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L’anticamera dell’inferno nell’Argentina del 1973-75. Lo «stregone» Lòpez Rega, l’uomo ombra della repressione

Michele Riccardi Dal Soglio

Se sono numerosi i documenti, i saggi, le testimonianze e gli interventi artistici che narrano l’orrore del Proceso de Reorganizaciòn Nacional, sono invece sempre state molto poche le fonti che raccontano il contesto e gli eventi che precedono e conducono al colpo di Stato militare argentino del 1976

Il periodo che precede il golpe de Estado del 24 Marzo 1976 è sicuramente un momento cruciale per capire la semantica e la fenomenologia della dittatura argentina, ma è ancora oggi uno dei passaggi storici meno conosciuti sia a Buenos Aires che all’estero. Mentre sono numerosi i documenti, i saggi, le testimonianze e gli interventi artistici quali film, romanzi e documentari che narrano l’orrore del Proceso de Reorganizaciòn Nacional, sono invece sempre state molto poche le fonti che raccontano il contesto e gli eventi che precedono e conducono al colpo di Stato militare. In particolar modo in Europa si è formata una sorta di nebbia, provocata dalla scarsità o superficialità delle fonti disponibili, che ha reso per molti anni assai difficile rispondere alla domanda sul che cosa ci sia stato prima della dittatura, forse nel timore recondito che la conoscenza di quanto accaduto possa in qualche modo confondersi con un tentativo di giustificare l’instaurazione di un regime militare.

Il clima di caos, violenza e terrore che precede il golpe del 1976 è probabilmente stato scarsamente raccontato non solo per la sua oggettiva complessità, ma anche perché costringe ad ammettere due realtà che è poco gradito oggi ricordare: la prima è che la deposizione manu militari del governo di Maria Estela Martìnez de Peròn – chiamata Isabelita dai seguaci del peronismo – venne auspicata e poi salutata con un grande respiro di sollievo da una grandissima parte dell’opinione pubblica e delle forze politiche costituzionali. La seconda è che i responsabili dei metodi di repressione che l’Argentina ha conosciuto sotto la dittatura in molti casi sono stati gli stessi che per più di due anni avevano fatto parte dell’entourage del Presidente Peròn – e della sua terza moglie, appunto Isabelita – durante una presidenza costituzionale democraticamente eletta.

E’ altresì giusto ricordare che il golpe del 1976 non interviene solo a «mettere ordine» in un Paese lacerato dal caos economico e dal terrorismo di ogni matrice, ma anche a «riorganizzare» la società, la cultura e l’economia di un Paese che, nonostante la sua collocazione geopolitica e le sue fragilità strutturali, aveva all’epoca indicatori di educazione, reddito e sviluppo culturale pari o superiori a quelli di altri Paesi d’Europa, continente al quale gli argentini avevano sentito di appartenere più che all’America Latina. Una nazione, l’Argentina, che anche in quel biennio di gravissima crisi vede il 55 per cento del suo PIL formato da redditi da salario dipendente provenienti da una piccola e media industria molto diffusa. Il Paese è sede di dieci grandi poli industriali dell’automobile con il relativo indotto; è quasi autonomo dal punto di vista energetico e vanta una produzione artistica la cui qualità è ai più alti livelli mondiali nel cinema, nella letteratura, nella musica e nelle arti figurative.

LA STRAGE DI EZEIZA: HA INIZIO IL REGOLAMENTO DI CONTI

Un giovane segretario della Juventud Sindical Peronista viene issato sul palco d’onore e messo in salvo durante la strage di Ezezia, 20 Giugno 1973

