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L’omicidio di monsignor Romero

Redazione Spazio70

Romero, per le sue posizioni teologiche, avrà sempre un rapporto controverso con Paolo VI, senza peraltro riuscire a ottenere l’appoggio del nuovo papa Giovanni Paolo II

Oscar Arnulfo Romero y Galdámez (Ciudad Barrios, 15 agosto 1917 – San Salvador, 24 marzo 1980) è stato un arcivescovo cattolico salvadoregno. Arcivescovo di San Salvador, capitale di El Salvador, a causa del suo impegno nel denunciare le violenze della dittatura del suo Paese, verrà ucciso da un cecchino durante la celebrazione della messa. Nato, secondo di otto fratelli, da una famiglia di umili origini e manifestato il desiderio di diventare sacerdote, Romero riceve la sua prima formazione nel seminario di San Miguel (1930). I suoi superiori, notando la sua predisposizione agli studi e la docilità alla disciplina ecclesiastica, lo mandano a Roma. Nella città eterna, Romero compie la sua formazione accademica nella Pontificia Università Gregoriana negli anni che vanno dal 1937 al 1942. Ordinato sacerdote il 4 aprile 1942 svolge il suo ministero di parroco per pochi anni: in seguito è segretario di mons. Miguel Angel Machado, vescovo di San Miguel. Romero verrà poi chiamato a essere segretario della Conferenza episcopale di El Salvador. Il 25 aprile 1970 arriva la nomina a vescovo ausiliare di San Salvador ricevendo l’ordinazione episcopale il 21 giugno 1970 da parte di mons. Girolamo Prigione, nunzio apostolico in El Salvador. Romero diventa così il collaboratore principale di mons. Luis Chávez y González, uno dei protagonisti della Seconda conferenza dell’episcopato latinoamericano svoltasi a Medellín nel 1968; rispetto al suo vescovo, tuttavia, Romero rappresenta il lato conservatore della Chiesa sudamericana, fedele alla tradizione romana e non disposto ad aderire alla cosiddetta teologia della liberazione e ai movimenti di base.

La sua fedeltà alla Chiesa più conservatrice gli fa guadagnare rapidamente la stima dell’oligarchia del suo Paese: al contrario i settori più progressisti del clero iniziano a marcare una distanza, in particolare i gesuiti dell’Università Centroamericana di San Salvador. Il 15 ottobre 1974 Romero viene nominato vescovo di Santiago de María, nello stesso Stato di El Salvador. Si tratta di uno dei territori più poveri della nazione: il contatto con la vita reale della popolazione, stremata dalla povertà e oppressa dalla feroce repressione militare che voleva mantenere la classe più povera soggetta allo sfruttamento dei latifondisti locali, provocano nel vescovo una profonda conversione, nelle convinzioni teologiche e nelle scelte pastorali. I fatti di sangue, sempre più frequenti, che colpiscono persone e collaboratori a lui cari, lo spingono alla denuncia delle situazioni di violenza che funestano il piccolo Paese centroamericano. La nomina ad arcivescovo di San Salvador, il 3 febbraio 1977, vede Romero ormai pienamente schierato dalla parte dei poveri e in aperto contrasto con le stesse famiglie che in passato lo avevano sostenuto ritenendolo un difensore dello status quo politico ed economico. Romero rifiuterà l’offerta della costruzione di un palazzo vescovile, scegliendo una piccola stanza nella sagrestia della cappella dell’Ospedale della Divina Provvidenza affianco ai malati terminali di cancro.

LA POPOLARITÀ CRESCENTE E LA MORTE PER MANO DI UN SICARIO

Oscar Romero ritratto in un’opera murale

L’episodio della morte di padre Rutilio Grande, gesuita e suo collaboratore, assassinato appena un mese dopo il suo ingresso in diocesi, diventa l’evento che apre pienamente la sua azione di denuncia profetica che porterà la chiesa salvadoregna a pagare un pesante tributo di sangue. Le forze armate locali arriveranno a occupare le chiese: ad Aguilares, verranno sterminati decine di fedeli presenti.

Nel frattempo le catechesi di Romero, le sue omelie, trasmesse dalla radio diocesana, vengono ascoltate anche all’estero, facendo conoscere a moltissimi il dramma in atto a El Salvador. La popolarità crescente dell’arcivescovo, in tutta l’America latina, e la vicinanza del suo popolo, contrastano con l’opposizione di parte dell’episcopato e soprattutto con la diffidenza del papa Paolo VI.

Il 24 giugno 1978, in udienza da quest’ultimo, Romero denuncia: «Lamento, Santo Padre, che nelle osservazioni presentatemi qui in Roma sulla mia condotta pastorale prevale un’interpretazione negativa che coincide esattamente con le potentissime forze che là, nella mia arcidiocesi, cercano di frenare e screditare il mio sforzo apostolico».

Romero, per le sue posizioni teologiche, avrà sempre un rapporto controverso con Paolo VI, senza peraltro riuscire a ottenere l’appoggio del nuovo papa Giovanni Paolo II. Wojtyla, infatti, pur tenendo conto delle notevoli capacità pastorali di Romero e della sua fedeltà al Vangelo, maturerà un timore e una diffidenza su una eventuale compromissione dell’arcivescovo con ideologie politiche assai diffuse in America Latina, riassimilabili nella cosiddetta Teologia della liberazione.

Il 2 febbraio 1980, a Lovanio, in Belgio, Romero riceverà la laurea honoris causa per il suo impegno in favore della liberazione dei poveri. Il 24 marzo 1980, mentre sta celebrando la Messa nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, Romero viene ucciso da un sicario. Nell’omelia aveva appena ribadito la sua denuncia contro il governo di El Salvador. L’assassino sparerà un solo colpo, sufficiente a recidere la vena giugulare dell’arcivescovo, intento a elevare l’ostia della comunione.

Giovanni Paolo II delegherà il cardinal Ernesto Corripio y Ahumada, arcivescovo di Città del Messico, a presiedere la celebrazione in onore di Romero. Lo stesso Papa, il 6 marzo 1983 si recherà sulla tomba dell’arcivescovo, riconosciuto e venerato già come un santo dal suo popolo, nonostante l’evidente ostilità del governo salvadoregno.