logo Spazio70

Benvenuto sul nuovo sito di Spazio 70

Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
Buona lettura e non dimenticare di iscriverti sulla «newsletter» posta alla base del sito. Lasciando un tuo recapito mail avrai la possibilità di essere costantemente informato sulle novità di questo sito e i progetti editoriali di Spazio 70.

Buona Navigazione!

Quando Raffaele Cutolo ferì due carabinieri dopo un lungo inseguimento (1971)

Redazione Spazio70

La sparatoria dopo una folle corsa a bordo di una Giulia 1600 targata Verona

Raffaele Cutolo, lo storico «boss» della Nuova Camorra Organizzata deceduto il 17 febbraio 2021 presso il carcere di Parma, vanta un primato italiano tutt’altro che invidiabile: 57 anni trascorsi in galera (39 dei quali a regime di carcere duro). Un’intera esistenza tra le sbarre, dal periodo dell’ambizioso tentativo di ascesa negli anni ’60 alla fase di massimo potere criminale, in una cella da Hotel a cinque stelle, tra gli anni ’70 e i primissimi ’80, fino alla rovinosa caduta del 1982 con l’isolamento all’Asinara voluto da Sandro Pertini e la sopraffazione militare, da parte della Nuova Famiglia, che in Campania determina la totale disfatta di quel folle sogno verticistico chiamato NCO.

UNA NARRAZIONE TOTALMENTE FALSA

La lunga storia carceraria del futuro camorrista di Ottaviano ha inizio nel febbraio del 1963. Raffaele Cutolo, figlio di una coppia di agricoltori, ha 22 anni ed è soltanto un giovane noleggiatore abusivo di automobili. È domenica, e come da consuetudine, le strade del paese vesuviano sono gremite di giovani abbigliati a festa. In compagnia dell’amico Armando Visone, il Cutolo sta percorrendo l’affollato Corso Umberto I al volante di una Fiat 1.100. Esistono versioni contrastanti in merito all’esatta dinamica dell’incidente che sta per avere luogo lungo quella strada e gli stessi quotidiani dell’epoca si contraddicono su più punti. L’unica cosa certa è che per anni (su libri, riviste, siti web e addirittura enciclopedie) ha avuto la meglio una narrazione totalmente falsa. Tutti noi abbiamo visto il film Il camorrista, di Giuseppe Tornatore. Non tutti però hanno prestato attenzione alla didascalia che compare nei primi secondi della pellicola:

Il camorrista, il film d'esordio di Tornatore usciva 30 anni fa

Una scena del film “Il camorrista”

«Questo film trae ispirazione da quel drammatico contesto, non solo meridionale, che ci appare dalle cronache giudiziarie e parlamentari e dalla pubblicistica sulla camorra. Gli autori non hanno preteso fare ricostruzioni storiche e tanto meno imporre come “verità” una loro versione dei fatti ma, con l’elaborazione fantastica di quelli avvenuti e con altri di pura immaginazione».

Pura immaginazione. Difatti il primo omicidio di Raffaele Cutolo non avviene come mostra il film di Tornatore (e come riportato erroneamente da Wikipedia fino ad alcuni mesi or sono). Sono differenti sia le modalità che le circostanze. Il futuro capo della NCO non uccide Mario Viscito per difendere la sorella da una molestia (Rosetta Cutolo non è neppure presente al momento della lite). La causa scatenante del diverbio in strada è un insulto rivolto a Cutolo da una ragazza spaventata. Secondo alcuni, la giovane sarebbe stata letteralmente investita da quella Fiat 1.100, secondo altri, l’auto l’avrebbe soltanto sfiorata, secondo altri ancora Cutolo avrebbe invece frenato in tempo, all’ultimo secondo. Ciò che è certo è che la ragazzina, tale Nunzia Arpaia, non gradisce affatto l’incontro ravvicinato con quel veicolo e si lascia andare ad un’esclamazione di rabbia all’indirizzo del suo compaesano ventiduenne. Cutolo non ci sta e scende dalla macchina assestando un ceffone alla giovincella.

Il quotidiano Il Mattino, in occasione della sentenza d’appello, scriverà:

«Rimessosi in macchina incontrava però, poco lungi, il fratello dell’Arpaia, il quale tuttavia, chieste le comprensibili spiegazioni del gesto, si lasciava soddisfare dalla evasiva risposta del Cutolo (“Non sapevo che fosse tua sorella”). Giuseppe Saetta, che si trovava accanto al fratello dell’Arpaia, rivolto a costui pronunziò una frase che doveva risultare fatidica: “Se fossi stato io…”. Tanto bastava perché il Cutolo si scagliasse contro il Saetta iniziando una violenza colluttazione, nel mentre i fratelli Arpaia si allontanavano scomparendo dalla scena: e tale era la irosa e cieca volontà del Cutolo di scagliarsi su Saetta che, quando si intrometteva tra i due rissanti Mario Viscito e Salvatore Moccia (parenti del Saetta) il Cutolo, estratta fulmineamente una pistola, uccideva, con sette colpi consecutivi, il Viscito».