Il momento in cui quella spirale di violenza – iniziata col sequestro e assassinio di Aramburu e che culminerà nel Proceso – acquista una velocità vertiginosa, viene unanimemente ricondotto alla Strage di Ezeiza del 20 Giugno 1973: in questa data il presidente Peròn rientra definitivamente da un esilio durato diciotto anni. Durante questo lungo periodo non solo gli è stato impedito l’ingresso nel Paese, ma il movimento da lui fondato è stato proscritto per legge con un decreto – il 4161 del 1956 – che, prevedendo pesanti sanzioni civili e penali, aveva fin lì proibito anche solo di pronunziare pubblicamente il nome di Peròn. Dopo che il Presidente de facto Alejandro Agustin Lanusse, comandante in capo dell’esercito, decide di mettere fine a un settennato di governo militare, riconsegnando il Paese nelle mani di un governo costituzionale democraticamente eletto, il ritorno del General non è solo consentito ma persino auspicato da parte del suo acerrimo nemico. Lanusse riconosce che soltanto Peròn possiede l’autorità e l’autorevolezza necessarie per riportare ordine in un Paese da tre anni vittima di una escalation di attentati, la maggioranza dei quali ad opera di ERP (firma marxista-leninista) e Montoneros-FAR – coacervo dei gruppi guerriglieri autoproclamatisi eredi politici del peronismo di Peròn ed Evita e propugnatori della visione di un singolare e confuso socialismo nacional.

Nella magnifica area verde che circonda l’aeroporto intercontinentale di Ezeiza si realizza quello che ancora oggi è considerato come il più grande raduno nella storia dell’Argentina, quando una moltitudine calcolata in circa due milioni e mezzo persone (quasi un argentino su dieci) si riversa con ogni mezzo da ogni angolo del Paese per ricevere con tutti gli onori il General. Non mancano intere colonne di giovani e giovanissimi della sinistra peronista – che innalzano striscioni della Juventud Peronista – e degli stessi Montoneros, ormai usciti dalla clandestinità da quando a marzo di quello stesso 1973 il neoeletto presidente Héctor J. Càmpora – fedelissimo di Peròn ed ex-segretario di Evita – ha liberato dalle carceri dozzine di guerriglieri che scontavano la detenzione dopo regolare processo per reati di terrorismo. Sul palco d’onore invece si trovano i dirigenti della burocrazia sindacale peronista e gli esponenti dell’anima oficialista, ossia peronista ortodossa e di destra.

Istantanee scattate durante la sparatoria, strage di Ezeiza del 20 Giugno 1973

Non appena viene diffuso l’annuncio che il Boeing 707 di Aerolìneas Argentinas sta per entrare nello spazio aereo nazionale, si odono spari e scoppi tra la folla. Juan Carlos Taborda – giovanissimo operaio metalmeccanico di Rosario che non è mai stato peronista, ma ha deciso di partecipare all’evento trascinato dall’entusiasmo dei suoi amici – ricorda ancora oggi come, appena giunto in prossimità del palco d’onore, i fischi dei proiettili abbiano iniziato a squarciare l’aria sfiorandogli le orecchie. Taborda vede le persone correre in ogni direzione per buttarsi a terra e cercare riparo o, semplicemente, abbattute dai colpi di arma da fuoco. I proiettili arrivano dalle cime degli alberi che circondano lo spazio verde, da una Peugeot 404 che corre all’impazzata in mezzo alla folla urlante e, soprattutto, dallo stesso palco d’onore: a tendere l’imboscata sono stati proprio i rappresentanti del peronismo di destra, guidati dal colonnello Osinde, da Norma Kennedy e dagli altri organizzatori dell’evento. La volontà è quella di «regolare i conti» con quei giovani zurdos della sinistra peronista, definiti da Peròn «gioventù meravigliosa», che contendono l’eredità spirituale e materiale del General.

Si tratta di una imboscata minuziosamente preparata con armi e cecchini nascosti dall’alba nei punti strategici. Al coordinamento logistico dell’evento vengono fornite ambulanze e autovetture di supporto prive di olio e benzina e con le radio rotte. Viene anche preparata una camera di tortura nel seminterrato dell’Hotel Intercontinental dell’aeroporto ed è qui che diversi giovani manifestanti, afferrati a caso tra la folla e trascinati a bordo di altre Ford Falcon o Peugeot 404, vengono condotti e barbaramente torturati.

