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Ketty Skerl: perché il Comune di Roma non vuole ricordarla?

Tommaso Nelli

L'omicidio Skerl, ancora senza verità e giustizia, è tornato oggetto di interesse per gli uffici della Procura romana. Una riapertura del caso resa ancora più intricata da un altro mistero: il trafugamento della salma della giovane dal loculo del Verano dove era stata tumulata

Due pesi e due misure per un profondo senso di ingiustizia. Sabato 5 novembre il Comune di Roma ha intitolato il giardino pubblico di piazza Monte Grappa alla memoria di Simonetta Cesaroni, la ventenne romana uccisa da mano ancora ignota il 7 agosto 1990 nell’ufficio di via Poma dove lavorava come segretaria. Un delitto oggi al centro di una nuova inchiesta giudiziaria che punta a dare un nome e un volto all’assassino della giovane donna. Oltre a Paola Cesaroni (sorella di Simonetta), anche l’assessore ai Giardini del Municipio I Stefano Marin, il consigliere dell’assemblea capitolina Antonio Stampete, gli assessori alle Pari Opportunità e alla Cultura del Comune di Roma Monica Lucarelli e Miguel Gotor, hanno partecipato a una cerimonia legittima e condivisibile perché tiene alta l’attenzione sulla piaga sociale del femminicidio.

L’iniziativa ha però evidenziato, senza volerlo, il comportamento contraddittorio sul tema della violenza di genere proprio da parte dell’organo che l’ha deliberata: la Commissione Consultiva di Toponomastica dell’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale. Che il 10 maggio 2022 ha respinto un’analoga proposta di valorizzazione della memoria per un’altra giovane vittima di un uomo ancora sconosciuto: Catherine Skerl, diciassettenne cittadina romana ritrovata strangolata in una vigna di Grottaferrata la mattina del 22 gennaio 1984.

UNA RICHIESTA SUPPORTATA DA CINQUE MOTIVAZIONI

Ketty Skerl

Un omicidio ancora senza verità e giustizia, scivolato all’epoca con troppa fretta e molta noncuranza tra l’umido e la polvere degli archivi giudiziari, ma dal luglio di quest’anno di nuovo in prima linea negli uffici della Procura capitolina. Merito della volontà della cugina di Catherine, Laura Mattei, che con l’ausilio dell’avvocato Paola Chiovelli ha chiesto e ottenuto la riapertura del caso, subito reso ancora più intricato da un altro mistero: il trafugamento della salma della giovane dal loculo del Verano dove era stata tumulata.

Ancor prima di questa macabra scoperta, il 7 marzo la legale aveva presentato istanza alla commissione per intitolare alla memoria di Ketty, come era conosciuta dai più, un luogo pubblico dell’Urbe. Come un’area all’interno del Parco Petroselli, tra i più caldeggiati perché nei pressi dell’abitazione della ragazza, al tempo residente a via Isidoro del Lungo (quartiere di Monte-Sacro).

Una richiesta supportata da cinque motivazioni. Il richiamo alle parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della “Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” del 2021: “Solo con una società pronta a sostenere le vittime, sarà possibile sconfiggere la violenza contro le donne”. L’affetto verso la figura di Ketty da parte dei suoi amici nonostante siano trascorsi quasi quarant’anni dalla sua scomparsa. La brutalità del suo assassinio e la mancata individuazione del suo omicida, che la rendono vittima di un’ingiustizia e al tempo stesso ne giustificano la riconoscibilità presso la memoria della cittadinanza. Infine, la sua partecipazione alla vita pubblica della città tramite la sua militanza politica (era iscritta alla FGCI, la Federazione Giovanile Comunista Italiana) e il lavoro di sua mamma, dipendente del Comune di Roma.

COSA AVREBBE DI DIVERSO L’OMICIDIO SKERL?

Queste motivazioni non hanno però incontrato i favori del Campidoglio che, dopo aver preso nota della proposta, innalzava una cortina di silenzio interrotta soltanto all’alba dell’estate (11 giugno) dalla richiesta di aggiornamenti alla responsabile della Commissione da parte della stessa legale: “In data 30. 03.2022 Lei mi ha comunicato che la istanza era in lavorazione e sottoposta alla commissione esaminatrice. Volevo conoscere se vi erano novità”. Parole dall’effetto detonante, perché stavolta arrivava immediata la reazione da via della Greca: “Gentile avvocato, devo purtroppo informarla che la Commissione Consultiva di Toponomastica, nella riunione del 10 maggio scorso, ha espresso parere sfavorevole all’intitolazione al nome di Catherine Skerl, analogamente a quanto già adottato in casi analoghi di violenza”.

