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Vivere senza «Malizia». Intervista a Laura Antonelli (1977)

Redazione Spazio70

Dall'inviata Alida Militello per «Epoca»

Nel castello circondato da un ampio parco a Cison, un piccolo paese a pochi chilometri da Vittorio Veneto, la troupe del film Mogliamante di Marco Vicario, protagonisti Laura Antonelli e Marcello Mastroianni, sta allestendo la scena per una ripresa notturna. La dolce e perversa servetta di Malizia, in una stanza dell’antico castello adibita a sala trucco, si sta sottoponendo alla metamorfosi. Dovrà diventare Antonia, una donna tutta anarchia ed emancipazione. Sono passati ormai quattro anni dal giorno in cui venne riconosciuto in lei il nuovo «simbolo del sesso». Il «fenomeno Laura» esploso all’inizio degli anni Settanta, ha infatti rovesciato la graduatoria dei sex symbol. Dopo il film Malizia l’attrice si è sostituita senza troppa fatica a Brigitte Bardot, Sofia Loren, Marilyn Monroe.

Per lei si sono scomodati scrittori, sociologi, critici del costume. La sua vita, il suo comportamento, sono stati studiati e analizzati con lo stesso impegno con il quale si affronta un fenomeno sociale. Su di lei sono stati espressi i pareri più contrastanti, è stato detto tutto il bene e il male possibile. Le sono stati cuciti addosso slogan tipo: «Laura Antonelli, un volto d’angelo su un corpo da peccato» oppure definizioni come «una splendida statua di sale» e ancora «una divoratrice di uomini, una donna aggressiva e divorante dal fascino torbido e inquieto».

LA TIMIDEZZA, I COMPLESSI DI UNA EDUCAZIONE RIGIDA E REPRESSIVA

Prima del film Malizia questo «simbolo del sesso» degli anni Settanta non esisteva per il pubblico, ma Laura Antonelli non esisteva per nessuno, neppure per se stessa. Viveva nell’incertezza di chi ancora non ha trovato uno scopo nella vita. Provava la stessa insoddisfazione che provano molte ragazze a vent’anni quando l’autorità dei genitori diventa opprimente e la fuga rappresenta l’unica possibilità per affermare la propria personalità. Aveva, però, capito che per lei, a quell’età, la strada del matrimonio non era certo quella giusta. Meglio, quindi, il mondo della televisione e del cinema con tutti quei bagliori seppure falsi ed effimeri. Aveva paura di tutto e di tutti. Si portava addosso i complessi di una educazione rigida e repressiva.

Il cinema, e perché no, la scalata al successo rappresentavano la prima e più importante sfida a se stessa, alla propria timidezza, alla propria apatia. «Non tornerei indietro», dice, «per nulla al mondo. Ho sofferto troppo nella mia infanzia e posso dire che non sono stata affatto una ragazzina spensierata. Ricordo ancora, quando, appena arrivati da Istria, fummo accolti in un campo profughi a Napoli. Allora ero piccola, ma sento ancora oggi le grida di mia madre quando, la notte, vedeva scorrazzare nella baracca topi grossi come gatti. Ricordo ancora le raccomandazioni dei miei genitori come cupe cantilene: “Non accettare mai da estranei caramelle o giocattoli”. Le violenze dei bambini erano all’ordine del giorno. Poi diventai più grande, la situazione economica della mia famiglia migliorò ma questo cambiamento non influì sul carattere dei miei genitori. In casa regnava sempre una profonda tristezza. Mio fratello e io non ridevamo quasi mai, raramente ci era permesso di giocare con i nostri amici così ogni giorno di più accresceva la nostra timidezza. Fino a quando con il coraggio dei disperati decidemmo di andarcene via di casa. Io mi recai a Roma dove, in una scuola media, mi misi a insegnare ginnastica, mio fratello, invece, si buttò nello studio. Ora ha quattro lauree, ma è rimasto il timido di sempre forse è ancora più timido di me».

«AVEVO L’IDEA FISSA DI SFONDARE»

Oggi Laura Antonelli ha 34 anni, ha trovato nell’attore Jean Paul Belmondo il compagno ideale ed è diventata una donna serena con una grande voglia di vivere. Ieri era una ragazzina come tante che faceva Caroselli alla tv e che, per arrivare dove è arrivata, ha dovuto superare molte difficoltà. Quando parla del suo passato non dimentica nessuna delle esperienze affrontate e rimpiange soltanto di non aver incontrato le persone giuste. «Avrei voluto imparare», dice, «qualcosa di più vero e umano dalla vita. Oggi vorrei sapere di più e di tutto. Ho 34 anni e mi ritrovo con gli interessi e la curiosità che avrei dovuto avere quando di anni ne avevo 20. La colpa è mia. Allora volevo soltanto buttare fuori tutto ciò che con la mia timidezza e introversione avevo accumulato dentro di me. Il cinema me ne dava l’occasione, perché avrei dovuto cercare dell’altro? Quando partecipai alla rubrica televisiva Zoom trovai gente di valore ma, purtroppo, prendevo una papera dietro l’altra e mi cacciarono. Ritornai così nel solito giro. Ero troppo immatura ed ero, soprattutto, preoccupata del futuro. Avevo l’idea fissa di sfondare».