Il colonnello Jorge Osinde esulta mostrando il fucile dopo aver fatto aprire il fuoco sulla folla attorno al palco d’onore, durante la Strage di Ezeiza del 20 Giugno 1973

Nel caos scatenatosi muoiono tredici persone, quasi tutti giovanissime, e centinaia sono i feriti gravi: la situazione è talmente fuori controllo che il 707 con a bordo Peròn e la delegazione accompagnatrice viene dirottato verso la base aeronautica di Moròn. Tra i testimoni a bordo dell’aereo non pochi ricordano come il presidente Càmpora, informato della strage dalla radio dei piloti, una volta rientrato nella cabina passeggeri, abbia schiaffeggiato e apostrofato il figlio – esponente della frangia izquierdista del peronismo – credendolo responsabile del pandemonio assieme ai suoi amici Montoneros. Quando Càmpora schiaffeggia il figlio ancora non sa che la responsabilità della strage ricade sui leader dell’ala della destra ortodossa del peronismo e forse non ha ancora realizzato che uno degli organizzatori dell’imboscata in quello stesso momento siede proprio alla spalle di Peròn e di sua moglie Isabelita. E’ lo stregone José Lòpez Rega, destinato di lì a poco a diventare l’uomo ombra della repressione.

IL CERCHIO MAGICO. IL «BRUJO» E ISABELITA

Marìa Estela Martìnez de Peròn, detta Isabelita

Un primo grande smacco viene incassato dai Montoneros e da tutta la gioventù militante nel peronismo di sinistra quando il General, una volta sceso dal Boeing di Aerolìneas, si appresta a dichiarare che la colpa della strage di Ezeiza è esclusivamente loro. Ben presto comincia a essere evidente a un numero sempre più crescente di persone che il vecchio caudillo è sempre più vicino agli esponenti della destra del partito, tradendo così la fiducia di tutta quella fetta di fedelissimi e sostenitori che contano sul suo appoggio per portare avanti la rivoluzione del socialismo nacional.

Eliminato fisicamente quattro anni prima il leader sindacale Augusto Timoteo Vandor, reo di aver propugnato «un peronismo senza Peròn» e quindi conteso la leadership al generale, è il presidente della Confederaciòn General del Trabajo (CGT) José Ignacio Rucci l’erede designato da Peròn alla guida del partito. Il General è ormai vecchio e malato: varie fonti confermano che se fosse stato per lui non sarebbe tornato in Argentina sapendo che avrebbe prima o poi dovuto assumerne nuovamente la presidenza. Ma le pressioni giunte da ambedue le correnti del movimento peronista, la richiesta dei militari di mettere ordine al caos che lo stesso Peròn aveva contribuito ad alimentare e forse la speranza di poter delegare in qualche modo la sua leadership al suo fedelissimo, lo hanno portato a ritornare. Il primo rientro in patria del General in effetti è avvenuto già a dicembre del 1972, quando il DC-8  di Alitalia noleggiato per l’occasione viene all’ultimo momento autorizzato all’atterraggio ad Ezeiza: è qui che in un serie di celeberrime istantanee passate alla storia Rucci riceve l’ex presidente in fondo allo scaletta dell’aereo, riparandolo dalla pioggia con il suo ombrello personale. Queste immagini diventano in breve la dichiarazione pubblica dell’investitura del vecchio generale al suo delfino, che egli stesso considera alla pari del figlio che non ha mai avuto. Questa designazione di fatto scontenta non solo le correnti radicali della sinistra peronista, ma certamente scatena anche delle gelosie tra gli altri aspiranti candidati al ruolo di erede spirituale e fattuale del leader.

Mentre vengono esercitate pressioni sul presidente Càmpora affinché si dimetta e indica nuove elezioni presidenziali nelle quali il Peronismo vincerà sicuramente, è appunto sulla scelta della vicepresidenza che si scatenano aspre lotte intestine in vista di una tutt’altro che improbabile dipartita del vecchio generale durante il suo mandato. Rucci sarebbe il candidato favorito dello stesso Peròn e dei suoi fedelissimi, ma ciò scontenterebbe la corrente di sinistra che da parte sua non può proporre candidati che non siano stati implicati in attività sovversive o che ricevano il consenso di una massa più ampia di elettori. Viene addirittura proposto Ricardo Balbin, leader della Union Civica Radical, in un’ottica di larghe intese che garantisca stabilità al Paese. Alla fine è lo stesso Peròn che, per troncare ogni discussione, designa alla carica di vicepresidente la moglie, ufficialmente già sua erede spirituale. La decisione viene acatada, ossia recepita con il rispetto dovuto al leader, ma buona parte dei fedelissimi peronisti così come una larghissima parte dell’opinione pubblica resta molto perplessa da questa decisione.

