianche”. A eccezione per l’altezza e le scarpe con le striscette, è tutt’altro profilo rispetto a quello del 2008 e per niente corrispondente a Marco Sarnataro.

Identikit di una persona inerente alla scomparsa di Emanuela Orlandi

Discrepanze del tutto normali. Perché il tempo sfuma, offusca e altera, se non a volte addirittura cancella, i ricordi. E venticinque anni sono un’enormità per episodi vissuti oltretutto da adolescenti, che risentono anche dell’influenza di quanto è stato scritto e detto, specialmente in tv, su questa vicenda. Che oggi registra un altro mal di pancia. Perché della cosiddetta “pista Sarnataro”, una “Magliana in tono minore” dopo Sabrina Minardi, Torvajanica e la tomba in S. Apollinare, non rimangono che semi e bucce. E ci si domanda a chi giovi, nel mezzo di una torrida estate, l’ennesima intossicazione per una ricerca della verità già di per sé enormemente difficoltosa nel reperire i giusti ingredienti.