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Morire per una discussione al bar. L’assurda strage di via Adige

Redazione Spazio70

Nel 1982 finiscono in manette alcuni militanti di estrema sinistra. Uno di loro, Mario Ferrandi, darà un contributo alla riapertura delle indagini

Milano, 1° dicembre 1978. Ore 3:45. In un appartamento al civico 4 di via Adige, la signora Marianna apre la finestra della sua camera da letto dopo aver udito degli spari. Tre uomini giacciono in una pozza di sangue sull’asfalto. La donna in lacrime riconosce uno dei feriti: è il signor Piero Antonio, suo marito. La signora si precipita in strada in preda al panico, il padre dei suoi figli è ancora vivo ma nonostante l’arrivo dei soccorsi morirà poco dopo al Policlinico, come gli altri due.

Domenico Bornazzini (Fonte)

Le vittime hanno torace e addome bucati da pallettoni per la caccia al cinghiale e proiettili calibro 38 special. Il triplice omicidio lascerebbe pensare ad un regolamento di conti, del resto, in una Milano «di piombo» segnata dai fuochi della mala e dal dilagare dell’estremismo politico, una sparatoria in strada non è certo un evento insolito.

Ciò che invece lascia perplessi gli inquirenti è l’estraneità delle vittime con gli ambienti criminali: Piero Antonio Magri, 39 anni, negoziante presso una tappezzeria. Domenico Bornazzini, 30 anni, detective privato. Carlo Lombardi, 35 anni, macellaio. Tre padri di famiglia che non hanno alcun legame con la malavita né tanto meno con la violenza politica. E allora chi li ha uccisi? La risposta è tanto assurda quanto spaventosa.

«NEI QUARTIERI PROLETARI L’AUTORITÀ DEI COMUNISTI RIVOLUZIONARI NON DOVREBBE ESSERE MESSA IN DISCUSSIONE»

Per ricomporre le tessere di questo folle mosaico bisogna andare a ritroso nel tempo di alcune ore.

I tre uomini si trovano in un bar di Porta Romana. Nel locale c’è agitazione poiché chiacchierando tra sconosciuti è sorto casualmente un dibattito politico. Due giovani, visibilmente ubriachi, sembrano particolarmente irritati dalle opinioni esternate dai tre, ed affermano che «nei quartieri proletari l’autorità dei comunisti rivoluzionari non dovrebbe essere messa in discussione».

Dopo alcuni tentativi di imporsi con veemenza nella discussione iniziano a volare parole grosse, minacce e insulti. I due ragazzi vengono allontanati dal gestore del locale che li mette alla porta per via del loro comportamento molesto.

I giovani sono estremisti di sinistra: Maurizio Baldasseroni e Oscar Tagliaferri, vicini all’organizzazione terroristica Prima Linea. Dopo qualche ora i due tornano armati di fucile a pompa Smith & Wesson ed un Revolver Astra ma il bar è ormai chiuso. Gli estremisti armati non si arrendono e dopo aver fatto il giro dell’isolato trovano i tre uomini in un’auto sotto l’abitazione di Magri. Ha inizio una vera e propria strage.

Per gli inquirenti si tratta di un caso particolarmente difficile, non solo per l’assenza di testimoni ma anche perché manca un elemento fondamentale: il movente. Per quale motivo qualcuno avrebbe dovuto volere la morte di quelle tre persone? Le indagini si concentrano per un po’ di tempo negli ambienti malavitosi per poi finire archiviate.

«SONO STATI BALDASSERONI E TAGLIAFERRI»

Nel 1982 finiscono in manette alcuni militanti di estrema sinistra. Uno di loro, Mario Ferrandi, rivela quanto segue ai carabinieri:

Maurizio Baldasseroni

«Il giorno successivo al fatto appresi da Sandro Buni, responsabile della squadra di Prima Linea che il Tagliaferri e Baldasseroni erano gli autori materiali e che abbisognavano di aiuto (…). La sera del primo dicembre 1978 Tagliaferri e Baldasseroni trascorrono qualche ora in una birreria di corso Sempione. Sono in compagnia di Maria Grazia Barbierato e Loredana Ballan. Sul tardi accompagnano a casa le due ragazze e successivamente si fermano nel bar Renzo di via Mantova per consumare ancora qualche cosa. Nasce una discussione che si trasforma in lite. Baldasseroni e Tagliaferri sono invitati ad allontanarsi dal locale. Escono, tornano nel loro appartamento, raccolgono il fucile a pompa e il revolver, tornano sul posto».

Nel frattempo gli assassini sono già scappati in Perù. Negli anni ’80 i giornali parlano del coinvolgimento dei due terroristi nel mondo del narcotraffico e successivamente viene diffusa la falsa notizia (poi smentita) di un loro arresto assieme a Giovanni Ventura. Nel 2013 alcuni parenti di Baldasseroni chiedono la dichiarazione di morte presunta, incontrando però l’opposizione della figlia di una delle vittime. Attualmente Baldasseroni e Tagliaferri sono ancora latitanti.