Argentina, originaria di La Rioja, ex ballerina di night club panamegni in cui ha conosciuto Peròn durante il suo esilio e figura da sempre oscurata dalla ingombrante memoria della onnipresente Evita, Isabelita non è solo del tutto priva dell’innegabile carisma che aveva contraddistinto la seconda moglie del presidente. E’ ignorante, boriosa, dedita all’esoterismo, appare scialba nonostante le sue eleganti mises, poco dotata intellettualmente e priva di qualsiasi don de gente (il savoir faire degli argentini), ma piena di piccoli tic da sembrare più un personaggio di Gasalla, il grande comico nazionale che interpreta ridicole macchiette femminili en travesti. E’ evidente a tutti come sia inadeguata sotto ogni punto di vista a trovarsi catapultata alla più alta magistratura della repubblica.

Isabelita viene rifiutata quasi subito dalla corrente di sinistra del peronismo e dai Montoneros che la rispettano in quanto consorte del General, ma la fanno oggetto di crudeli motteggi come la variante dello slogan «Si Evita viviera, serìa montonera» che diventa «Si Evita viviera, Isabel serìa copera» (Se Evita fosse ancora viva, Isabel sarebbe entraineuse). Nonostante ciò le elezioni del settembre 1973 vedono la formula elettorale Juan Domingo Peròn-Marìa Estela Martìnez de Peròn vincere con un ineguagliato 62 per cento dei voti. L’entusiasmo è alle stelle: i consensi non vengono solo dai peronisti di sempre, ma da quella larga parte della popolazione che auspica una leadership democratica forte e decisa capace di mettere ordine nel Paese.

Non passa neanche una settimana che un commando terroristico crivella di colpi, davanti alla sua abitazione, il delfino José Ignacio Rucci in un’azione spietata e precisa che verrà ribattezzata Operazione Traviata, come i celebri cracker nazionali tutti bucherellati. Peròn, già indebolito dalla malattia, accusa un colpo durissimo: non solo si reca per ben tre volte in un mattino alla camera ardente in lacrime (quelle che non ha mostrato in pubblico neanche al funerale di Evita), ma dichiara sconsolato: «Mi hanno tagliato le gambe». Si saprà solo più avanti con certezza che l’azione è firmata dalla cupola dei Montoneros, sia come vendetta per la strage di Ezeiza sia per avere «un cadavere da sbattere sul tavolo delle trattative» nella negoziazione con Peròn. In realtà chi esulta non è solo la sinistra peronista, ma anche certi esponenti dell’estrema destra del movimento e uno in particolare: José Lopez Rega, el Brujo, ossia «lo stregone».

LA TRIPLE A

José Lopez Rega, el Brujo

Personaggio infido e servile, cantante di tango men che mediocre e con un passato di poliziotto federale di piantone alla residenza di Eva Peròn, per cui ha sempre dichiarato una autentica venerazione, José Lòpez Rega è dedito all’esoterismo fai-da-te e alla propaganda politica anticomunista che fonde in una delirante visione spirituale secondo la quale Peròn stesso incarnerebbe la guida per la liberazione dei popoli non allineati in via di sviluppo di America, Africa ed Asia. Sarebbe questo il primo acronimo della tristemente nota AAA, in realtà Alianza Anticomunista Argentina, l’organizzazione paramilitare di estrema destra che lo stesso Lopez Rega costituisce appena rientrato in Argentina al seguito di Peròn.

