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Corna e «scandali» di un presidente napoletano. Signore e signori, Giovanni Leone

Redazione Spazio70

Secondo Giulio Andreotti, «le prime censure a Leone avvennero per la constatata abitudine, tutta napoletana, di scongiurare il malocchio facendo ostentatamente le corna con la mano destra»

Giovanni Leone nasce a Napoli nel 1908. Figlio di uno dei fondatori del Partito popolare è giovanissimo docente di procedura penale: principe del foro, si è iscritto al partito fascista e poi alla Dc a partire dalla metà degli anni Quaranta. Deputato fin dalla Costituente, Presidente della Camera, due volte Presidente del Consiglio, Leone passa per uomo super partes: una caratteristica che rivendicherà fin dal primo giorno al Quirinale.

Leone esibisce una folcloristica napoletanità: scongiuri e «corna» si alternano in un crescendo che lascia sbigottiti vicini e testimoni. Cronache e pettegolezzi riferiscono di tarantelle e cantate di «O’ Sole mio» anche a latere di occasioni ufficiali. Tifoso del Napoli, si lascia andare a intemperanze allo stadio. A tutto questo aggiunge una inflessione dialettale che ne fa inevitabile bersaglio di caricature e sfottò. Gaffeur di professione, catalizza la morbosa curiosità dei cronisti anche a causa di «Donna Vittoria», la giovane moglie. La Dc non lo difende.

Quando c’è da eleggere il successore di Giuseppe Saragat al Quirinale, la Dc individua inizialmente in Amintore Fanfani un candidato teoricamente capace di ottenere l’appoggio dei partiti centristi e, si pensa, del Pci«Il Rieccolo», come lo chiama Montanelli, passa ancora per progressista anche se ha appena perso la battaglia per l’abolizione del divorzio. Il settimanale Panorama, già attivo in inchieste giornalistiche su «trame nere» e «strategia della tensione», scrive che Fanfani è il candidato di un fantomatico gruppo cattolico denominato «Cinque per cinque»; un centro di interessi capace di egemonizzare la Fondazione Agnelli e di essere il punto di riferimento di Eugenio Cefis, presidente della Montedison, e di alti gradi delle forze armate. Il Pci, dal canto proprio, non aveva mai nascosto una certa diffidenza verso Fanfani presentato, per i suoi modi autoritari inversamente proporzionali all’altezza, come un «micro De Gaulle» [1]

In realtà Fanfani non ha l’appoggio neppure dell’intera Dc. Pur essendo il candidato ufficiale del partito, già al primo scrutinio del 9 dicembre 1971 mancano all’appello una quarantina di voti: sono quelli dei cosiddetti «franchi tiratori». Quando dopo diverse fumate nere monarchici e missini iniziano a far balenare una possibile convergenza su Fanfani, la Dc ricorda che il leader aretino ha accettato la candidatura richiamandosi ai valori della Resistenza.

«Nano maledetto/ non sarai mai eletto». Con frasi simili, alternate al più classico «Fanfascista», scritte nelle schede di voto per l’elezione del Presidente della Repubblica, viene di fatto meno la candidatura di Fanfani alla più alta carica dello Stato. In parlamento la sinistra parlamentare (Psi, Pci poi Psiup) vota per il socialista De Martino. Per superare lo stallo la Dc decide di accantonare la candidatura Fanfani: il 21 dicembre, all’interno di un «conclave»la Dc designa Giovanni Leone (che prevale per un soffio su Aldo Moro) candidato alla Presidenza della Repubblica. E’ il trionfo della linea di Andreotti.

LA CAMPAGNA STAMPA DE «L’ESPRESSO»

Leone viene eletto al ventitreesimo scrutinio con i voti determinanti del Msi che, secondo alcuni, è «entrato discriminato, è uscito determinante». Quando si presenta alle Camere per l’insediamento, Pajetta scaraventa una manciata di monete addosso a  Ugo La Malfa, antifascista ma elettore di un presidente votato dai fascisti. Leone definisce fin da subito sé stesso «notaio» delle scelte di parlamento e governo. Non è amato dal popolo, pur riproducendone tic e superstizioni, e non fa niente per farsi amare.

