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Il «Collettivo autonomo contrabbandieri» nelle parole di Luciano De Crescenzo

Redazione Spazio70

di Luciano De Crescenzo (La Stampa, 16 marzo 1978)

«Gaetano Mammone era un mugnaio che durante la rivoluzione napoletana del ’99 pensò bene di riunire una banda e di diventare il più temuto brigante della Campania. Schieratosi dalla parte della legge, quella di Ferdinando I, seminò morte e distruzione tra le fila dei giovani repubblicani e lasciò di sé un tale terribile ricordo che ancora oggi, a Napoli, quando un bambino è irrequieto, si è soliti dire: “Nennì, statte quieto ca si no chiamm’ ‘o Mammone e te faccio magnà!”. A distanza di quasi due secoli, per una curiosa combinazione, questo nome è ritornato a spaventare i napoletani. Questa volta però non si tratta di Mammone il brigante, ma di Mamone il capitano della Guardia di Finanza di Napoli. Persona colta ed efficiente (è laureato) ha una “m” di meno nel cognome e la stessa capacità di seminare il terrore tra le file dei contrabbandieri napoletani. In effetti il nostro capitano non cerca di fare altro che il proprio dovere, sennonché i contrabbandieri, giudicando eccessivo tutto questo zelo, hanno deciso di costituirsi in Collettivo Autonomo Contrabbandieri Napoletani e di indire uno sciopero di protesta.

«COME MILANO CREA, NAPOLI IMITA»

Ora, signori miei, il problema è molto più serio di quanto possa sembrare ed il lettore non deve lasciarsi fuorviare dall’aspetto folkloristico della notizia. La situazione napoletana è drammatica ed io credo di poterla sintetizzare in pochissime righe. 1.500.000 abitanti, 200.000 disoccupati. Un numero imprecisato di sottoccupati e di lavoranti neri. Le tre maggiori industrie: l’Italsider, l’Alfasud e l’Aeritalia, passive e in sospetta prossima cassa integrazione. Turismo in fase calante. Cortei di “disoccupati organizzati” che attraversano quotidianamente il centro della città. Se c’è qualcosa che deve meravigliarci è come mai in una situazione del genere non sia ancora scoppiata una rivoluzione.

Ebbene, la risposta a questo ultimo quesito è addirittura sconcertante: per merito del contrabbando di sigarette. Mentre i politici si erano dimenticati dei napoletani, ritenendo probabilmente che ad essi, come dice una famosa canzone, bastava ‘o sole ‘o mare e na nenna a core a core” , questi si sono dati da fare ed hanno inventato l’Industria dell’Imitazione. Fabbriche di falso whisky scozzese delle migliori marche, fabbriche di Fernet Branca quasi amaro (500.000 bottiglie sequestrate due mesi fa), fabbriche di Chanel n. 5 (“il nostro profumo dottò, è più bbuono di quello francese, basta una goccia sola e ve lo sentite appresso per tutta la giornata” ), fabbriche di borse Luis Vitton, “quella da 200.000 lire ve la vendo per 15.000” ), fabbriche di dischi e musicassette dei maggiori cantanti del mondo (sessanta miliardi di fatturato, dico sessanta miliardi!). Come Milano crea, Napoli imita e la rivoluzione viene rimandata al mese successivo.

«SCONFIGGERE IL CONTRABBANDO? LO STATO SPENDEREBBE PIÙ SOLDI DI QUANTI NE PERDE ADESSO»

