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Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
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Tomas Milian: «Ho capito che dovevo fare l’attore con la morte di mio padre»

Redazione Spazio70

«Mio padre? Mi picchiava sempre. Era un malato di mente, poveraccio»

«Quando ho capito che dovevo fare l’attore? Quando è morto mio padre. Mio padre apparteneva ad un gruppo dell’esercito che combatteva per un dittatore che si chiamava Gerardo Machado, un uomo terrificante al quale Fulgencio Batista diede un colpo di Stato. Lui, il mio povero padre, era un militare molto severo e voleva che facessi anche io il soldato. Mi picchiava spesso e mi puniva portandomi nel carcere del suo accampamento perché avevo brutti voti a scuola. Era malato di mente, poveraccio.

Il 31 dicembre 1946 io avevo 12 anni. Dovevamo andare a fare colazione dal nonno, il padre di mia madre, che era un uomo molto ricco. Mio padre mi chiamò, disse: “Tomi, siediti qui. Tuo padre è molto stanco e tu già sei un ometto. Voglio che da domani tu cominci ad occuparti di tua madre e della tua sorellina. Sarà tutta un’altra vita per te. Mi raccomando, studia”. Non diedi molto peso a queste parole. Andammo dal nonno a mangiare. Mia madre e mio padre stavano soli in una stanza. Ad un certo punto vidi mia madre uscire piangendo. Entrai per controllare cosa fosse successo e lui era lì, seduto sul letto in alta uniforme e con i suoi soliti occhiali scuri. Mio padre si è girato verso di me, ha tirato fuori dalla cartucciera una 45 automatica di acciaio e me l’ha puntata contro. Per un attimo ho pensato: “Questa è la mia fine!” invece poi ha puntato l’arma sul suo cuore, ha sparato ed è morto lì, davanti a me.

Non ho sentito dolore, ho sentito liberazione. Mi sono sentito come l’attore protagonista di un film. Il mio film. Fu questo il mio primo pensiero in quel momento. Presi il telefono per dare la notizia a mia nonna in modo tragico, ma dentro di me non sentivo niente. Stavo recitando. Il telefono era occupato, gettai la cornetta a terra con un gesto di rabbia, ma mi accorsi di averlo fatto male. Pensai di dover ripetere la scena. Lo feci, ma venne anche peggio. Allora corsi verso casa della nonna cercando di farmi venire l’affanno in modo da sembrare disperato. Non lo ero».