Settembre 1973, golpe militare in Cile. Il segretario del Pci, Berlinguer, trae occasione dalla cruenta fine del governo Allende per proporre alla Dc un «compromesso storico» che garantisca le istituzioni democratiche: il Pci, dice, potrebbe proseguire quella «via italiana al socialismo» già promessa da Togliatti trent’anni prima. La nuova sinistra vede invece negli eventi cileni la conferma di una borghesia incapace di accettare una affermazione del socialismo per via legale. A un acutizzarsi della già grave crisi economica si unisce il propagarsi di una improvvisa epidemia di colera nel Sud: si tratta di zone ad amministrazione democristiana, soprattutto Napoli. Si diffondono voci secondo le quali lo stesso presidente Leone avrebbe fatto gli scongiuri visitando gli ospedali napoletani.

Giulio Andreotti: «Le prime censure a Leone avvennero per la constatata abitudine, tutta napoletana, di scongiurare il malocchio facendo ostentatamente le corna con la mano destra» [2]

Durante una commemorazione di Giuseppe Mazzini, poco prima di entrare nella sala, davanti a numerosi giornalisti e altre personalità, Leone prende per il braccio Andreotti e gli sussurra: «Ho sentito dire che Mazzini porta jella. Tié!», facendo il gesto delle corna.

A partire dal 1975, Leone viene fatto oggetto di una violentissima campagna stampa, orchestrata da L’Espresso e Camilla Cederna e dai radicali di Marco Pannella. Le accuse vanno dallo scandalo Lockheed, tangenti per l’acquisto di aerei americani, alla vita privata della famiglia Leone e della first lady Vittoria fino alle accuse di nepotismo: il tutto sfocia nella pubblicazione del libro «Giovanni Leone: la carriera di un presidente» firmato dalla Cederna che poi sarà condannata per diffamazione.

Il 14 giugno 1978 la direzione del PCI decide di richiedere formalmente le dimissioni del Presidente della Repubblica. Quella sera Andreotti e Zaccagnini si recano da Leone per raccoglierne le dimissioni. Pare abbia congedato i due ospiti con la frase: «Grazie, guagliò, così ora potrò guardarmi i mondiali di calcio in santa pace»

Il 15 giugno del 1978 Giovanni Leone firma le dimissioni e lascia il Quirinale. Lo salutano in pochi. Leone se ne va a causa di una serie di attacchi della stampa e del partito radicale andati avanti per mesi. Negli anni successivi gran parte di quelle accuse si rivelerà infondata. Nel 1998 Pannella e Bonino chiederanno ufficialmente scusa. Leone muore nel 2001.

L’AZIONE DI CONDIZIONAMENTO DELLA LOGGIA P2

Camilla Cederna: «Leone va matto per tutti i piatti napoletani, pizza, parmigiana di melanzane, peperone imbottito, pastiera… Il cuoco del Quirinale ha fatto fatica a rimettersi dallo choc, dopo tutte le mousse e le gelatine che piacevano a Saragat» [3]

Camilla Cederna: «Leone è solo un pulcinella con le orecchie scollate» [4]

Il Male, settimanale satirico: «Ansa 767678… Roma, 15 giugno. Alle ore 21.00 il Presidente Leone ha ricevuto la servitù e tenuto un breve discorso. Il capo del cerimoniale del Quirinale lo ha informato che gli saranno addebitate le posate d’argento mancanti. Ansa 878767… Roma, 15 giugno. Alle ore 23,00 il Presidente Leone ha lasciato il Quirinale, scendendo di corsa la grande scala. Nella foga è inciampato nella cravatta cadendo. Trenta giorni di prognosi. Ansa 676562… Roma, 16 giugno. Ricevendo i giornalisti in un lussuoso albergo della capitale, la ex presidentessa donna Vittoria ha annunciato che chiederà divorzio per abbandono del tetto coniugale» [5]

Guido Quaranta: «Leone, presidente del consiglio, prende l’elicottero per visitare il disastro del Vajont. L’ultimo a salire a bordo è un noto fotografo. Leone si accorge che si tratta del passeggero numero diciassette. Non ce lo vuole. Quello lo supplica: ‘Preside’, tengo un pool di agenzie…’. E Leone: ‘Ma io tengo un pool di figli!’». [6]

