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«Gli implicati nelle stragi? Non sarebbero usciti vivi dal passeggio». Mario Tuti parla su piazza Fontana

Redazione Spazio70

«Esercitavamo la violenza e la violenza la subivamo. Per un reato così grave, così infamante, così usato provocatoriamente contro di noi, se qualcuno si fosse lasciato coinvolgere in questo avrebbe pagato duramente»

Milano, 29 gennaio 2001. In stato di detenzione dal 1975 per il duplice omicidio degli agenti di polizia Leonardo Falco e Giovanni Ceravolo e per il tentato omicidio dell’agente Arturo Rocca, il neofascista Mario Tuti, corresponsabile anche dell’omicidio del neofascista Ermanno Buzzi presso il carcere di Novara nel 1981 e dell’eclatante rivolta di Porto Azzurro nel 1987, in qualità di testimone risponde alle domande dell’avvocato Ludovico Mangiarotti, difensore dell’imputato Delfo Zorzi.

— Signor Tuti, ci può dire in estrema sintesi quale era all’epoca, le parlo degli anni ’69 -’70, la sua collocazione politica?

«Beh nel 1969-70 forse ero addirittura ancora iscritto al Movimento Sociale Italiano».

— E successivamente?

«Successivamente sono uscito dal Movimento Sociale e, come sa, sono stato anche condannato per fatti eversivi».

— Lei ha aderito o ha fatto parte di qualche organizzazione di estrema destra?

«Io sono stato condannato anche per ricostituzione del Partito fascista ma non ho mai aderito ad associazioni di estrema destra come Ordine Nuovo o Avanguardia Nazionale. Anche politicamente io sono sempre stato un propugnatore di quello che è stato poi definito “lo spontaneismo armato”. Quindi questo era in un certo senso in antitesi ad un inserimento organico in una qualche organizzazione come quelle che ho già menzionato».

— Quindi lei non ha mai fatto parte, per esempio, del Centro Studi Ordine Nuovo?

«No».

— Del Movimento Politico Ordine Nuovo?

«No».

— Lei è a conoscenza del fatto che alla fine del 1969 il Centro Studi Ordine Nuovo, o una parte del centro studi, è rientrato nel Movimento Sociale?

«Beh, sì. Quelli erano i fatti delle cronache».

— A parte la conoscenza per cronache, lei ne ha una conoscenza diretta?

«Conoscenza diretta no, perché, tra l’altro, mi permetta anche di spiegare. Vede, io stavo ad Empoli, un paese della provincia toscana. Praticamente di fascisti saremmo stati in due, quindi le questioni che potevano interessare queste organizzazioni che erano presenti in altre parti del territorio, non è che ci toccassero come esperienza diretta».

— Ci può per cortesia riassumere, anche se mi rendo conto che sarà molto difficile, le carceri nelle quali lei è stato detenuto?

«Beh, forse non sono neanche troppi considerando 25 anni. Comunque inizialmente sono stato detenuto a Volterra, poi Porto Azzurro, poi quando nel 1977 furono creati i carceri speciali sono stato a Favignana, Nuoro, Novara, Trani. Poi dopo ho iniziato il periodo dei cosiddetti braccetti dell’articolo 90 aggravato, quindi ho fatto Ariano irpino, Foggia, Cuneo, poi di nuovo Porto Azzurro e poi Voghera e Livorno».

«LE STRAGI? ERO INTERESSATO PERCHÉ LE HO SEMPRE INTERPRETATE COME UNA MANOVRA VERSO DI NOI»

— Senta, lei ha conosciuto il signor Edgardo Bonazzi?

«Sì».

— Lo ha conosciuto prima di entrare in carcere?

«L’ho conosciuto a Porto Azzurro. Doveva essere il 1976-77».

— Il signor Nico Azzi?

«Nico Azzi l’ho conosciuto successivamente, a Nuoro, in carcere ovviamente».

— Il signor Concutelli?

«Concutelli anche lui a Porto Azzurro. Dopo il suo arresto, quindi nel 1977».

— Il signor Giannettini?

«Giannettini a Nuoro».

— Tutte conoscenze carcerarie?

«Tutte conoscenze carcerarie».

— Senta, lei ha mai ricevuto delle confidenze o ha assistito a delle conversazioni all’interno del carcere, nelle quali si parlava dell’attentato alla Banca dell’Agricoltura, del coinvolgimento di taluni soggetti?

«Ne abbiamo certo parlato ma proprio per escludere il coinvolgimento nell’attentato di persone appunto come Freda o come lo stesso Giannettini che era con noi».

— In modo particolare io le domando: nel carcere di Nuoro lei era detenuto insieme a…

«C’era Bonazzi, c’era Azzi, c’era Giannettini…».

— Ecco, in questo contesto, il signor Azzi le ha mai fatto una confidenza, o l’ha fatta ad altri soggetti, nei quali chiamava direttamente in causa quali possibili autori della strage delle persone?