Mario Viscito, trentadue anni, lascia una moglie e tre figli. Dopo quattro giorni di latitanza Cutolo si costituisce spontaneamente, affermando di aver agito per legittima difesa. Il giovane malvivente finisce in una cella di Poggioreale, poi, in attesa di giudizio, viene condotto presso il penitenziario dell’isola di Procida e successivamente trasferito al nord, nella casa circondariale di Parma. La sentenza di primo grado, emessa nel dicembre del 1965, è durissima: omicidio volontario pluri-aggravato ai danni del Viscito e tentato omicidio nei confronti del Moccia. I giudici della Corte d’Assise di Napoli accolgono la richiesta del Pubblico Ministero Giovanni Zarra e condannano il Cutolo all’ergastolo «per aver compiuto il crimine per motivi abbietti e futili». Il giovane di Ottaviano, tuttavia, non demorde e ricorre in appello. Il 15 novembre 1969 la pena si riduce a 24 anni di reclusione: esclusione del movente futile e insufficienza di prove per l’accusa di tentato omicidio. Nel frattempo, Cutolo, girando da un carcere all’altro stringe numerose amicizie stabilendo contatti con rinomati esponenti della malavita napoletana e calabrese. Per il giovane di Ottaviano questi primi anni di permanenza nelle patrie galere sono fonte di un’importante scoperta: il mondo carcerario è un microcosmo fondamentale che custodisce il cuore pulsante della criminalità organizzata: conquistando le galere si conquistano gli affari che girano all’esterno.

FUORI PER DECORRENZA DEI TERMINI

Nel 1970 Cutolo è fuori per la prima volta. Grazie alla recente legge sulla decorrenza dei termini in attesa del ricorso in Cassazione, l’omicida viene scarcerato e assegnato ad un domicilio coatto in località Boscoreale, nell’area vesuviana. Dopo qualche mese, a seguito della condanna definitiva, il ventinovenne di Ottaviano, ormai coinvolto in una lunga serie di affari illeciti iniziati in carcere, si dà alla latitanza.

La vita di Raffaele Cutolo. Il boss che con omicidi, soldi e lavoro ha cambiato la camorraNella notte tra il 24 e il 25 marzo del 1971 una pattuglia dei carabinieri scorge il ricercato nella città di Nola, a bordo di una Giulia 1.600 targata VR261174. Il veicolo sta procedendo contro senso lungo Via Montetto delle Croci. Alla vista dei militari Cutolo schiaccia il piede sull’acceleratore e si dà alla fuga. A bordo della volante l’appuntato Sebastiano Ferraro e il carabiniere Vincenzo Antinoro avvisano via radio la centrale e inseguono la macchina di Cutolo a folle velocità lungo le strade semideserte della città dormiente. Un rocambolesco inseguimento si protrae a sirene spiegate per circa dodici chilometri, fino allo scalo merci di Palma Campania. Ritrovatosi in una strada priva d’uscita, Raffaele Cutolo salta fuori dalla vettura impugnando una Beretta 7.65 e senza alcuna esitazione apre il fuoco contro i militari, ferendoli entrambi. L’appuntato Ferraro si accascia a terra raggiunto da un proiettile all’emitorace sinistro mentre il carabiniere Antinoro si ritrova con un occhio perforato da una scheggia del parabrezza, ormai ridotto in frantumi dai colpi esplosi dal malavitoso. Rimasto privo di munizioni, il camorrista getta via la pistola e tenta di proseguire la fuga a piedi ma i militari, benché feriti, intimano l’alt con i mitra di ordinanza. A quel punto giungono anche i rinforzi precedentemente allertati via radio.

Cutolo è costretto ad arrendersi. Ammanettato e perquisito, il delinquente ha con sé in tasca 290 mila lire in contanti, denaro del quale si rifiuta di dichiarare la provenienza. Trasportato presso la vicina caserma dei Carabinieri di Palma Campania, sarà poi immediatamente trasferito al carcere di Poggioreale.

L’ultima volta che Raffaele Cutolo vedrà la libertà sarà nel 1978 con l’evasione dal manicomio di Aversa. Il successivo arresto, nel 1979, sarà l’ultimo rientro in carcere fino al 2021.