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«L’uomo di oggi? È in crisi». Magli, Bonino, Ginzburg, Lagostena Bassi sulla condizione maschile alla fine degli anni ’70

Redazione Spazio70

Interviste a cura di Antonietta Garzia per «Epoca» (1977)

I latini avevano due termini per definire l’uomo: uno ammirativo, vir, l’altro quasi spregiativo, homo. Col passar dei secoli, il vir s’è perso. Ma sono rimasti l’aggettivo «virile» e il sostantivo «virilità». Virile, secondo il dizionario più diffuso: «di o da uomo, in contrapposto a femminile e bambinesco. Virilità è l’età dell’uomo maturo, quando ha la pienezza delle forze e del vigore d’animo».

Virilità, oggi, è un termine desueto, quasi ambiguo. E tuttavia non si fa che discutere dell’uomo: non è chiaro il ruolo che gli compete. Se è vero che la donna cerca una nuova dimensione, l’uomo sembra aver totalmente smarrito la sua. Qualche settimana fa, su Epoca, sei uomini famosi hanno discusso dell’uomo d’oggi. I punti di osservazione sono diversi. Ida Magli, antropologa, ritiene che l’uomo stia astutamente volgendo a suo favore tutti gli sforzi emancipativi della donna; Augusta Lagostena Bassi, avvocato, ed Emma Bonino, deputato radicale, affermano che il «maschilismo» riaffiora anche tra i progressisti; Natalia Ginzburg, scrittrice, pensa che dovrebbero essere proprio le donne a scoprire come sarebbe giusto e bello che gli uomini fossero.

IDA MAGLI: «LA LIBERAZIONE SESSUALE? È A VANTAGGIO DEL MASCHIO»

Ida Magli

Domanda: «Vuole descriversi l’animale uomo? Com’è cambiato nei millenni? Quali retaggi si porta dietro dalle origini? Ci sono delle costanti?»

Riposta: «Come antropologa culturale, io mi occupo di questo specialissimo animale che è l’uomo, ma solo nel momento in cui “produce cultura” e quindi si distingue dagli altri animali. E veniamo all’oggetto delle vostre domande: l’uomo maschio. Da che cosa è definito? Perché è diverso dalla femmina della specie umana? Non perché ha più muscoli o è più intelligente, ma perché ha creato lui la cultura della sua specie: una cultura maschile; ha dettato lui il significato dell’esistenza. La donna vive nella cultura della specie umana soltanto in modo riflesso e mediato. Perché l’uomo ha attribuito significati all’esistenza attraverso la donna e senza la donna, forse, non avrebbe potuto attribuire significati all’esistenza. Comunque questa è una turbativa grave nel rapporto tra i due sessi, perché vuole dire che la donna è un simbolo, oggetto e non soggetto, quindi non creativa. Altro esempio: in tutte le civiltà del mondo c’è una costante: nelle mitologie dei popoli anche diversissimi e lontani l’idea della donna è avvicinata a quella della morte. Gli uomini, nel senso di specie umana, non hanno mai voluto credere di essere mortali; hanno sempre ritenuto che la morte fosse un disastro soprattutto per colpa di qualcuno; questo qualcuno era regolarmente la donna. Perché? Bisognerebbe tentare di capirlo. In ogni caso il femminismo dovrebbe sforzarsi di creare una nuova cultura in cui i simboli non fossero sempre concentrati sulla donna. E’ chiaro: finché la donna rimarrà struttura portante di questa cultura, nessuna emancipazione sarà vera emancipazione e potrà salvarla.

«E poi ci sono colossali equivoci da smantellare, sempre in relazione a quanto ho detto. Lei mi chiede del maschio, se è cambiato, se si è evoluto, se – per esempio – ha accettato l’emancipazione e la liberazione della donna. C’è chi dice di sì, ma io sono di diverso parere. La liberazione sessuale cui stiamo assistendo non è della donna, è del maschio: il quale raccoglie i frutti della battaglia emancipatoria e si sbarazza di tutto il sistema simbolico ideale della figura femminile. Proprio perché la donna si è “liberata”, l’uomo la userà come oggetto erotico tout-court. Ritengo che il femminismo stia procedendo per strade sbagliate, tutte al servizio del significato dei maschi.

«La società moderna ha capito che la donna vuole e deve essere soggetto. Ma rimane il problema di come riuscirci. La parità dei diritti non cambia niente. Così come il marxismo ha dimostrato di non poter cambiare niente. Infatti non è che una struttura economica possa opprimere la donna e un’altra struttura liberarla se non arriva una cultura nuova a compiere il miracolo. Ma debbono essere prima estirpati tutti i simboli della cultura vecchia».

D: «L’uomo moderno secondo lei è in crisi?»

R: «Io quest’uomo moderno lo vedo in crisi, ma al tempo stesso ne ho paura. Se noi donne non stiamo attente, il maschio, prima o poi, implacabilmente, ricomincerà a tessere la sua tela. E io mi chiedo se sia possibile costruire una nuova cultura senza oggettivare qualcuno».

