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«Gli stranieri? Non risolveranno i nostri problemi». Mazzola sulla crisi del calcio italiano di metà anni 70

Redazione Spazio70

La prudenza del campione interista sul possibile arrivo di giocatori stranieri

Qual è la condizione del calcio italiano? Bisogna puntare sui grandi calciatori stranieri? Ad affrontare l’argomento sulle colonne del Corsera, di lunedì 16 febbraio 1976, è Sandro Mazzola al suo esordio come collaboratore del quotidiano: «Stranieri sì, stranieri no. In questi ultimi mesi non si è fatto che parlare di questo come del toccasana di tutti i mali del nostro benedetto calcio. Molte squadre del massimo campionato si sono date da fare inviando emissari in giro per l’Europa e le Americhe per opzionare campioni affermati o giovani promesse. Ma davvero siamo convinti che, di colpo, con l’arrivo di Cruyff o Netzer, i nostri ragazzini che hanno scelto il basket o lo judo o il nuoto o l’atletica o il tennis lascerebbero le palestre e le piscine per correre ad imparare a palleggiare, a dribblare, a lanciare il pallone come quei due fuoriclasse?»

«IL CALCIO? NON STA FACENDO NULLA PER PORTARE I GIOVANI A PRATICARLO»

Sandro Mazzola


«No. E’ impensabile. Quando un ragazzo inizia un’attività sportiva se ne appassiona a tal punto che difficilmente la abbandona. Il calcio paga errori di base comuni a tutti i primi della classe che, una volta arrivati in cima, si godono la propria posizione senza preoccuparsi di migliorarla continuamente. Fino ad alcuni anni fa il ragazzino italiano conosceva esclusivamente il calcio. Gli altri sport erano pochi: quindi, fra una grande massa di praticanti era più facile che uscissero i campioni. Oggi, invece, la massa di inizio si è notevolmente ristretta e quindi il numero dei campioni è minore. Il calcio è colpevole di questa situazione perché non ha fatto nulla per stimolare i giovani a praticarlo. Bisogna ammettere del resto che era abbastanza naturale che ciò succedesse. Il Paese ha cambiato il suo modo di vivere e c’è stata l’espansione di quegli sport che hanno saputo incoraggiare i giovani alla loro disciplina.

E allora? Sì agli stranieri! Si segna poco! Si gioca male! Poi all’improvviso ci si accorge che in 16 giornate sono stati segnati 297 gol. Cosa significa? semplice: il processo evolutivo delle nostre squadre comincia a dare qualche frutto: meno difese chiuse, più sganciamenti delle retrovie, varietà di schemi. D’accordo, i piedi non sono di velluto; ma fino a ieri non invidiavamo gli inglesi anche se stoppavano la palla a dieci metri di distanza? E poi il ritmo di gara consente certe finezze? Un conto è palleggiare da fermo (“lo fa anche mia nonna” gridava l’Herrera prima maniera), un altro è giocare il pallone in corsa e un altro ancora in velocità. Certo, Cruyff sa fare tutto questo come del resto lo sanno fare i Causio e i Claudio Sala o i più giovani Novellino e Viola».

«PER TORNARE A VINCERE, SONO NECESSARIE LE BASI. SOLO DOPO, FORSE, I FUORICLASSE STRANIERI»

Però con Cruyff e Netzer…. L’obiezione è facile, il tasso di classe – sono d’accordo- si alzerebbe di sicuro: qualche ragazzo verrebbe stimolato ad emularli. Ma siamo certi che le nostre società risolverebbero tutti i problemi? Io dico di no. Oggi non basta più un fuoriclasse per risolvere la situazione. Prensiamo il Barcellona. Con Cruyff il primo anno ha spopolato. Adesso ha anche Neeskens, ma le cose non vanno più tanto bene. Prendiamo il Real Madrid che lascia fuori squadra Netzer in trasferta perché tira indietro la gambetta.

Tutto ciò dimostra che uno o due fuoriclasse fanno grande una squadra che lo è già. Può diventare “uno squadrone”, la squadra che ha già una valida preparazione atletica, schemi di gioco e 14 buoni o ottimi calciatori. Altrimenti i campioni rimangono fine a sé stessi. Fanno soltanto spettacolo quando ne hanno voglia o ci riescono. Io a questo punto mi chiedo: cosa pretende il pubblico italiano, lo spettacolo o anche i risultati? Solo rispondendo a questa domanda di può rispondere al dilemma: stranieri sì o stranieri no?

Io, personalmente, sono per il sì ma non credo che aprendo le frontiere avremmo di colpo risolto tutti i nostri problemi. Ammesso di poter importare degli autentici campioni miglioreremmo di sicuro. Per ritornare ad avere cicli di importanti vittorie internazionali, sia a livello di club che di nazionale, dovremmo comunque costruirci le basi tra le mura di casa nostra iniziando dalle squadre giovanili, senza dimenticare che anche le prime squadre non devono essere considerate un traguardo d’arrivo. L’applicazione quotidiana e il sacrificio sono i segreti per un progresso costante, per dare un senso alla carriera di un calciatore professionista».