«No perché io ad esempio ero già stato imputato per l’attentato dell’Italicus, del quale ero assolutamente innocente, come è stato poi stabilito anche da una sentenza definitiva. Ero interessato alla questione delle stragi, perché l’ho sempre interpretata come una manovra contro di noi. Volevo anche capire se questa manovra avesse potuto magari coinvolgere qualcuno che per indennità o per ingenuità si fosse lasciato strumentalizzare. Quindi la questione delle stragi era una questione che ci stava a cuore a tutti. Stava a cuore a me in particolare, su questo ho sempre cercato di arrivare a capire come stessero le cose. Se fosse risultato che Giannettini era implicato nella strage di Piazza Fontana pensa che sarebbe uscito vivo dal passeggio?».

— Beh, io francamente non glielo so dire.

«Ecco, glielo dico io, non sarebbe uscito vivo dal passeggio. In quel momento erano tempi… quelli che sono stati poi definiti “anni di piombo”. Esercitavamo la violenza e la violenza la subivamo. Per un reato così grave, così infamante, così usato provocatoriamente contro di noi, se qualcuno si fosse lasciato coinvolgere in questo avrebbe pagato duramente. E avremmo anche rivendicato l’azione, io ho sempre rivendicato tutte le azioni che ho compiuto, spiegandone i motivi».

«IL NOME DI ZORZI? L’HO SENTITO PER LA PRIMA VOLTA SEI O SETTE ANNI FA»

— Senta, nel carcere di Nuoro lei con chi era in cella?

«Con Fumagalli e poi per un periodo anche con Bonazzi».

— Lei ha mai saputo direttamente dal signor Bonazzi che uno dei possibili autori materiali della strage di Piazza Fontana fosse il signor Delfo Zorzi? Bonazzi le ha mai detto qualcosa del genere?

«Addirittura un nome come Zorzi io ritengo di averlo appreso quando sono stato interrogato sei o sette anni fa dal procuratore, la dottoressa Pradella».

— Ha mai sentito una conversazione nella quale Nico Azzi confidasse del coinvolgimento diretto del dottor Delfo Zorzi o del signor Rognoni nella strage di Piazza Fontana?

«Assolutamente non l’ho mai sentito. Aggiungo anche che in quel momento tra me e Edgardo Bonazzi c’era una notevole comunità d’intenti, di visioni, quindi è impensabile che Bonazzi in quel momento potesse aver saputo e non ne parlasse con me. Anche dicendo magari: “mi hanno detto questo e non ci credo”. Oppure: “mi hanno detto questo, come lo valutiamo? che credibilità può avere?”».

— Lei ha collaborato con la rivista Quex?

«Sì».

— Senta, le ultime due domande. Ci riferivamo al periodo di detenzione presso il carcere di Nuoro. Confidenze, informazioni, relativamente al coinvolgimento del dottor Delfo Zorzi, le ha mai sapute in assoluto?

«Le ripeto che Delfo Zorzi è un nome che ho sentito sicuramente per la prima volta quando sono stato interrogato. Non escludo che magari possa averlo visto in qualche articolo di giornale se ne aveva già parlato ma è un nome che a me non diceva niente. la prima volta che ho fatto un po’ mente locale su questi nomi è quando è stata riaperta di nuovo l’inchiesta. Siccome lei sta parlando di Quex, su Quex a seguito dell’attentato alla stazione di Bologna nell’agosto del 1980 pubblicammo un articolo, non mi ricordo se a firma mia o di Bonazzi o solo di Bonazzi, in cui si analizzava proprio la questione delle stragi e si diceva che nulla ci risultava. Tra l’altro all’epoca Quex era ancora una rivista che quando parlava male di qualcuno, questo poi subiva grosse conseguenze. Quindi era una rivista nella quale noi eravamo impegnati, nella quale sapevamo quello a cui andavamo incontro. Non ci saremmo permessi di dire una cosa per un’altra».

— Lei ha mai saputo di un coinvolgimento del signor Giannettini o dell’appartenenza del signor Giannettini ai servizi informativi o servizi segreti italiani?

«Certo, lo sapevamo perché era apparso sulla stampa ma io per primo una volta ho preso in giro Giannettini dicendo: “Tu sei nei servizi. Da quello che si legge nelle pubblicazioni o anche nei romanzi di 007, quando un agente dei servizi è bruciato ci son due ipotesi: o viene soppresso o viene mandato in un posto talmente lontano da dargli la possibilità di costruirsi una vita. A te t’hanno mandato a Parigi e ti hanno dato duecentomila lire. Eri proprio l’agente Z, cioè l’ultimo”».

«SULLE STRAGI, A NOVARA NELL’AUTUNNO 1980 ABBIAMO PARLATO TUTTI NOI PROVENIENTI DALL’AREA NAZIONALRIVOLUZIONARIA»

— La ringrazio. Non ho altre domande.