EMMA BONINO: «L’IMPEGNO POLITICO DELLA MOGLIE? NON LO CONTESTA NESSUNO, PURCHÉ ALLE 20 LA MINESTRA SIA IN TAVOLA»

Emma Bonino

D: «Come ha reagito l’uomo italiano al femminismo?»

R: «La mia opinione è che il movimento femminista ha sicuramente dato uno scossone, sferrando un attacco brutale ma, in definitiva, positivo a una serie di istituti, di modi di pensare, di dire e di vivere che venivano accettati dall’uomo, perché ne era privilegiato, e dalla donna in quanto costretta per rassegnazione cristiana, perché condizionata da un certo tipo di educazione. Qual è il risultato? Non amo teorizzare, né so molto bene dell’uomo italiano in generale, ma so dei compagni, dei colleghi, della gente che frequento: un ambiente a sinistra; orizzontale a sinistra, anche se non dichiaratamente radicale, ma sempre a sinistra. I compagni sono diventati femministi, sì, ma solo superficialmente. Difatti non trovi un compagno che non si dichiari femminista. Poi trovi che di veri femministi ce ne sono pochi. Semmai trovi nei compagni l’ennesima visione paternalistica: le donne fanno bene a ribellarsi, dicono, però dovrebbero essere più organiche, fare manifestazioni più serie, non pretendere troppo, scrivere più documenti, eccetera. Ripropongono, in sostanza, una visione politica tradizionale maschilista limitata al mondo esterno; emancipatoria quando afferma: è giusto, le donne devono lavorare, devono fare politica. Nessuno, però, scende nel personale. Per cui il concetto femminista “il personale è politico”, questi compagni, non li tocca affatto»

D: «L’uomo avrebbe dunque capito poco o niente?»

R: «E’ evidente. Finché gli uomini continueranno a credere che l’emancipazione della donna ha solo aspetti esterni, senza afferrarne il significato profondo, rimarranno in questa confusione»

D: «Che altro tipo di reazioni?»

R: «Dal paternalismo allo sfottò, all’atteggiamento ironico dettato dalla paura. Per cui spesso l’uomo è un emancipatore fuori; poi in casa nei rapporti con la moglie, perpetua lo stesso modello tradizionale. Il difetto grosso è che quest’uomo non mette mai in discussione se stesso. Con una eccezione, direi, per quanto riguarda i giovani, i quali sono più disponibili a fare dell’autocoscienza. Per esempio la sessualità. Non è che gli uomini non ne abbiano mai parlato. Anzi, al caffè non parlano d’altro. Ma come? Come gallismo o come storiella. Non mi risulta che si siano costituiti collettivi di uomini disposti a discutere, o a riflettere, sulla loro sessualità. Insomma, all’uomo sta anche bene che la donna conquisti i propri diritti purché non si tocchi il concetto di liberazione personale: del loro personale. La donna “a sinistra”, cioè emancipata, carina, dinamica, lavoratrice e anche buona moglie in senso tradizionale, va benissimo. L’impegno politico della moglie nell’orario d’ufficio del marito, non lo contesta nessuno; purché alle otto di sera la minestra sia in tavola. Concludendo direi che in tutto questo empito di liberazione, l’uomo stia cercando di ritrovare la soluzione più comoda per lui. La disparità che, oggi, nel nostro Paese non è più giuridica, continua a essere una disparità intellettuale e culturale»

NATALIA GINZBURG: «COME MI APPARE L’UOMO DI OGGI? SMARRITO, COME LA DONNA. SIAMO TUTTI SMARRITI»

Natalia Ginzburg

Domanda: «Che opinione ha dell’uomo di oggi?»

Risposta: «Non ho opinioni generali sull’uomo di oggi. E inoltre, fatalmente, quando si parla degli uomini si finisce col parlare delle donne. Io penso e mi piacerebbe che il mondo fosse fatto in questo modo: che gli uomini fossero molto diversi dalle donne; che gli uomini fossero molto uomini e le donne molto donne. Naturalmente non intendo dire che vorrei donne sottomesse e uomini dominatori»

D: «Cosa intende quando dice: vorrei uomini che fossero veramente uomini?»

R: «E’ difficile spiegarlo. Penso che esista un pensiero virile e un pensiero femminile: non uno forte e l’altro debole, ma differenti. Mi sembra che la virilità sia un modo di affrontare i problemi con più distacco. Penso che gli uomini guardino alle cose più dall’alto e più da lontano. Le donne hanno uno sguardo più sottile e più penetrante. Le donne hanno una sensibilità creativa di natura più vigile ai particolari»

D: «L’uomo di oggi le appare smarrito?»