Ed infine il bagarinaggio sportivo. Sede principale: Napoli. Succursali a: Roma, Milano e Torino. Capitali napoletani. Ottocento dipendenti. Se andando al derby Torino-Juventus o alla finale della Coppa dei Campioni, Borussia – Liverpool, sentite un bagarino che grida: “‘A tribbuna numerata, ‘o distinto, accattateve ‘o biglietto!!!”. Niente meraviglia, è tutto perfettamente normale. Ma ritorniamo al nostro contrabbando di sigarette. Mille scafisti e duecento motoscafi blu nel solo golfo di Napoli. Una trentina di paranze a terra per le operazioni di scarico e di distribuzione. Ciascuna paranza è formata da un capo, detto abbozzatore, e da una quarantina di ragazzi più o meno diciottenni. Due diversi livelli di grossisti (“prima e seconda mano” ) impegnati a far giungere la merce a mezza Italia. Innumerevoli venditori al dettaglio. Ed in fine, come contorno, i servizi di staff: cantieri per la costruzione degli scafi, meccanici, motoristi, carpentieri, elettrauto, radiotecnici eccetera eccetera. Totale delle unità impegnate: 30.000 persone. Ogni “Motoscafo blu” in un viaggio riesce a trasportare cento casse di sigarette, ovvero 5000 stecche, per un valore di circa dodici milioni. Guadagno per ciascun viaggio: due milioni, al lordo delle spese di carburante e degli imprevisti nautici e penali.

Io non so quanto ci rimette lo Stato italiano con il contrabbando delle sigarette, penso però che se il governo volesse mettere su, con l’aiuto dell’Iri, un’industria in grado di far campare 30.000 persone e le loro rispettive famiglie, spenderebbe molti più soldi di quanti non ne perde adesso. I contrabbandieri non sono più quei personaggi pittoreschi che solcavano i mari una decina di anni fa. Per la maggior parte giovani, contano tra le loro file molti studenti universitari e più di un laureato. I ragazzini delle “paranze” guadagnano intorno alle quindicimila lire per sera e nessuno, dico nessuno, si sente un fuorilegge. Ed è questo aspetto del problema, quello che più mi ha fatto pensare. Ho parlato con alcuni di loro e sono rimasto colpito da certe frasi: “Oggi debbo andare a lavorare alle quattro” , oppure: “Altri cinque viaggi e mi riscatto il motoscafo”, “Se tutto va bene l’anno venturo mi sposo”.

UNA PARTITA DI CALCIO TRA FINANZIERI E CONTRABBANDIERI

Il rapporto con i finanzieri è poi quanto mai singolare. A terra s’incontrano spesso e vige tra loro tutta una reciproca comprensione, un po’ come fra Totò e Fabrizi nel film Guardie e ladri. Poveri che lottano per vivere, i contrabbandieri. Giovanotti che percepiscono uno stipendio da poveri, i finanzieri. A mare aperto invece le regola cambiano di colpo. Lunghi periodi di tregua si alternano a vere e proprie battaglie navali. Sotto l’occhio vigile degli ufficiali la caccia al contrabbandiere diventa spietata. Inseguimenti sempre al limite dello speronamento. Astuzie per bloccare le barche avversarie. Cime buttate a mare per incagliare le eliche dei motoscafi. Colpi di mitra sparati all’altezza dei motori (i contrabbandieri generalmente non portano armi). Motoscafi esca utilizzati per dirottare le vedette della Finanza dalle rotte prescelte. Centrali operative contrabbandiere, dotate di apparecchiature radio modernissime, guidano le operazioni da punti segreti. Mentre in tutto questo trambusto, le navi contrabbandiere attendono a trenta miglia dalla costa l’esito degli scontri.

Eppure, volendo, il contrabbando a Napoli potrebbe essere fatto fuori in una sola giornata. I “motoscafi blu”, quando non sono in missione, dondolano tutto il giorno nei porticciuoli napoletani e chi li vuole vedere li vede. Sempre perfettamente allineati e sempre con il parabrezza ricoperto di tela blu per impedirne i riflessi a mare. I contrabbandieri, quando non “lavorano”, stazionano in via Santa Lucia davanti al Bar Paris. Qualcuno mi ha detto che domenica prossima ci sarà una partita di calcio finanzieri contro contrabbandieri».