logo Spazio70

Benvenuto sul nuovo sito di Spazio 70

Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
Buona lettura e non dimenticare di iscriverti sulla «newsletter» posta alla base del sito. Lasciando un tuo recapito mail avrai la possibilità di essere costantemente informato sulle novità di questo sito e i progetti editoriali di Spazio 70.

Buona Navigazione!

Caso Orlandi: se web, Telecom e inquirenti aumentano il mistero su quel numero di telefono nel diario di Emanuela

Tommaso Nelli

Davanti all'impressionante sequenza di «singolarità» che caratterizzano la vicenda, sarebbe lecito aspettarsi reazioni di sdegno e soprattutto fatti. Invece nessuno dice e fa nulla. Nessuno si attiva per scrivere due righe a chi di dovere per verificare chi si celasse dietro quella «Federica» presente nel diario della cittadina vaticana scomparsa a Roma il 22 giugno 1983

«Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito». Questo antico proverbio cinese è ritornato senza volerlo di attualità dopo alcune reazioni al nostro articolo relativo a un particolare trascurato dell’enigma di Emanuela Orlandi: la presenza, tra i contatti del suo diario, di un numero di telefono (345 52 88) dall’intestatario ancora oggi ignoto al pari del nome al quale era associato, «Federica». Una notizia accolta sul web con discorsi tipo che «Federica» era la sorella di Emanuela Orlandi e quell’utenza apparteneva alla redazione dove lavorava come giornalista. Oppure che «Federica»  non era altro che «Federico», un amico di Emanuela o qualcuno per il quale lei nutriva una simpatia.

Premesso che queste ipotesi apparivano argillose già di per sé, perché prive di elementi oggettivi a sostegno e perché fondate su supposizioni del tutto arbitrarie che con accuratezza avevano oscurato il focus del nostro lavoro, decidevamo comunque di approfondirle. Per due motivi. Non commettere errori di presunzione, visto che non abbiamo ancora fra le mani l’identità di «Federica» e l’intestatario di quel recapito è doveroso non dare niente per scontato, e sfrondare l’albero della verità di altri rami secchi una volta dimostrata l’inconsistenza di quelle tesi. Come è avvenuto.

CHI ERA «FEDERICA»? DI CERTO NON LA SORELLA DI EMANUELA

Squadra Mobile di Roma – Accertamenti utenza «Videotime», 25 luglio 1983

Partiamo da «Federica» sorella di Emanuela Orlandi e 345 52 88 il telefono della redazione giornalistica dove lavorava. Un’alchimia nata dall’esistenza di una sorella di Emanuela che si chiama Federica, dal fatto che quell’utenza era poi finita all’emittente televisiva «Telepace» che, siccome aveva aperto la sede di Roma nel 1990, allora doveva averla ereditata da una sua concorrente. Quale? Non veniva detto. Come nella miglior tradizione del libero accostamento di informazioni. Ma tanto bastava per gettare discredito sul nostro lavoro e generare confusione nel pubblico riguardo a una vicenda che, tra le sue pochissime certezze, annovera il caos.

Sennonché questa boutade mostrava fin da subito la sua essenza. Perché non teneva conto di informazioni basiche e lapalissiane. Ovvero che il Reparto Operativo dei Carabinieri di Roma ascoltò Federica Orlandi almeno tre volte nei tre mesi successivi alla sparizione della sorella, chiedendole anche quale fosse la sua occupazione (ma lei all’epoca studiava). Quindi non avrebbe avuto problemi ad accertare un suo eventuale impiego nel mondo del giornalismo. Ma soprattutto non avrebbe avuto difficoltà a risalire all’eventuale emittente grazie a un altro fatto, che ha origine nel diario di Emanuela Orlandi del secondo anno di liceo. Al 16 febbraio 1983 era scritto un numero di telefono: 8173969. Ma senza intestatario. La Squadra Mobile volle giustamente vederci chiaro. E in un amen scoprì che dal 1°febbraio al 30 aprile 1983 appartenne agli uffici di «Videotime», all’epoca situati a via delle Vigne Nuove (quartiere Talenti), da dove andava in onda il programma tv «Il pranzo è servito», trasmesso da Canale 5. Da ciò ne consegue che se anche l’utenza di «Federica» fosse stata di un soggetto dell’etere romano, lo avrebbero appurato in un battibaleno.

