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Il mondo va verso una nuova epoca glaciale? Il nostro clima che cambia (1979)

Redazione Spazio70

di Fabio Galvano (Stampa Sera, 19 febbraio 1979)

«Il mondo sta andando verso un’altra epoca glaciale o è invece destinato a “scaldarsi” sempre più, fino allo scioglimento delle calotte polari? I rigidi inverni che si sono avuti di recente nell’emisfero settentrionale, la siccità del ’76, quella a ondate intermittenti nel Sahel, le inondazioni del ’78 in India sono fenomeni circoscritti o si inquadrano in un’evoluzione ancora indecifrata? E qual è l’effetto delle attività umane sul normale susseguirsi delle stagioni? L’apprensione cresce: si comincia a rendersi conto che un’irregolare evoluzione del clima colpirà inevitabilmente la produzione di generi alimentari, e che le misure che potremmo essere costretti ad adottare per evitare il peggio (una riduzione dei consumi di combustibili fossili, per esempio) potrebbero modificare sostanzialmente il modello di società che oggi noi conosciamo. Forse qualche risposta a tanti inquietanti interrogativi verrà dalla Conferenza mondiale del clima, organizzata dalla Wmo (l’Organizzazione meteorologica mondiale), che ha iniziato i lavori lunedì a Ginevra e si concluderà fra due settimane. Alla conferenza prendono parte quattrocento fra i maggiori scienziati che operano nel campo della climatologia, e il tema di fondo sarà come l’uomo possa adattarsi al mondo che cambia.”La vulnerabilità della società umana da parte degli eventi climatici non è scomparsa con lo sviluppo tecnologico”, ha ricordato il professor Robert White, dell’Accademia americana delle Scienze, presidente della conferenza.

IL PIANETA DI STA SCALDANDO

Gli scienziati sono divisi nella loro analisi. Alcuni ritengono che il clima relativamente mite registrato nel mondo fra il 1910 e il 1960 sia un’anomalia, e che ora la Terra sia lentamente avviata verso una nuova era glaciale. Questo significherebbe che il recente miglioramento della produzione agricola è dovuto a particolari condizioni atmosferiche e non solo a una migliore tecnologia; e spiegherebbe l’esplosione demografica di quel periodo.

Ma la maggior parte degli scienziati ritiene che il nostro pianeta si stia scaldando, e additano nell’uomo, non negli eventi naturali, il maggiore responsabile. I primi allarmi in questa direzione sono partiti dal Polo Nord. Da una ventina d’anni è comparsa sull’Artico una nebbia sempre più intensa, carica di acido solforico e solfato d’ammonio: il prodotto dell’inquinamento nei grandi centri industriali europei e americani che i venti d’inverno e di primavera portano al Nord.

Questa nebbia produce il cosiddetto “effetto serra”: il calore solare rimane imprigionato sopra la banchisa, la temperatura si alza, il ghiaccio si scioglie. A lungo andare il livello dei mari salirebbe, con gravi ripercussioni su tutto il pianeta. Ma non è solo nell’Artico che l'”effetto serra” è stato osservato. Tutto il mondo, ormai, è una serra, per effetto dell’anidride carbonica sprigionata dalla combustione delle fonti energetiche di origine fossile. Attualmente la nostra atmosfera non contiene che lo 0,3 per cento di C02. Questo rappresenta un aumento di circa il 20 per cento nell’ultimo secolo, e secondo l’ecologo americano Kenneth Hare il contenuto di anidride carbonica progredisce ogni anno del 3 per cento, circa 5 miliardi di tonnellate. Entro il 2050 la percentuale di anidride carbonica nell’aria sarà raddoppiata, asserisce un altro studioso, Stephen Schneider del centro ricerche di Boulcter in Colorado, e la temperatura aumenterà di 2 o 3 gradi alla latitudini temperate.