R: «Sì, smarrito. Ma anche le donne. Penso che siamo tutti smarriti. Nessuno sa più quale sia il suo vero compito. Penso che non sia ben chiaro come oggi le donne debbano essere e non è chiaro come deve essere l’uomo. Perciò si svicola sui valori negativi. Quando si dice “virile”, appare subito un’immagine spregevole; quando si dice femminile, accade la stessa cosa. Bisogna distruggere queste immagini spregevoli. Esse sono generate da idee convenzionali. Bisognerebbe che le donne si inventassero. Che scoprissero qual è il loro profilo nella società che sta diventando diversa. Penso che gli uomini oggi siano sgomenti perché, nell’immagine che di loro si fanno le donne, qualcosa si è trasformato. Essi ignorano quale debba essere, oggi, agli occhi delle donne, la loro parte precisa; e anche le donne ignorano quale debba essere la parte dell’uomo. Così nei rapporti tra i sessi è nata infelicità e inquietudine. Ma forse è il prezzo che bisogna pagare quando il mondo si trasforma»

D: «Parliamo dell’intellettuale italiano. Com’è, a suo giudizio? E’ l’uomo che descrisse Guicciardini, cioè disponibile a tutti i compromessi?»

R: «Non so come sia l’intellettuale italiano. Intanto l’intellettuale italiano non è detto che sia necessariamente uomo. Intellettuali possiamo essere tutti, in qualche occasione, e poi a un tratto smettere di esserlo. Anche un contadino è un intellettuale, quando esprime e comunica il proprio pensiero. Gli intellettuali non sono una classe. Essi sono tanti e tutti diversi tra loro. Se siano disponibili ai compromessi, non lo so»

D: «Lei ha scritto recentemente a proposito del coraggio. Le sembra che oggi l’uomo abbia meno coraggio di quanto avesse un tempo?»

R: «No, non lo so. Mi sembra però che esista oggi la tendenza a gettare del discredito e del disprezzo sulle migliori qualità umane, accostandole a tutto ciò che a queste qualità sembra rassomigliare essendo però di natura spregevole. Il coraggio viene identificato con la violenza. Ma il coraggio non è violenza»

TINA LAGOSTENA BASSI: «IN TEMA DI VIOLENZA E STUPRO, NON C’È QUASI DIFFERENZA TRA UNA SENTENZA DEL 1907 E UNA DEL 1977»

Tina Lagostena Bassi

Domanda: «Qual è l’atteggiamento psicologico del legislatore, giudice togato o popolare, nei confronti della donna d’oggi?”»

Risposta: «Opero in un settore prevalentemente maschile (le donne sono una minoranza insignificante) e ho osservato, in questi ultimi tempi, un cambiamento, una reazione negativa da parte degli uomini. L’uomo accetta la donna anche nel proprio lavoro finché la può guidare, finché può avere nei suoi confronti un atteggiamento paternalistico. Nel momento in cui la donna decide di fare da sola, si scatena inconsciamente un tipo di reazione che li porta a usare un’arma spaventosa, la calunnia. Cito il caso di una mia collega, bravissima, subentrata nel posto di un uomo che non se l’aspettava. Non sapendo che altro dire sul suo conto, è stata messa in giro la chiacchiera che porta jella»

D: «Non crede che questo possa essere un modo di difendersi da una presunta superiorità femminile?»

R: «Gli uomini sono entrati in una crisi profonda da quando le donne hanno deciso che non ci sono differenze di sesso, non esiste più il punto di riferimento simboleggiato dalla donna-madre, angelo del focolare. Prigionieri dei pregiudizi, vedono crollare i miti, sentono franare il terreno sotto i piedi e hanno paura del futuro. Gli uomini si sentono femministi nel momento in cui accettano di lavare i piatti e di sorvegliare i bambini. Questo è il massimo della concessione. Non hanno capito qual è il problema del femminismo; un problema che li lascia del tutto sconcertati. Non è vero nemmeno che gli uomini culturalmente più aperti, per così dire a “sinistra”, la pensino diversamente. L’apertura è soltanto apparente. Se l’uomo ha cultura e sensibilità politica, non può ignorare i problemi delle donne. Ma non si tratta di convinzioni personali, quanto di sensibilità politica»

D: «Intende dire di opportunismo?»

R: «Certo, opportunismo. Il legislatore, il magistrato, il giudice, appartengono alla società. E’ evidente che nella propria funzione si portano dietro l’ideologia, i valori culturali della società. Io ho fatto una ricerca sul problema della violenza e dello stupro, a cominciare dall’inizio del secolo. La cosa che mi ha lasciato scioccata è questa: tra una sentenza del 1907 e una del 1977 non c’è quasi differenza. Il concetto base di queste sentenze è che l’unico bene della donna è la verginità. Perciò se una donna viene stuprata, ha diritto al risarcimento perché non può più arrivare illibata al matrimonio e trovare una degna sistemazione economica. Queste sono sentenza ancora ricorrenti»

D: «Perché gli stupri, oggi, avvengono in gruppo?»

R: «La violenza di gruppo è anche frutto della violenza di questa società: l’uomo da solo si sente debole; in gruppo si sente più forte. E scarica l’enorme violenza che si porta dentro sulla parte debole: la ragazza sola»

D: «Questo può significare che l’uomo, sia pure inconsciamente, ritiene la donna responsabile del suo attuale malessere?»

R: «Direi di sì. La rivolta delle donne sta cambiando i rapporti tra i sessi e la stessa società. Non sappiamo come cambierà e questo fa paura agli uomini».