Pagine gialle, Roma, 1983

Così però non era. E non lo affermiamo solo per semplice deduzione, quanto anche per empirica conclusione. Chi scrive, ha consultato le «Pagine Gialle» di Roma del 1983 senza rinvenire alla voce «Radiotelevisione Esercizio» il 345 52 88, assente anche dai numeri di «Scelta TV», rivista dell’epoca dedicata alle emittenti radio-tv del Lazio, che pubblicava il palinsesto settimanale di ognuna di esse insieme a quello dei canali nazionali, fornendone anche i recapiti telefonici. Per cui: «Federica» e il 345 52 88 non avevano niente a che fare con Federica Orlandi (alla quale qualcuno ora dovrebbe chiedere «scusa» per le illazioni sul suo conto) e con il mondo dei media. Un’eventualità che tra l’altro non tiene conto anche di un altro dato di fatto. Sul diario di Emanuela non erano presenti né il telefono del lavoro del padre, commesso presso la Prefettura della Casa Pontificia, e né quello di un’altra sorella, Natalina, impiegata alla Camera dei deputati. Quindi, tralasciando per un attimo il fatto che non avesse un’occupazione, non si capisce in base a quale logica avrebbe dovuto esserci soltanto quello di Federica.

PERCHÉ «FEDERICA» E NON «FEDERICO»

Caso Orlandi. Una pagina del diario di Emanuela, anno scolastico 1981/82

Diario Emanuela Orlandi, anno scolastico 1981/82

Andiamo avanti. «Federica» era «Federico» perché l’ultima lettera non è una «a» bensì una «o» seguita dal trattino «–»  che la separa dal numero di telefono. Altra bolla di sapone. Perché, come visibile dalla pagina del diario, Emanuela Orlandi non separava i nomi dai numeri col trattino. Indipendentemente che i secondi fossero o meno vicini ai primi. Tutt’al più frapponeva il prefisso “tel”, come per le amiche Caterina, Francesca, Paola e Gabriella e l’amico Luca, oppure la parentesi tonda. Non ci sono poi, per le informazioni in nostro possesso, ragazzi di nome «Federico» all’interno dei suoi universi sociali. E adombrarne l’esistenza, ipotizzando anche che fosse qualcuno che le poteva piacere, ma senza lo straccio di una prova, equivale a darla in pasto a pettegolezzi da angolo di quartiere. Non proprio il massimo del rispetto, ecco.

Come scritto, risulta invece dalla lettura dei verbali di indagine l’esistenza di una «Federica» quale studentessa della scuola di musica frequentata da Emanuela Orlandi. Di lei però si ignora il cognome. Lo conosciamo invece dell’unica «Federica» rinvenuta sui programmi dei saggi dell’istituto a nostra disposizione, ma questa non conosceva Emanuela. E non dimentichiamo poi che fra i contatti sul diario di Emanuela c’era un nome maschile (Umberto) con un cognome di fantasia (Balsamo). Gli inquirenti appurarono che era un suo compagno della classe di flauto. Quindi avrebbero individuato senza problemi la «Federica» del diario, se fosse stata un’allieva della «T. L. Da Victoria» o se fosse stato un nome inventato per scherzo (Emanuela era una gran raccontatrice di barzellette, come mi disse una sua compagna di classe del primo anno di liceo). Invece non l’hanno fatto. Anzi, hanno fatto peggio. Perché sbagliarono la lettura della penultima cifra di quel numero, convocando una persona che non c’entrava nulla e però fermandosi lì, lasciando l’interrogativo aperto fino ai giorni nostri.

IL QUESITO RESTA: A CHI APPARTENEVA NEL 1983 QUEL NUMERO FINITO POI A «TELEPACE»?