Anni prima, dopo aver incantato Isabelita durante una sua visita in Argentina, Lopecito – come lo chiama tra l’affettuoso e il sardonico lo stesso Peròn – la segue a Madrid dove con costanza e determinazione riesce a entrare nella residenza di Puerta de Hierro per diventare dapprima factotum, poi maggiordomo e infine segretario dell’ex-presidente e di sua moglie, che lo difende a spada tratta e ne impone la presenza anche nelle riunioni più confidenziali. A Puerta de Hierro Lopez Rega riesce a intessere da subito speciali relazioni non solo con gli esponenti della destra peronista più oltranzista, ma anche con oscuri finanziatori che amministrano il denaro e le relazioni che girano attorno al General, quali Giancarlo Elia Valori e Licio Gelli. Piano piano Lopez Rega, inviso ai fedelissimi storici di Peròn, li allontana e decide chi, quando e per quanto tempo può avvicinare il generale. E’ lui a cercare di persuadere Peròn al momento della restituzione della salma di Evita che questa è in realtà una salma posticcia, salvo poi organizzare ridicoli rituali esoterici per trasferire il carisma e il fuoco spirituale della defunta nel corpo di Isabelita durante il sonno di quest’ultima: esperimento che come appare evidente a tutti non ha dato alcun risultato.

Una volta eletto per la terza volta presidente, Peròn lo designa ministro dello Sviluppo sociale; è dai sotterranei delle dipendenze dello stesso ministero, sito proprio davanti alla Casa Rosada, che cominciano a uscire a ogni ora del giorno e della notte Ford Falcon e Rambler Ambassador scure, talvolta prive di targa, a gruppi di due o tre e con uomini pesantemente armati a bordo. La AAA, o Triple A come diviene subito nota, inizia così a seminare il terrore in Argentina – mentre Peròn è ancora vivo e lascia fare. Attentati, sequestri e omicidi sconvolgono il Paese, secondo una serie che tocca l’apice dopo la morte di Peròn sopraggiunta nel luglio 1974. Mentre l’intera Argentina è immersa nel cordoglio per la morte dell’anziano caudillo, si moltiplicano le vittime del terrorismo della Triple A.

Un’immagine iconica in Argentina, un soldato piange durante al passaggio del feretro di Peròn. Luglio 1974

Tra di esse ci sono i membri di Montoneros, pubblicamente sconfessati con durezza e diseredati dallo stesso Peròn, colpevoli di aver contestato a suon di slogan la presenza massiva di esponenti di estrema destra nel governo che avrebbe dovuto essere rivoluzionario«Risulta ora che alcuni stupidi imberbi credono di aver più meriti di chi durante vent’anni ha lottato per il Peronismo», tuona Peròn mentre metà della Plaza de Mayo si svuota in diretta tv. Vengono sequestrati, torturati e assassinati dalla Triple A anche avvocati, sindacalisti, intellettuali, giornalisti, scrittori, docenti universitari come Silvio Frondizi – fratello dell’ex presidente Arturo – nonché preti «terzomondisti» come il celebre e amato Padre Mujica. La Triple A di Lòpez Rega pubblica inoltre liste di proscrizione che indicano chiaramente nomi e cognomi di intellettuali, cantanti, artisti, attori che devono fuggire dal Paese entro settantadue ore se non vogliono essere uccisi; vengono minacciati per «immoralità» il regista Daniel Tinayre e l’attrice Susana Giménez, allora compagna di Carlos Monzòn; devono abbandonare il Paese anche scrittori del calibro di Manuel Puig, cantanti come Nacha Guevara, attori come Norman Brisky, Hector Alterio e Norma Aleandro, giornalisti come Abrasha Rothenberg, padre dell’attrice Cecilia Roth. La Triple A agisce impunemente e con la copertura del Commissario General della Polizia Federale Alberto Villar, precedentemente destituito dal presidente Càmpora per gli abusi commessi durante il suo mandato, ma ricollocato dallo stesso Lòpez Rega: anche le azioni della guerriglia si fanno sentire in un’escalation sempre più violente e lo stesso Villar viene ucciso nel novembre 1974.

