logo Spazio70

Benvenuto sul nuovo sito di Spazio 70

Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
Buona lettura e non dimenticare di iscriverti sulla «newsletter» posta alla base del sito. Lasciando un tuo recapito mail avrai la possibilità di essere costantemente informato sulle novità di questo sito e i progetti editoriali di Spazio 70.

Buona Navigazione!

Il sogno infranto di Tostão, l’«alter ego» sfortunato di Pelé

Sebastiano Palamara

Ritratto calcistico ed esistenziale di uno dei funamboli della nazionale brasiliana a Mexico '70

Il mondo ci lascia molto prima che ce ne andiamo per davvero, scrive nel Voyage Louis Ferdinand Céline. All’incirca, è quello che deve aver pensato Eduardo Gonçalves de Andrade, in arte Tostão, quando – nel 1973 – i medici gli dissero che con il calcio aveva chiuso. Game over. A farglielo capire, ancor prima dei messaggeri di Ippocrate, erano stati i suoi stessi occhii, lesionati nel 1969 da una maledetta pallonata nel corso della partita Corinthians-Cruzeiro. A ben poco erano servite le cinque operazioni chirurgiche a cui si era sottoposto: nelle giornate peggiori, non riusciva più a distinguere nitidamente le forme in piena luce, e doveva tener foglie medicinali sulle tempie per lenire un mal di testa che sembrava voler diventare eterno. Nato a Belo Horizonte il 25 gennaio del 1947, Tostão crebbe nelle giovanili dell’América Mineiro: come spesso accade nelle storie calcistiche a lieto fine, fisicamente era il più piccolo della squadra e, ciononostante, il più bravo di tutti.

Proprio al fisico mingherlino deve il suo soprannome, che significa appunto «monetina», come se fosse sempre in procinto di perdersi per il campo, tanto appariva minuscolo tra i colossi che lo sovrastavano. Ma tutto cambiava quando gli arrivava il pallone tra i piedi. Acquistato dal Cruzeiro, a sedici anni Tostão esordì in prima squadra: entrò in campo, si posizionò al centro dell’attacco dell’Esquadrão Celesteii, e lì rimase per le successive sei stagioni. Vinse cinque campionati di fila (1965-1969), mentre per quattro volte fu il capocannoniere del campionato (1965-1968). A 22 anni aveva già segnato 250 gol. Un predestinato. Bomber implacabile (segnò 303 reti in 467 gare ufficialiiii), permetteva ai compagni di segnare più gol di quanti ne realizzasse egli stesso. Ma il suo divertimento preferito era saccheggiare la serenità dei difensori: li saltava in dribbling con tale frequenza e precisione che, non di rado, alcuni di questi furono sul punto di esplodere in un pianto di rabbia. Altri, storditi dall’ipnosi di questo chimerico giocoliere, a fine partita arrivavano a dubitare della propria identità, finendo per sentirsi diversi da sé stessi e uguali a ciò che non erano. Con ogni tocco di palla, Tostão sembrava voler serbare per sé il deposito della fantasia e dell’imprevedibilità; il suo gioco di gambe era veloce e imponderabile, come gli scatti di un’antilope insonne che fugge nell’oscurità spaventata da un rumore improvviso.

«O REY BRANCO»

Nel 1966, con la maglia della Nazionale brasiliana, partecipò alla sfortunata spedizione del mondiale inglese; nel 1969, con 10 gol ed almeno altrettanti assist, si impose come capocannoniere delle qualificazioni alla Coppa Rimet (furono 6, per dire, le realizzazioni di Pelé). Quelle prestazioni sontuose, condite da classe e concretezza, fecero salire enormemente le aspettative su questo giovane straordinario, che si avviava a giocare il mondiale messicano al fianco di «O Rey». Nonostante i problemi agli occhi risalgano proprio al 1969, e nonostante proprio quell’anno fu costretto a trascorrere ben 150 giorni senza giocare (a causa di un intervento chirurgico a cui si era sottoposto per il trattamento della retina), Tostão non mancò l’appuntamento: il 21 giugno 1970, nella vittoriosa finale di Città del Messico, vinta 4-1 contro gli azzurri di Ferruccio Valcareggi, nell’undici titolare c’era anche lui. Ma, accanto alla gioia sfrenata per la conquista della terza Coppa Rimet, nel cuore dei tifosi brasiliani quel giorno risuonava anche una nota gravida di tristezza: la consapevolezza di dover sostituire Sua Maestà Pelé che – per ragioni anagrafiche – abbandonava la Nazionale per trasferirsi definitivamente tra gli déi dell’Olimpo.

