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Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
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La stampa italiana nel biennio 1968-69

Redazione Spazio70

Analisi di un'epoca di passaggio. I grandi media in bilico tra cambiamento e conformismo.

Nel biennio 1968-1969 cinque quotidiani cambiano direttore. Al Corriere della Sera Giovanni Spadolini prende il posto di Alfio Russo, alla Stampa Alberto Ronchey sostituisce dopo una direzione ultraventennale Giulio De Benedetti, Piero Ottone va a Genova a dirigere il Secolo XIX mentre Alberto Cavallari ottiene la poltrona del quotidiano veneziano il Gazzettino. Domenico Bartoli, infine, succede a Spadolini nella direzione del bolognese Resto del Carlino. Il mondo dei grandi media cerca, insomma, con un rimescolamento un po’ tardivo delle carte, di mettersi al passo con i grandi cambiamenti in atto nella società italiana degli anni Sessanta. Se la contestazione, da parte dei giovani, inizia a manifestarsi palesemente a partire dal 1967, prima di tutto nelle università, il centrosinistra appare, nonostante i limiti, una formula governativa capace di assicurare un quadro istituzionale più aperto dei precedenti al dibattito e alla sperimentazione politica e culturale.

Il Corriere, con Spadolini, torna in un alveo che gli è sempre stato congeniale, quello di un cauto moderatismo, vicino ai poteri forti, non pregiudizialmente ostile al centrosinistra. Il quotidiano di via Solferino punta sulle firme di prestigio, sui commenti forbiti, su un approccio politico e culturale quasi accademico che poco si pone problemi di accessibilità del linguaggio. Se il lettore medio poco capisce, che impari: questa è più o meno la logica spadoliniana. Ronchey, alla guida della Stampa, prova a sprovincializzare il giornale torinese senza toccarne i punti di forza, come la cronaca cittadina, che ne hanno decretato un certo successo in termini di tiratura. Cavallari, alla guida del Gazzettino, ha meno autonomia dei suoi colleghi nelle grandi città perché deve avere a che fare con una redazione abituata a ragionare quasi come un quotidiano di partito, col doroteismo democristiano che in Veneto fa di tutto per dettare la linea politica del giornale. Piero Ottone, che poi sostituirà proprio Spadolini alla guida del Corsera, è quello che si muove con maggiore intelligenza: da direttore del genovese Secolo XIX si occupa della realtà locale e regionale utilizzando una titolatura molto efficace, senza rinunciare a un pizzico di spregiudicatezza, dando l’idea di una indipendenza di fondo. Può farlo, non avendo dietro né la Dc né la Fiat bensì un editore puro.

I MEDIA DELLA SINISTRA EXTRAPARLAMENTARE

I cambiamenti sono comunque complessivamente di facciata ed è il conformismo a dominare le grandi testate italiane. Fra i tratti peculiari della stampa di fine anni Sessanta c’è la troppo spiccata tendenza ad accettare la versione ufficiale, la timidezza nel porre domande quando si toccano rilevanti interessi politici e soprattutto economici. La credibilità dei quotidiani non cresce, così come non cresce il numero dei lettori nonostante gli evidenti successi nel campo della scolarizzazione. Intere fasce sociali, soprattutto i giovani, vengono escluse da una narrazione coerente e organica.

La contestazione dà vita a gruppi politici come Potere operaio, Lotta continua e Avanguardia operaia, che accusano il revisionismo di sindacati e Pci, capaci di esprimere, nelle piazze, nelle scuole, sui luoghi di lavoro, un linguaggio colorito e violento, in un certo senso al passo con le tensioni sociali di fine anni Sessanta, poi ripreso in pubblicazioni dalle quali nasceranno anni dopo i media della sinistra extraparlamentare.

Il direttore responsabile di Potere operaio, Francesco Tolin, insegnante a Padova e giornalista pubblicista, viene arrestato il 25 novembre 1969 per alcuni articoli che esaltano episodi violenti avvenuti durante gli scioperi Fiat. Si tratta di uno dei pochissimi casi in cui per un reato di stampa viene applicata la carcerazione preventiva. Tolin è processato per direttissima a Roma il primo dicembre e condannato a 17 mesi: due mesi e mezzo dopo, in vista dell’appello, otterrà la libertà provvisoria.

La reazione più rilevante alla crisi sociale e politica del biennio 1968-1969 è costituita senza dubbio dalla strage di piazza Fontana a Milano. È proprio attraverso il precisarsi della strategia della tensione che si hanno nuove, chiarissime, prove del pesante condizionamento esercitato sui mezzi di comunicazione da chi detiene il potere politico ed economico.

Sia la radiotelevisione che i giornali si schierano all’inizio compatti per la versione ufficiale degli attentati fornita dal governo con le accuse di colpevolezza a Valpreda e agli anarchici. Nei giorni successivi si fanno strada le prime crepe nel fronte dell’informazione quotidiana e settimanale.

IL SINDACALISMO NEI MEDIA

I dubbi del Giorno, dell’Espresso, di Panorama, di Tempo illustrato, della Stampa sulla colpevolezza e sul suicidio di Pinelli, le prime indicazioni che questi giornali danno sulla matrice fascista e reazionaria della strategia della tensione, affiancandosi agli organi della sinistra comunista e socialista, dando a volte spazio alle accuse e alle rivelazioni dei fogli extraparlamentari, contribuiscono a mettere in crisi l’informazione filogovernativa

Un ruolo di punta ha Lotta continua che accusa implacabilmente questore di Milano e polizia per la morte di Pinelli. Il processo che il commissario Calabresi intenta al responsabile del periodico – Pio Baldelli – sancisce l’innocenza dell’anarchico, accresce i dubbi sulla sua fine e sulla responsabilità della polizia. In un simile contesto, gruppi di giornalisti decidono di costituire comitati di difesa e di lotta. Il primo nasce a Milano il 23 dicembre 1969 e si chiama «Comitato per la libertà di stampa e per la lotta contro la repressione»: vi aderiscono circa 150 giornalisti.

Il comitato chiede le dimissioni di Gonella e Missiroli, rispettivamente presidenti dell’Ordine e della Federazione della stampa, denunciando la costante manipolazione delle notizie. A Roma, sono più di 450 gli operatori della stampa che il 25 gennaio 1970 danno vita al «Movimento dei giornalisti democratici» nel quale convergono numerosi redattori e collaboratori Rai. I due gruppi maggiori proseguono la loro azione su linee diverse: a Milano prevale l’attività di denuncia delle trame reazionarie: a Roma si punta sempre di più sul rinnovamento della Federazione della stampa e sulla riforma o abolizione dell’Ordine.

Anche alla Rai si muove qualcosa, grazie ai partiti che provano a disarticolare il monopolio Dc sulla tv di Stato. Nonostante le numerose proposte, telegiornali e giornali-radio restano sempre sotto il controllo del più importante partito di governo fornendo una informazione spesso reticente che non sfrutta in alcun modo le enormi potenzialità che la tecnologia mette a disposizione.

Tutto questo ha effetti negativi anche sulla stampa quotidiana, che di fatto non subisce alcuna salutare concorrenza come quella tipica del mezzo radiotelevisivo.