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I «Tupamaros» di Roma. 7 novembre 1977: la Polizia chiude il collettivo di via dei Volsci

Redazione Spazio70

Da un articolo di Piero Fortuna per «Epoca»

Una conferenza stampa del collettivo dopo la chiusura della sede

Si proclamano «l’unica vera opposizione al compromesso storico e alla germanizzazione dell’Italia». Li chiamano «gli ultrà più a sinistra degli ultrà» e anche «i duri col mito della P 38». Dopo tre anni, durante i quali hanno avviato una impressionante progressione di violenze sfociate nella guerriglia urbana, i comitati autonomi operai di Roma, meglio noti come «i volsci», perché la loro sede più importante è situata in via dei Volsci, nel quartiere San Lorenzo, sono arrivati a un braccio di ferro forse definitivo con la polizia giudiziaria.

Il piano predisposto dal questore di Roma, Migliorini, è scattato all’alba di lunedì 7 novembre come un evento improvviso, ma non inaspettato. Sotto gli occhi di alcuni passanti insonnoliti, sessanta carabinieri e un centinaio di agenti con i giubbotti antiproiettile, appoggiati da mezzi blindati e comandati da Domenico Spinella, vice capo dell’ufficio politico della questura, hanno prima perquisito e poi chiuso apponendovi i sigilli, quello che viene chiamato il «covo di via dei Volsci» e contemporaneamente quello di via Donna Olimpia numero 30, nel quartiere Monteverde. Alla stessa ora, a Torino, veniva chiuso «Il cangaceiro», un’altra sede dell’autonomia operaia.

La motivazione delle tre irruzioni è stata identica: costituzione di bande armate, un reato «permanente» come dice l’articolo 3 della legge 533 sull’ordine pubblico approvata nell’agosto scorso, che consente di intervenire senza il mandato del magistrato.

UN PUNTO DI RIFERIMENTO PER TUTTA L’AREA DELLA AUTONOMIA ROMANA

Qual è il significato di questa operazione, in seguito alla quale sono stati anche denunciati 80 giovani che frequentavano i locali? E’ chiaro che si tratta della prima risposta decisa a una situazione che si è andata via via aggravando, specialmente con gli attentati a esponenti della Dc in varie città. Nei giorni scorsi, dopo le revolverate sparate contro il consigliere regionale di Roma, Publio Fiori, vi era stata una nervosa riunione del gruppo parlamentare democristiano che si è conclusa con un appello al governo affinché siano colpiti i «centri mandanti dell’eversione». Le perquisizioni non hanno portato a scoperte sensazionali: soltanto volantini, materiale di propaganda e i nomi di alcuni «autoriduttori», cioè gente che ha deciso di non pagare le bollette della luce, del gas e del telefono.

«Ma la circostanza è secondaria», ha spiegato Domenico Spinella, «noi abbiamo chiuso questi covi solo perché essi sono la sede di una banda armata». Alla magistratura, infatti, lo stesso dottor Spinella ha presentato un lungo dossier preparato dalla polizia negli ultimi mesi, un elenco di «espropri proletari», di violenze, di attentati, tra cui anche quello alla sede della Dc romana di piazza Nicosia.

Questo collettivo di via dei Volsci, sistemato in tre stanzette al pianoterra per le quali viene pagato un affitto di 60 mila lire al mese, è un punto di riferimento per tutta l’area dell’autonomia di Roma, formata da una ventina di gruppi che praticano forme di lotta politica intransigenti e violente. Essi sono disseminati in alcuni quartieri periferici: il Valmelaina, il Trullo, il Monte Spaccato, il Tiburtino, il San Lorenzo all’Enel, al Policlinico, all’università, specialmente nelle facoltà di Fisica, Legge e Magistero. Si calcola che raccolgano qualche centinaio di militanti, più due o tremila simpatizzanti. Dispongono di un periodico, «Rivolta di classe», e di una radio libera, «Onda rossa», che trasmette in tutta Roma (ma si propongono di fondare un giornale nazionale il quale assorba anche le altre pubblicazioni «autonome», come Senza tregua e Rosso).