Non c’è luogo pubblico o privato, non ci sono privati cittadini o personaggi pubblici che siano al sicuro dalle azioni di una o dell’altra fazione peronista. Gli attentati, le azioni di guerriglia e gli omicidi politici nel biennio ’73-’75 si contano nell’ordine delle migliaia; mentre la Triple A instaura il metodo della desapariciòn forzada che poi verrà trasmesso e adottato dai militari della Junta del 1976, Montoner-FAR ed ERP si producono in una serie di sequestri estorsivi, omicidi, attentati, assalti armati a caserme, dirottamenti di aerei di linea  per arrivare fino all’abbattimento al decollo di un C-130 della Fuerza Aerea dedicato al trasporto del contingente  di leva impegnato nell’Operativo Independencia, la campagna di «annichilimento» della guerriglia armata e della sovversione in quel momento fortissime nella provincia di Tucumàn. Il provvedimento, firmato dalla stessa presidente Isabel Peròn, è un tentativo di reprimere la guerriglia delle sinistre peroniste o marxiste, ma senza aver mai mosso un dito contro l’operato della Triple A di Lòpez Rega di cui è succube e il quale, invece, di dita ne muove cinque nei confronti del capo dello Stato: è infatti verso il culmine della crisi economica esplosa nel 1975 che Lòpez Rega colpisce con un manrovescio capace di mandare quasi gambe all’aria la presidente che, congelata dal panico, non vuole affacciarsi davanti alla folla di lavoratori e sindacalisti in sciopero nella Plaza de Mayo.

Il comunicato della Triple A che intima alla cantante Mercedes Sosa di lasciare il paese se non vuole essere uccisa

In quell’occasione è il comandante dei Granaderos Julio Sosa Molina – omologo dei nostri corazzieri – a puntare la propria pistola alla tempia del ministro per aver aggredito la presidente in carica. Sosa Molina chiede alla stessa se deve fare fuoco, ma è proprio Isabel che, trattenendo le lacrime, chiede di risparmiare Lopecito; anzi lo ringrazia perché così facendo la aiuta a ritornare in sé nei momenti di indecisione. Se Lòpez Rega non viene eliminato fisicamente in questa occasione, lo sarà politicamente poche settimane più tardi quando uno storico sciopero generale paralizzerà ogni angolo della nazione per quarantotto ore. La protesta è contro il piano economico conosciuto come Rodrigazo – dal nome del neoministro dell’Economia Celestino Rodrigo – che in pochi giorni ha portato il Paese sull’orlo del tracollo socioeconomico e fatto scoprire all’Argentina, dove non c’era mai stata penuria di cibo neanche per le classi più umili, che cosa siano le code per il pane e la carne e la mancanza di ogni genere di prima necessità. Sotto la pressione dell’opinione pubblica sempre più scontenta e dei capi militari Lopez Rega lascerà il Paese per tornarci solo dodici anni dopo, sotto processo e ormai morente.

L’Argentina si avvia inesorabilmente verso il baratro nel quale precipiterà una volta per tutte il 24 marzo del 1976 quando, con un prematuro quanto ingiustificato respiro di sollievo, la stragrande maggioranza degli argentini apprenderà dell’arresto della presidente Isabel Peròn e dell’ennesimo – ma stavolta molto diverso – colpo di Stato.

ADIÒS SUI GENERIS

Locandina del film «La Tregua» di Sergio Renàn (1974), candidato all’Oscar come miglior film straniero

Nonostante il biennio 1973-1975 si contraddistingua per la violenza politica e il caos che essa determina, l’Argentina è in questi anni forse all’apice di un percorso artistico-culturale estremamente florido, iniziato nei Sessanta e proseguito nonostante il governo militare del periodo 1966-1973.  I riconoscimenti internazionali non mancano di certo, ma non si limitano ai grandi nomi della letteratura come Borges e al più giovane Cortàzar oppure agli scienziati come René Favaloro, inventore del primo bypass coronarico.

Per esempio il cinema argentino si impone con una produzione di qualità sempre migliore che si innalza sopra alle pur ben confezionate commedie con la bimba prodigio Andrea del Boca e o ai film di tango e malavita. In questo biennio viene proiettata L’Ora dei Forni di Pino Solanas (1968), pellicola proibita durante il precedente regime per i suoi contenuti politici (la repressione politica in tutte le sue espressioni e latitudini) ma già nota e apprezzata nei circuiti europei. Non mancano altri film storici con una forte connotazione politica e contenuti scottanti come Juan Moreira di Leonardo Favio (1973) e La Patagonia Rebelde di Héctor Olivera (1974)  che affronta il tema della repressione delle lotte anarchiche di cinquant’anni prima represse nel sangue dall’esercito. Il film ha enorme successo, ma viene successivamente proibita dal governo di Isabel Peròn fortemente condizionato dai militari.