Il senatore a vita Leone, dopo il mandato presidenziale, viene chiamato a testimoniare presso la Commissione di inchiesta parlamentare sulla loggia P2: egli afferma di avere avvertito in varie occasioni, nell’esercizio del mandato di Presidente della Repubblica, una azione di condizionamento sulle cui origini non aveva notizie sicure. Pur sospettando un coinvolgimento di ambienti vicini ai servizi segreti, Leone dichiara di esserci reso conto soltanto a posteriori della presenza intorno a lui di persone non completamente affidabili. [7]

 «Un esempio di questo ambiguo rapporto che la loggia P2 intesse con il potere può essere individuato nella vicenda del presidente della repubblica Giovanni Leone, nel senso indicato dal commissario Petruccioli, quando ha rilevato come il Gelli che rivolge le sue blandizie al neoeletto presidente pervenendo a farsi da questi ricevere e il Gelli che si vanta con l’onorevole Craxi di poter condizionare la suprema magistratura della repubblica non solo non siano figure in contrasto tra loro ma possano in ipotesi essere considerati due concordanti aspetti di un identico modo di porsi di fronte al potere politico» [8]

UNA PESANTISSIMA CAMPAGNA DIFFAMATORIA

Le «corna» presidenziali

«C’è comunque ancora un fatto, nella storia della P2, che merita di essere ricordato: la guerra spietata che Licio Gelli condusse e fece condurre nei confronti del Presidente della Repubblica Giovanni Leone. Le motivazioni di questa ostilità sono probabilmente da ricercarsi nella chiusura costantemente esercitata dal Presidente Leone nei confronti del “Venerabile” della P2, che aveva tentato di accreditarsi negli ambienti politici e della massoneria come il manovratore occulto della sua elezione avvenuta nel 1971. Un altro motivo può essere costituito dal rifiuto opposto dal Presidente Leone, nella sua qualità di presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, di intervenire a favore di Carmelo Spagnuolo, posto sotto inchiesta dopo l’episodio dell‘affidavit in favore di Sindona: e Spagnuolo ricopriva una posizione di alto prestigio nella P2. Sta di fatto che Mino Pecorelli, il direttore dii “OP”, iscritto alla P2 ,e molto legato a Gelli almeno nel periodo cui ci stiamo riferendo, scatenò una pesantissima campagna diffamatoria nei confronti del Presidente Leone. Campagna che ebbe delle notevoli ripercussioni politiche, anche perché fu proprio sulla base degli articoli di Pecorelli, che la giornalista Camilla Cederna costruì poi la sostanza di un suo libro contro il Presidente della Repubblica di chiara impronta scandalistica. […] Si può legittimamente supporre, da quanto precede, che Gelli volesse costringere il Presidente Leone alle dimissioni, puntando alla successiva elezione di un nuovo Capo dello Stato più ben disposto verso la massoneria e gli interessi politico-finanziari della P2 in particolare. In effetti, la bene orchestrata campagna contro Giovanni Leone, contribuì non poco alla cessazione anticipata del suo mandato presidenziale. Ma Gelli non aveva previsto che le correnti democristiane non avrebbero saputo trovare un candidato comune su cui puntare e che, di conseguenza, il successore di Leone sarebbe stato Sandro Pertini» [9]

La cerimonia delle cariatidi, tratta da Signore e signori, buonanotte, film «collettivo» del 1976, vede all’inaugurazione dell’Anno Pregiudiziario, i massimi rappresentanti dello Stato e della Chiesa tra cui il presidente Giovanni Leone: è alla fine della cerimonia che gli anziani presenti, guidati proprio dal Presidente napoletano, si scatenano in una tarantella sulle note di «Funiculì funiculà».

FONTI: [1] Giorgio Galli, Il partito armato, Kaos edizioni, [2] Giulio Andreotti, Visti da vicino. Terza serie. Personaggi e problemi del mondo contemporaneo, Milano, 1985, pagina 156, [3] Angelo Olivieri, Sette anni di guai: i Presidenti della Repubblica nella satira 1946-1992, pagina 16, [4] Angelo Olivieri, Sette anni di guai: i Presidenti della Repubblica nella satira 1946-1992, pagina 17, [5] Angelo Olivieri, Sette anni di guai: i Presidenti della Repubblica nella satira 1946-1992, pagina 17, [6] Angelo Olivieri, Sette anni di guai: i Presidenti della Repubblica nella satira 1946-1992, pagina 17, [7] Relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, pag.137, [8] Relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, pag. 150, [9] Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, relazione di minoranza Giorgio Pisanò, pag.122