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L’omicidio di Claudio Miccoli

Redazione Spazio70

Gli assalitori, tutti estremisti di destra, provenivano dalla roccaforte «nera» di piazza Vanvitelli, solito ritrovo dei neofascisti partenopei

Napoli, 30 settembre 1978. Ore 21:30. Nella sala del cinema Odeon si sta assistendo alla proiezione di un film dell’orrore. «Zombi» di George Romero è il titolo che troneggia all’ingresso del Palazzo in piazza Piedigrotta. Mentre orde di famelici morti viventi seminano terrore sul grande schermo, una scena di agghiacciante inquietudine si sta consumando anche all’esterno della struttura. Un giovane di vent’anni barcolla a pochi passi dall’ingresso. Il suo volto è una maschera di sangue. Quel ragazzo chiede aiuto, ha il cranio fracassato ed è prossimo a perdere i sensi, tuttavia, le uniche grida che gli spettatori possono udire dall’interno sono quelle dei protagonisti alle prese con gli orrendi redivivi.

A soccorrere il giovane sono alcuni automobilisti che lo caricano in auto portandolo di corsa all’ospedale Loreto Crispi. Le parole dei medici non saranno affatto rassicuranti. Chi è quel ragazzo? Cosa gli è successo? Per scoprirlo dobbiamo tornare indietro nel tempo soltanto di alcuni minuti poiché tutto è accaduto in tempi incredibilmente rapidi.

PUGNI E SCHIAFFI DEI NEOFASCISTI

È sabato sera tra i tavolini della birreria Lowenbrau. Decine di ragazzi si sono dati appuntamento per bere da un boccale sotto le stelle, mangiare qualcosa in compagnia e magari fare due passi verso il lungomare. Siamo a piazza Sannazaro, una delle zone «rosse» della città, tra studenti «capelloni» e militanti di sinistra. A circa tre chilometri di distanza, nel quartiere Vomero, sorge invece la roccaforte «nera» di piazza Vanvitelli, solito ritrovo dei neofascisti partenopei. È proprio da lì che è appena giunto un manipolo di giovani. Sono una decina, tutti a volto coperto: fazzoletti sul viso e colli delle maglie rialzati. Nelle mani stringono spranghe e bastoni, l’occorrente per una spedizione punitiva. 

Il gruppo punta direttamente alla birreria. Tra i clienti c’è una ragazza di nome Paola che sul tavolo sfoglia una copia di Lotta Continua. Uno dei fascisti prende il quotidiano e dopo aver esclamato «Che bel giornale!» lo straccia per poi malmenare il ragazzo seduto accanto alla giovane donna, il ventiquattrenne Giuseppe Aversa, che si ritrova a terra dopo aver ricevuto una forte bastonata al capo.Volano pugni e schiaffi anche ai danni di un altro giovane. Tra gli avventori del locale si scatena il panico ed ha inizio un «fuggi fuggi» generale. Gli assalitori si dileguano sparpagliandosi lungo la strada.

UN CONVINTO PACIFISTA

Il ventenne Claudio Miccoli decide di alzarsi dal proprio tavolo e di inseguire i neofascisti assieme a due amici giovanissimi: Massimo Stella e Vincenzo Salemme (omonimo del noto attore) di 15 e 16 anni. Ambientalista, animalista e militante attivo del WWF (di cui è segretario provinciale), Miccoli ha idee politiche di sinistra ma è anche un convinto pacifista.

Miccoli in ospedale

Il suo intento è quello di individuare gli aggressori e di scegliere la strada del dialogo e della ragione. Dalla sentenza n°30/81 della Corte d’Assise di Napoli:

«Risulta provato in maniera inconfutabile che costui (Claudio Miccoli), armato soltanto del suo coraggio e della sua generosa indignazione per il proditorio assalto cui aveva assistito, si alzò dal tavolo con alcuni amici e si mise sulle tracce dei fuggitivi gaglioffi.»

I COLPI AL CAPO. IL COMA E LA MORTE

Miccoli raggiunge alcuni degli squadristi nei pressi di Piazza Piedigrotta, a poca distanza dal cinema, li riconosce, prova a chiedere spiegazioni circa l’accaduto ma alla vista di quel giovanotto barbuto e dalla chioma molto folta (tipico look da «compagno») i «neri» non sembrano affatto propensi al dialogo. Nasce subito un diverbio e uno dei fascisti, il diciottenne Ernesto Nonno, colpisce ripetutamente Miccoli al capo con un bastone, assestando dei colpi al capo. Dei colpi molto duri.

Trasportato da un passante al Loreto Crispi e trasferito d’urgenza al Cardarelli, il ragazzo entra in coma e muore dopo sei giorni di agonia.

I medici parleranno di decesso sopravvenuto «a causa delle gravissime lesioni craniche ed encefaliche, di natura traumatica, per sfondamento della volta in sede parietale destra alta, con frattura pluriframmentata ed infossata della teca, e per una vasta lacero-contusione meningo-encefalica, con ematoma intracerebrale a livello dell’emisfero di destra e stato di coma, conclusosi con l’obitus, circa sei giorni dopo il ferimento, per insufficienza cardiorespiratoria irreversibile ed arresto cardiaco terminale».

Adempiendo alle volontà del giovane, il padre di Claudio autorizza l’espianto delle cornee, ridando la vista ad un trentenne di Oliena, in provincia di Nuoro, da alcuni anni costretto ad una condizione di cecità. Nel frattempo le indagini della Digos sono tutte concentrate negli ambienti neofascisti del quartiere Vomero e giungono rapidamente al gruppo di aggressori. I responsabili saranno condannati nella primavera del 1981 a condanne tra i sei e i quattordici anni di detenzione.