Una candida confessione unita a un saggio realismo. Laura Antonelli fronteggia, da disincantata, le sue carenze culturali mostrando la disinvoltura di chi è autenticamente semplice ma, soprattutto, ha il garbo e l’intelligenza di non cadere nella falsa cultura o in un linguaggio che non le è proprio. Parla poco e quasi sempre con voce dolce e tenue, ma sicura. Non assume arie da diva e le sue risposte accompagnate da un sorriso accattivante, sono spesso ricche di un sottile e gradevole umorismo. Le chiedo di esprimere un’opinione sulle colleghe più giovani, le varie Gloria Guida, Eleonora Giorgi che hanno invaso il mercato cinematografico con le loro nudità generosamente offerte. Con distacco disinvolto, ma senza presunzione dice: «Sono molto giovani, hanno al massimo vent’anni, avranno tutto il tempo, più tardi, di provare le loro prime delusioni». Alludendo al suo passato di attrice, al fatto che ha raggiunto il successo come sex symbol le chiedo se ancora oggi questa etichetta non ha un significato. «No, già da allora, quando mi venne attribuita, sorridevo. Se avessi rappresentato soltanto un simbolo non sarei durata cinque anni. Vuol dire quindi che qualcosina in più c’è in me».

«JEAN PAUL BELMONDO? NON MI HA MAI OSTACOLATO»

Commentando ciò che alcuni critici hanno scritto di lei («Non c’è nessuna regola che impone ai divi di sapere anche recitare, i miti possono restare miti e basta. Tuttavia Laura Antonelli nell’Innocente di Visconti ha voluto provare di essere un’attrice drammatica e già in Divina creatura di Patroni Griffi mostrava la sua scarsa attitudine a recitare»), senza apparire smarrita e con molta onestà, dice: «Io sono molto lucida, non mi ritengo affatto una grande attrice anzi sono ancora una principiante. Ogni volta che devo recitare ho dubbi, tensioni. Non so se lo saprò fare e spesso mi salva il fatto che io sia, come dicono, un animale istintivo che è molto aiutato dalla propria fotogenia. Devo dire però che l’unico film dove io non c’entravo niente è stato Divina creatura. Mi avevano messo delle torte in testa, dei costumi che mi impacciavano, complicatissimi e con fronzoli. Il ruolo non mi si addiceva, insomma, un film sbagliato che avrebbe potuto ammazzare qualsiasi attrice eppure, al limite, ne sono uscita sana e salva e faccio ancora l’attrice».

E se il suo mito cadesse o se fosse obbligata a smettere, lei, Laura Antonelli, accusata di essere sfrenatamente ambiziosa, un’arrampicatrice sociale o cinematografica disposta a tutto pur di arrivare, come reagirebbe? «Non me la prenderei male, sinceramente no», afferma con convinzione. «Si dice che il cinema è una malattia e che il fuoco dell’arte ti prende, ma io non credo di avere questo fuoco anche se recitare mi è piaciuto enormemente e mi piace. Forse per me il cinema oggi non rappresenta più quello che rappresentava ieri. Ieri era una meta, una sfida, oggi questa sfida l’ho vinta. E certo che non riuscirei ad adagiarmi, sentirei un vuoto. E’ dall’età di 18 anni che lavoro, non sono abituata a fare niente, cercherei, quindi, un’altra occupazione magari legata ai viaggi. Adoro viaggiare. Se poi il cinema mi respingesse, nulla di male. Forse nascerà una nuova diva che incarnerà il tipo di donna che il pubblico vorrà in quel momento o addirittura il tipo di donna degli anni Ottanta». E Jean Paul Belmondo che, come tiene a precisare Laura, possiede una passione innata per il cinema, non sarebbe contrariato se la sua compagna abbandonasse i teatri di prosa? «Jean Paul non mi ostacolerebbe», risponde l’attrice. «Se smettessi il mio lavoro non direbbe niente. Non è neppure mai intervenuto quando si trattava di accettare o meno un film. Mi ha sempre lasciato libera».

Laura Antonelli è chiamata sul set, sta ultimando di girare Mogliamante di Marco Vicario. Ancora un altro film con abiti «complicatissimi e pieni di fronzoli». Siamo agli inizi del Novecento e Laura interpreta il ruolo di una donna che si agita nel quadro dei primi fermenti femministi. Questa volta, forse, non sarà più duramente criticata dalle più accese femministe che le hanno sempre rimproverato di riproporre l’antico ideale di donne sottomessa e rassegnata.