Tuttavia, in una Seleção in cui le stelle potevano contarsi col dito, questa tristezza era attenuata dalla presenza in squadra dello stesso Tostão, proiettato dalla sua classe cristallina nel ruolo impossibile di erede di Pelé, al punto che avevano preso a chiamarlo «O Rey branco», il «Re Bianco». Lui si schermiva, sostenendo che il Re era e rimaneva uno solo; sta di fatto, però, che quella maglietta dal color verde oro cadeva a pennello su di lui, quella maglietta dello stesso colore che in quegli anni avevano i desideri. Anni prima, proprio contro il (quasi) imbattibile Santos di «O Rey», nella finale di Coppa del Brasile giocata a Belo Horizonte il 30 novembre 1966, Tostão guidò il Cruzeiro a uno storico trionfo: la gara terminò con il risultato tennistico di 6-2. Pelé, livido di rabbia per la marcatura inespugnabile del difensore Piazza e per gli sberleffi dei tifosi di casa (che cantavano «dov’è Pelé? dov’è Pelé?») si fece espellere, mentre Tostão segnò il 5-0 con un gol straordinario. In quella gara contro il Santos, il Cruzeiro scrisse la pagina più importante della sua storia, la pagina eroica del suo primo titolo nazionale, quello che la proiettò definitivamente tra le «grandi» del calcio brasiliano.

IL PASSAGGIO NELLE FILE DEL VASCO E IL RITIRO

Nel 1971 Tostão abbandonò il Cruzeiro per passare nelle file del Vasco da Gama, con un trasferimento che all’epoca destò enorme scalpore. Anche dopo l’infausta diagnosi, Tostão continuò a volare sulla trequarti del campo, come una rondine senza più scampo la cui sentenza stava scritta lì da sempre, e che, ugualmente, continuava a sfrecciare nel cielo. Il giorno in cui gli dissero che con il calcio aveva chiuso, pena il perdere definitivamente la vista, Tostão pensò alla crudeltà del destino, che gli aveva fatto pagare dieci anni di felicità con uno strazio che mai nessun calciatore vorrebbe vivere, e si sentì sprofondare nelle sabbie mobili della malinconia. I tifosi carioca, da parte loro, quando ricevettero la notizia rimasero in bilico tra perplessità e sconforto, e per mesi non parlarono d’altro: alcuni pensarono che l’unica cosa da fare fosse tentare di addobbare con drappi di lutto le loro gradinate, altri si sedettero semplicemente a terra per piangere a dirotto. Altri ancora pregarono con intensità Sant’Antonio della Misericordia, non di rado con la goffaggine della prima volta. Le voci di improbabili maghi si levarono dai lembi di terra più sperduti dell’Amazzonia, consigliando prodigiosi infusi di fiori di Eliconia. Improvvisati ierofanti annunciavano gravemente di aver ricostruito la concatenazione di casualità che aveva reso possibile l’impensabile, e suggerivano espiazioni solitamente confinate nei recinti del sacro.

Ma Tostão era un uomo intelligente e non permise alle anticaglie della felicità di sbriciolare quanto gli rimaneva al di fuori di un campo di calcio. Certo, quando capì che con il pallone era finita per sempre, sentì che i frammenti del passato si staccavano e aleggiavano immobili davanti a lui, temibili e minacciosi, come se fossero portatori di cattivi auspici. Un giorno si incamminò per riflettere lungo le sponde del fiume Rio das Velhas, costeggiò le case dei poveri che iniziavano ad illuminarsi nel quartiere vecchio, e si fermò all’altezza del porto antico. Era sommerso da un assoluto sconforto ma, non si sa come, la constatazione che non c’era più nulla da sperare ebbe su di lui un effetto salutare. Era come se per settimane, mesi, anni, anzi da tutta la vita, avesse atteso un evento imprevisto che alterasse il corso di eventi che sembravano immutabili. In quel momento, si sentì come se gli avessero tolto dalle spalle un grande peso. Fu allora che si accorse che l’ansia si faceva più lieve e sfumava via come in una visione, e fu allora che con passo leggero continuò ad andare ancora avanti.

Quel giorno decise che non avrebbe permesso ai rimpianti e alla monotonia di imbrattare di grigio le proprie giornate, e iniziò a cercare in altre sorgenti il ritmo che animasse la vita. Lo trovò nella medicina: poco tempo dopo, infatti, si iscrisse all’Università e intraprese gli studi che anni dopo gli consentirono di diventare medico. L’ex «Re Bianco», la «monetina», indossato il camice e lo stetoscopio, assecondò la fluidità naturale del suo cuore e rifiutò così che i suoi anni finissero per assomigliare a una telecronaca di dispiaceri.

Due curiosità: nel 1971, diretto in Uruguay e Venezuela per disputare alcune gare internazionali, Tostão ricevette un’attenzione e una protezione particolare da parte dei servizi di intelligence di quei paesi, convinti che gruppi di guerriglieri di estrema sinistra avessero in progetto il suo sequestro. Inoltre, a lui si ispira il personaggio di Roberto Sedinho nel cartone animato giapponese Holly e Benji: le generazioni nate negli anni Settanta/Ottanta lo ricorderanno sicuramente con l’impermeabile lungo, gli occhiali scuri e l’immancabile bottiglia di whisky in tasca.

i Nello specifico, la lesione riguardò l’occhio sinistro.

ii È uno dei soprannomi della squadra del Cruzeiro.

iii È tuttora il detentore del record di reti realizzate nella storia del Cruzeiro.