«Però forse io posso dire una cosa che può interessare la Corte, a conferma anche di quello che ho detto fino ad ora. Noi ci siamo trovati, doveva essere l’autunno del 1980, nel carcere di Novara. Eravamo tutti quelli che erano stati prima a Nuoro, quindi Bonazzi, Azzi, Concutelli è arrivato dopo perché era stato spostato. C’erano anche altri ragazzi milanesi, c’era il gruppo dei romani: Calore, Pedretti, eccetera che erano stati i primi indagati ed erano già imputati per la strage di Bologna. E poi c’erano i miei coimputati del gruppo toscano, Franci e Malentacchi. Quindi era la prima volta che si trovavano in carcere i gruppi provenienti da varie storie, ambienti, esperienze. Siccome erano gli anni in cui ancora credevamo che si potesse dare una risposta alle provocazioni che erano state montate contro di noi, ci siamo messi insieme a discutere proprio della questione delle stragi. Ripetendo praticamente quello che era il nostro proposito, cercare di capire cos’era successo, come erano andate le cose, come era possibile che fossimo indagati noi toscani per l’Italicus, che fossero imputati questi ragazzi romani per la strage di Bologna. Tra l’altro c’era anche qualcuno che era stato indagato o imputato per Piazza della Loggia. Si è detto: “ora dobbiamo dire la verità! dobbiamo anche capire se qualcuno di noi è stato strumentalizzato. Se è stato strumentalizzato in buona fede si assumerà le responsabilità di ciò che ha fatto, si prenderà la colpa del misfatto in cui si è fatto trascinare, dovrà confessarlo, spiegando anche i motivi e i moventi per far scagionare l’ambiente nazionalrivoluzionario da queste infami accuse”. E su questo siamo stati tutti d’accordo, tutti presenti e nulla è stato detto, che potesse dire: “a me risulta che tizio ha fatto questo o quest’altro”. Preciso che quelli erano anni feroci, erano anni duri. Abbiamo giustiziato delle persone in carcere. Quindi nessuno si sarebbe potuto permettere, in una situazione del genere, di mentire, di travisare i fatti o di tacere qualcosa, pena una sanzione estrema. Alcuni anni dopo io ero stato in isolamento con le restrizioni dell’articolo 90 aggravato e praticamente escludevano dalla corrispondenza, escludevano dai colloqui, non avevamo neanche i giornali o la televisione. Un giorno ero a Foggia, doveva essere l’anno 1983-84. Sono stato chiamato nel carcere di Ascoli Piceno per un confronto. Un confronto che, come ho già spiegato in altre aule, fu molto strano. Sono entrati il procuratore Vigna e il giudice istruttore Minna dicendomi che ero lì per un interrogatorio. Ho detto: “Se è un interrogatorio esigo la presenza del mio avvocato”. Hanno detto: “No, non è un vero interrogatorio, è un confronto con Sergio Calore, quindi non è prescritta la presenza dell’avvocato difensore”. È arrivato Calore, ci siamo salutati cordialmente con stima e amicizia, come sempre, e Vigna e Minna se ne sono andati. Ora, io non è che sia uno stupido. Che razza di confronto viene fatto? Il confronto generalmente si fa quando due persone sostengono due cose diverse, magari entrambe in buona fede, magari entrambe per la stessa finalità. Se queste due persone vengono lasciate insieme da sole, le si dà quasi l’opportunità, se queste persone sono della stessa idea, di mettersi d’accordo. Minna e Vigna se ne sono andati. Siamo rimasti io e Calore, ci siamo guardati, si è parlato un po’ dei vari detenuti come Bonazzi e gli altri che in quel momento erano in questo carcere di Ascoli. Ho dato un’occhiata anche nei cassetti per vedere se c’era un registratore. Poi ci siamo messi a parlare di cose normali, di galera. Quando è tornato, dopo una mezz’ora abbondante, il procuratore Vigna con il giudice istruttore Minna, hanno iniziato un verbale di confronto sulle stragi, perché io come ho sempre sostenuto, sono ben felice se la verità delle stragi viene alla luce, perché è sempre stato un nostro interesse. Le stragi erano il nostro problema. È iniziato questo confronto e Vigna mi ha detto: “Lei cosa ne pensa delle stragi?”. E io ho detto quello che sto dicendo a voi ed è lo stesso che ha detto anche Calore, cioè che a Novara avevamo parlato esponenti di tutti i gruppi, esponenti dei vari ambiti territoriali, e nulla, nessuno aveva potuto portare elementi che indicassero responsabilità di alcuni di noi. E firmiamo questo verbale io e Calore. Dopo poco, leggendo un articolo sul giornale, perché nel frattempo avevano leggermente attenuato il regime dei braccetti, vengo a sapere che Calore è pentito e che era già pentito quando ha fatto questo confronto con me. Ed io su questo sono andato anche a deporre, doveva essere il 1984-85, a Bari o a Brindisi, al processo che vedeva coinvolto Freda.
Quindi, per quello che io posso dire in piena verità, in piena coscienza, a me nessuno ha mai detto: “Guarda, so o mi risulta” dandomi degli elementi che o Freda per Piazza Fontana o Fioravanti e la Mambro per Bologna o altri per piazza della Loggia, fossero implicati».