“Entro l’anno 2100 — afferma William Kellog, uno dei maggiori meteorologi americani —il tasso di C02 sarà nuovamente raddoppiato, e la temperatura sarà di 6 gradi superiore a quella attuale”. Ma non è tutto. Il surriscaldamento della Terra, si calcola, sarà fra tre e cinque volte più alto ai poli, qualcosa insomma fra 20 e 30 gradi ; se si tiene conto che per ogni 5 gradi di aumento il livello del mare si solleva di un metro, è facile supporre una “marea” variante fra i quattro e i sei metri, abbastanza per sommergere buona parte della Florida, dei Paesi Bassi, tutte le fasce costiere, i porti, mentre sulla terraferma l’aumento della temperatura trasformerà in deserto alcune delle zone che oggi vengono considerate fra le più fertili. Un’altra grave minaccia potrebbe venire dall’Antartide: l’aumento della temperatura causerebbe abbondanti nevicate che, appesantendo la calotta ghiacciata, potrebbero farla scivolare in mare: questo fenomeno, indipendentemente dallo scioglimento dei ghiacci, farebbe alzare di 5 metri il livello dei mari. Appare evidente, se i calcoli degli scienziati non sono imputabili a un loro eccessivo pessimismo, che l’uomo ha alterato il grande disegno della natura. Fino al secolo scorso ogni variazione climatica, come il freddo che colpì l’Europa occidentale fra il 1500 e il 1850 era dovuto a cause naturali; oggi non più.

«SE LA DEFORESTAZIONE CONTINUERÀ BRASILE AVRÀ UN ALTRO SAHARA»

Esiste una via di salvezza? Per ora solo quella offerta dalla natura, ma anche qui l’uomo cerca di mettere lo zampino. Si calcola che il tasso di anidride carbonica nell’aria dovrebbe essere il doppio di quello attuale se i cinque miliardi di tonnellate sprigionati ogni anno non venissero parzialmente distrutti. Il grande toccasana è rappresentato dalle foreste tropicali, che da sole assorbono il 42 per cento dell’anidride carbonica e la trasformano in ossigeno, e dagli oceani, grazie al delicato meccanismo di ricambio fra gli strati superficiali e quelli più profondi.

Ma l’uomo distrugge le foreste: quella dell’Amazzonia, da sempre considerata il “polmone” del mondo, arretra di fronte all’invasione dell’uomo. “Se la deforestazione continuerà — afferma l’ecologo americano Harry Knowles —il Brasile avrà un altro Sahara”. E per quanto riguarda gli oceani, la loro capacità d’assorbimento è grandemente ridotta dalla pellicola di idrocarburi che copre ormai vaste zone. Un altro elemento che può contribuire al temuto “effetto serra” è il polviscolo terrestre, che si spande nell’atmosfera a un ritmo di 690 milioni di tonnellate l’anno. Ma qui gli scienziati sono divisi. Alcuni, come l’americano Reid Bryson, sostengono che questo schermo, impedendo ai raggi solari di filtrare, di fatto abbassa la temperatura. A supporto della loro tesi ricordano che dopo le grandi eruzioni vulcaniche che scagliarono nell’atmosfera oltre 100 milioni di tonnellate di pulviscolo (Krakatoa nel 1883, Bezimiannij nel 1956, Agung nel 1963) ci furono rigidi inverni. Ma i più sono convinti che anche il pulviscolo, se non è in concentrazione altissima, contribuisce alla “serra”; la prova verrebbe dal fatto che nelle grandi città la temperatura è sempre di qualche grado superiore alle campagne circostanti. E c’è una terza minaccia: il clorofluorometano, o freon, il gas delle bombolette spray. L’allarme è venuto cinque anni fa dagli Stati Uniti: il freon distrugge l’ozono degli strati superiori dell’atmosfera, che filtra i raggi ultravioletti.

Al ritmo attuale, entro vent’anni la fascia di ozono sarà ridotta del 5%. Che cosa fa l’uomo? Poco, per ora.

I sovietici, ha riferito alla conferenza il climatologo Federov, intendono costruire montagne artificiali per cambiare lo schema dei venti in determinate regioni, e dighe marittime in grado di modificare le correnti “per stabilizzare l’attuale schema climatico più che per alterarlo”. È un rimedio “locale”, che comunque potrebbe causare, come la deforestazione amazzonica, imprevisti contraccolpi. Il freon è stato bandito negli Stati Uniti. Ma l’anidride carbonica, la nostra maggiore minaccia? Occorrerebbe ridurre i consumi di combustibili fossili, e qui la nostra civiltà industriale è totalmente sorda».