Esaurita la disamina di strampalerie buone per il Nanni Moretti di «Sogni d’oro» – «Io non parlo di cose che non conosco» – ci soffermiamo sugli effetti della loro comparsa: aver aumentato il mistero su quel numero di telefono e non aver capito il nostro articolo. Dove la notizia non è la forma quanto la sostanza. A noi non interessa tanto trovare «Federica», anche perché come visto è pressoché inesistente, quanto sapere a chi apparteneva nel 1983 quel 345 52 88 finito poi a «Telepace» non appena si insediò a Roma a inizio anni Novanta. Intanto perché proprio individuando l’intestatario si capirà chi fosse «Federica». E poi perché troppe «coincidenze» richiamano l’attenzione su quel numero di telefono. Ricapitolandole:

  1. Nel 1983 un’adolescente vaticana scompare improvvisamente nel nulla senza lasciare tracce e da allora nulla si è più saputo di lei;

  2. Pochi anni dopo la sua sparizione, un numero di telefono del suo diario diventa l’utenza di una tv cattolica cara al Papa, Giovanni Paolo II;

  3. Quel numero di telefono è associato a un nome estraneo agli universi sociali di quell’adolescente ed è l’unico privo di cognome ;

  4. Accanto a quel nome fu apposta una scritta tra parentesi: «(Indovina chi è;

  5. Quel numero di telefono è l’unico, dei trentanove nomi complessivamente presenti nei diari liceali di quell’adolescente, a non essere stato definito dagli inquirenti, sul quale oltretutto hanno commesso un errore marchiano.

UN LUNGO, «CURIALE», SILENZIO

Davanti a una così impressionante sequenza di «singolarità», ci aspetteremmo reazioni di sdegno a parole e, soprattutto, nei fatti. Invece nessuno dice e fa nulla. Nessuno si scandalizza. Nessuno si attiva per scrivere due righe a chi di dovere affinché scopra chi si celasse dietro quel recapito. Nessuno coglie quest’occasione per sciogliere i dubbi e capire se questo spunto possa condurre verso la verità oppure restringere il campo delle ricerche, eliminando un altro dubbio. No, niente di niente. Soltanto un lungo, curiale silenzio, come se fosse la normalità, interrotto giusto dai tentativi di minimizzare queste informazioni con discorsi da comari di paese o con perizie grafiche all’amatriciana.

A questo punto, tre i casi. O si è ignoranti, o si è superficiali (e gli ignoranti spesso sono dei gran superficiali), oppure si fa come gli struzzi e si mette la testa sotto la sabbia. Per rifiutarsi di vedere o di sentire. Per esempio, la porta sbattuta in faccia da «Telecom» quando abbiamo chiesto, in forma ufficiale, approfondimenti su quel numero. Peccato sia la stessa «Telecom» che non ebbe la minima esitazione a fornire i titolari di altre utenze quando le furono chieste dalle autorità competenti. Come la Procura di Roma. Accadde nel 2005, per svelare l’autore del messaggio alla redazione del programma tv «Chi l’ha visto?» secondo il quale, per cercare la verità su Emanuela Orlandi, si doveva andare a vedere chi fosse sepolto nella basilica di S. Apollinare. O dopo il novembre 2002, per approfondire l’esposto di una fotoreporter che sosteneva come Emanuela Orlandi non fosse altro che la moglie del fratello. Una congettura rivelatasi del tutto priva di fondamento.

Ma l’anomalia non è tanto il trattamento impari che ci ha riservato «Telecom», dopotutto il peso specifico di un organo inquirente è maggiore di quello di un giornalista, quanto il comportamento degli investigatori. Perché hanno dedicato tempo ed energie agli indizi più disparati e inverosimili di questa storia, ma non sono mai andati a fondo su questo che, a differenza di molti altri, è concreto ed è strettamente connesso con la vittima visto che proviene dal suo diario scolastico? Soprattutto dal 1997 in avanti, all’indomani dell’archiviazione della prima inchiesta giudiziaria, quando si potevano colmare le lacune del lavoro svolto fino a quel momento. Perché «Federica» e quel 345 52 88 sono una falla nell’economia dell’indagine sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. E continuare a ignorarla o sminuirla, a sei anni dalla seconda archiviazione e a quasi quaranta dal suo accadimento, non fa che allargarla sempre di più e legittimare qualsiasi interrogativo sul suo conto. Anche il più estremo.