Nel solco della tradizione tanguera, tradizionalmente declinato al maschile, Susana Rinaldi interpreta in Solamente Ella (1975) una cantante di tango dal carattere indomito e indipendente sullo sfondo di una Buenos Aires corrotta e violenta. La Tregua (1974) diretta da Sergio Renàn con la partecipazione di Hector Alterio e Norma Aleandro, e tratta dal celebre romanzo di Mario Benedetti, è invece candidata all’Oscar come miglior film straniero: è la prima volta nella storia per un film argentino, mentre l’Oscar arriverà nel 1986 per il meraviglioso La Storia Ufficiale, che vede riuniti di nuovo i due attori. Il maggior successo dell’anno 1974 è registrato da La Mary, ultima e forse miglior pellicola di Daniel Tinayre, che vede Carlos Monzòn e Susana Giménez innamorarsi sul set e nella vita. Leopoldo Torre Nilsson invece, già reduce da collaborazioni internazionali con attori di élite come Artur Hill e Geraldine Page, firma la regia di Boquitas Pintadas, crudele e amara commedia tratta dall’omonimo romanzo epistolare di Manuel Puig.

Questo scrittore, autore di altri grandissimi successi come The Buenos Aires Affair e Il Bacio della Donna Ragno ha in comune con gli attori e i registi dei film citati il fatto di leggere il proprio nome pubblicato nelle terribili liste di proscrizione della Triple A e si vede costretto, minacciato come gli altri, a riparare all’estero per non essere ucciso: paradossalmente l’editrice engagée che pubblica i suoi libri in Francia rifiuterà assieme ad altri editori di pubblicare proprio il Bacio della Donna Ragno – romanzo che tocca proprio il tema della repressione e dell’impegno politico – trovando incompatibile con gli ideali leninisti rivoluzionari l’ammorbidimento sentimentale del guerrigliero Valentìn verso il suo compagno di cella, la «checca» Molina. Puig è proscritto e censurato pertanto in Argentina quanto in Francia.

Nito Mestre e Charlie Garcìa, durante il concerto d’addio dei «Sui Generis»

Anche la musica argentina raggiunge livelli molto interessanti: non solo ottengono un enorme successo internazionale compositori di colonne sonore come Luìs Maria Serra e Lalo Schifrin, ma lo stesso Astor Piazzolla reincide i solchi della memoria collettiva del tango in Argentina e nel mondo intero. Meno conosciuto in Europa, ma di qualità per niente inferiore a quello statunitense e britannico è invece il rock nacional che vive il suo periodo di auge massimo proprio a metà degli anni Settanta. Il rock argentino ha una enorme popolarità in patria e nel continente e già nel 1970 si sta per organizzare un megaconcerto ispirato all’esperienza di Woodstock: i militari al governo all’epoca all’ultimo momento chiedono la cancellazione della kermesse non tanto per motivi ideologici, ma perché spaventati dall’incredibile e difficilmente gestibile afflusso di pubblico.

Mentre alle sonorità psichedeliche e del progressive rock si aggiungono ormai le primissime venature di metal e punk, sono tantissime le note e i testi che colorano i sogni di un’intera generazione di giovanissimi, suonati da band come Pescado Rabioso, Aquelarre e Tòrax nati dallo scioglimento dello storico gruppo rock Almendra, mentre la band Sui Generis formata da Charly Garcìa e Nito Mestre all’apice del successo si scioglie, regalando a i suoi fan un ultimo, glorioso concerto nel settembre 1975.

La generazione fremente di idealismo – immortalata in un bellissimo documentario dell’epoca – che si riunisce pacificamente nelle ore del crepuscolo davanti al palco del Luna Park di Buenos Aires per commuoversi mentre assiste all’ingresso nell’immortalità dei Sui Generis, è l’altra faccia di quella gioventù riunitasi due anni prima davanti al palco d’onore di Ezeiza per essere crivellata, a tradimento, dai colpi d’arma da fuoco.

Di lì a pochi mesi quel crepuscolo si trasformerà nella notte più lunga mai conosciuta dall’Argentina, notte nella cui oscurità moltissimi di questi giovani scompariranno per sempre.