Una risposta fredda e burocratica, ottima per scoperchiare una pentola di interrogativi. A cominciare da quali sarebbero gli altri casi sfavorevoli. Perché Roma racconta tutt’altro per le donne, soprattutto giovani, vittime della violenza maschile. Ad Anna Bracci, per tutti “Annarella”, stuprata e strangolata da ignoti e gettata in fondo a un pozzo nella zona di Torrevecchia il 18 febbraio 1950, è stato intitolato un parco nel quartiere di Primavalle nelle vicinanze della sua abitazione di allora. A Marta Russo, studentessa universitaria uccisa da un colpo di pistola mentre passeggiava nei vialetti della “Sapienza” il 9 maggio 1997, è stata dedicata un’area verde della zona di Labaro.

E allora, rispetto a essi, che cosa avrebbe di differente l’omicidio di Ketty Skerl? Ma soprattutto: quali sarebbero le sue diversità con il delitto Cesaroni? Domande che l’avvocato Chiovelli sottoponeva a Gotor, visto che ricopre anche l’incarico di Presidente della Commissione Consultiva di Toponomastica. L’assessore soltanto l’8 novembre, dopo essere stato nuovamente sollecitato sul punto visto il suo iniziale silenzio, ha risposto che “le vittime di femminicidio appartengono a un tema di tale dimensione da non essere riducibile allo schema amministrativo della toponomastica cittadina. Se eccezioni sono state fatte a questa impostazione, ciò è dovuto all’eccezionale risonanza giudiziaria, mediatica, storiografica e nella sensibilità dell’opinione pubblica romana che casi isolati hanno avuto in passato”.

UNA DISPARITÀ DI TRATTAMENTO SULLA QUALE ABBIAMO CHIESTO LUMI

Parole che perplimono, perché trovano scarsa corrispondenza nei fatti. Partiamo dalla fine: la sensibilità nell’opinione pubblica romana. Ketty Skerl è ancora viva nei ricordi di chi la conobbe. Grazie anche alla sua militanza politica, strinse molte amicizie e conoscenze. E la loro affluenza partecipata e numerosa, attraverso la condivisione di immagini e informazioni in un gruppo Facebook a lei dedicato ed esistente fino a qualche anno fa, è la dimostrazione tangibile di questo perdurante affetto. Passiamo all’atteggiamento dei media. Negli ultimi dieci anni, quando la sua fine è stata collegata in maniera del tutto arbitraria con la scomparsa di Emanuela Orlandi, il suo nome è ritornato ad avere spazio sui giornali. Che hanno dato grande risalto al trafugamento del suo corpo e alla riapertura dell’inchiesta giudiziaria. Riguardo poi all’aspetto storiografico, termine che Gotor dovrebbe ben conoscere visto che è anche professore di Storia Moderna all’Università di Roma “Tor Vergata”, anche se in numero inferiore rispetto al caso Cesaroni (dodici), quello di Skerl è stato trattato in cinque libri, oltretutto citati nell’istanza di intitolazione. E se poi ci limitiamo a una disamina squisitamente cronologica sulla storicizzazione dei fatti, l’uccisione di Ketty avvenne sei anni prima quella di Simonetta.

Per cui l’unica differenza tra i due cold case è la risonanza giudiziaria. Ma esclusivamente in termini di quantità. Il “giallo” di Simonetta è stato al centro di un processo, fin troppo mediatico, nei confronti del suo ex fidanzato, Raniero Busco, fortunatamente assolto in Corte di Appello dopo l’iniziale condanna in primo grado sebbene fin dall’inizio fosse comprensibile la sua innocenza. Questa maggiore rilevanza investigativa della vicenda ha però un valore più diminutivo che aggiuntivo in termini di qualità, perché non si è conclusa con l’individuazione dell’assassino. Un esito analogo al dramma di Catherine che se all’epoca dell’accaduto ricevette meno articoli di giornale rispetto ai fiumi di inchiostro versati fin da subito per via Poma, fu soltanto per un’indagine sommaria e superficiale. Tanto che fu presto archiviata salvo ritornare sulla stampa quando si pensò che il colpevole potesse essere Maurizio Giugliano, il “Lupo dell’Agro Romano”, un giovane uomo affetto da problemi psichiatrici. Un’ipotesi conclusa in un nulla di fatto.

Siccome avremmo voluto saperne di più sia sulle motivazioni fornite dall’assessore Gotor per il rigetto dell’istanza relativa a Skerl, gli abbiamo scritto due mail. Una all’indirizzo presente sulla sua pagina Facebook, l’altra al recapito telematico del suo assessorato. Ma per entrambe non ci è giunta alcuna risposta, per cui non possiamo che rimanere con le nostre titubanze sui parametri di valutazione adottati dalla commissione di cui è presidente. Un silenzio che, come tutti i silenzi, invece di chiarire i dubbi, li amplifica. E con loro anche la disparità di trattamento e il profondo senso di ingiustizia nel constatare che, in termini di cultura della memoria per la violenza di genere, per il Comune di Roma al momento esistono vittime di “Serie-A” e vittime di “Serie-B”.