«IL NOSTRO CANDIDATO? NON HA TROVATO POSTO IN NESSUNA LISTA ELETTORALE»

I primi collettivi si sono formati intorno al 1972 in seguito alla crisi della «nuova sinistra». Vi hanno aderito ex iscritti al Pci, scontenti anche dell’esperimento del Manifesto. Quello dei Volsci, in particolare, recluta i militanti soprattutto tra gli infermieri e i portantini del Policlinico: uno dei suoi maggiori leader è Daniele Pifano, un giovane tecnico di laboratorio. «Noi rappresentiamo», egli sostiene, «l’unica vera opposizione al compromesso storico e alla germanizzazione dell’Italia». Comunque sia, gli autonomi proclamano di non credere più al parlamento, ai sindacati e ai partiti tradizionali e tanto meno al partito comunista.

Sulla saracinesca centrale della sede di via dei Volsci, campeggia un manifesto con il volto di Carlo Marx sul quale è scritto ironicamente: «Il nostro candidato non ha trovato posto in nessuna lista elettorale». Fanno dunque di testa loro, contro tutto e tutti. Durante le manifestazioni si suddividono in piccole squadre che all’improvviso si staccano dai cortei formando degli efficienti commandos che fanno uso di bottiglie incendiarie e di pistole. Nel 1974 il solo collettivo dei Volsci ha collezionato 108 avvisi di reato e Pifano fa 9 mesi di carcere. I fascicoli delle varie inchieste finiscono nelle mani del magistrato Leonardo Zamparella che mesi fa si è suicidato a Napoli. Zamparella manderà assolti gli imputati dall’accusa di essere una associazione sovversiva e di avere costituito una banda armata: una decisione che provocherà polemiche, tra cui quella, molto vivace, tra il ministro dell’Interno Cossiga e il procuratore generale di Roma, Pascalino.

«LA NOSTRA È AUTODIFESA, CONTRO LA VIOLENZA VERA: QUELLA DELLO STATO »

Frattanto i Volsci si fanno sempre più animosi. Sono sempre presenti nelle fasi più accese delle manifestazioni di piazza. Secondo la polizia sono protagonisti di attentati e sparatorie, in una delle quali, avvenuta nei pressi dell’università, morì l’agente Settimio Passamonti. Hanno anche avuto parte preponderante nella clamorosa cacciata del leader della Cgil, Luciano Lama, dall’ateneo romano il 17 febbraio scorso durante un comizio agli studenti. Tre settimane fa, durante una manifestazione anti-tedesca, scatenarono la guerriglia per le vie del quartiere San Lorenzo.

A che cosa mirano, realmente? I comunisti li accusano con durezza. La storia del collettivo di via dei Volsci, ha scritto l’Unità, non lascia dubbi sulle sue intenzioni, sulla sua crescente vocazione alla violenza pura, sui suoi inquinamenti mafiosi e missini. L’organo del Pci adombra anche l’ipotesi che l’omicidio di una studentessa, Silvana Rinaldi, avvenuto alla periferia di Roma qualche anno fa, sia da mettere in relazione con il collettivo. Potrebbe essersi trattato di una «esecuzione per evitare eventuali fughe di notizie riservate dal gruppo che la ragazza, legata all’ambiente e anche ai Nap, avrebbe potuto provocare». E’ un sospetto gravissimo che adombra anche la possibilità di uno stretto legame tra gli autonomi e i Nap e le Brigate rosse oltre che con la mafia per i rapimenti.

I Volsci si difendono da queste accuse sostenendo di essere vittime di una persecuzione politica. C’è il problema della violenza, è vero. Ma essi la negano. «La nostra è autodifesa», ribattono, «nei confronti della violenza vera: quella dello Stato». Così hanno chiesto che sia tolta la ceralacca dalle porte delle sedi sequestrate.