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Connessione Orlandi-Gregori: quando un depistaggio anima una commissione parlamentare

Tommaso Nelli

Se c’è una conclusione alla quale approdò la prima inchiesta giudiziaria sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, è l’assenza di punti in comune con quella di Mirella Gregori. «Un accostamento arbitrario e strumentale» si legge nella sentenza di archiviazione del 19 dicembre 1997 a cura dell’allora giudice istruttore Adele Rando

Una connessione nata da un depistaggio. E che però adesso sarà oggetto addirittura di una commissione parlamentare di inchiesta. È il surreale destino delle scomparse di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, che per quarant’anni sono andate spesso a braccetto sul fronte giornalistico e su quello giudiziario. Con un problema. E neanche troppo piccolo: l’assenza di riscontri per ricondurle a un’unica, diabolica, regia. Ma non poteva essere diversamente. Perché dall’analisi e dalla ricostruzione di questo accostamento, si scopre come le sue origini affondino in un’invenzione architettata a tavolino per sviare le indagini sulla sorte della povera Emanuela: quella delle lettere a firma Fronte di Liberazione Turco Anticristiano Turkesh.

«EMANUELA ORLANDI NOSTRA PRIGIONIERA»

Osservazioni del SISMI sul cosiddetto Fronte Turco Anticristiano di Liberazione Turkesh (dal libro Atto-di-Dolore, pag. 242)

Osservazioni del SISMI sul cosiddetto Fronte Turco Anticristiano di Liberazione Turkesh (dal libro Atto di Dolore, pag. 242)

Tutto ebbe inizio il 4 agosto 1983. Quando alla redazione Ansa di Milano, imbucata da una casella postale della vicina Peschiera Borromeo, giunse una missiva, anzi un «komunicato» come recitava l’intestazione, siglato da un nome mai sentito fino ad allora: il Fronte di Liberazione Turco Anticristiano Turkesh. Il suo contenuto, scritto in un italiano miscelato di espressioni elaborate – «crisi da repulsione» – e sgrammaticate – «vosta» e «quete» per «vostra» e «queste» – destò l’interesse degli investigatori per quattro ragioni: la comparsa sulla scena di un soggetto nominale rivendicatore del presunto sequestro dopo settimane di anonimi; la presenza di alcuni particolari su Emanuela; il rilancio della connessione OrlandiAgca: «Emanuela Orlandi nostra prigioniera passerà all’esecuzione immediata il giorno cristiano il 30 ottobre […]. Condizioni per liberarla sono quete: liberazione immediata di Alì Agca»; e l’apparizione nel giallo vaticano, per la prima volta, del nome di Mirella Gregori, la quindicenne cittadina romana di cui si erano perse le tracce dal 7 maggio precedente.

Di lei, i giornali avevano parlato molto poco rispetto alla vicenda Orlandi e questa disparità di trattamento mediatico sarà purtroppo una costante nel corso degli anni. E non sarà l’unica. Anche sul fronte investigativo soffiavano venti differenti. Calmo, secondo alcuni anche troppo, per l’indagine su Mirella assegnata alla dottoressa Giuseppa Geremia. Molto più burrascoso invece quello per la giovane cittadina vaticana, già oggetto di un avvicendamento al timone dell’inchiesta con il sostituto procuratore Domenico Sica che da dieci giorni aveva preso il posto della collega Margherita Gerunda. Perché lei andava in ferie, ma soprattutto perché le numerose e infondate rivendicazioni giunte fino ad allora avevano collegato la sparizione ad Alì Agca, l’attentatore di Giovanni Paolo II, prefigurando quindi un caso di terrorismo. Da qui la decisione di affidare il caso a uno dei magistrati più esperti in materia, che si era già occupato di Brigate Rosse e altre storie scottanti come l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli (20 marzo 1979) e gli stessi spari al Pontefice (13 maggio 1981).

Un ragionamento valido però giusto in astratto. Perché Sica, come sua consuetudine secondo quanto ho appreso da suoi ex colleghi, partì forte. Ma senza errare dietro a fantasmi e complotti. Piuttosto si concentrò sulla vittima, tanto che in due giorni interrogò sette persone a lei vicine tra compagne del liceo e della scuola di musica. Uno scenario però stravolto dall’entrata in scena del cosiddetto Fronte Turkesh, che ripeté la congiunzione Orlandi-Gregori anche quattro giorni più tardi (8 agosto), nel «Komunicato 2», ricevuto sempre dall’Ansa di Milano. Un indizio per rafforzare il collegamento tra i due misteri?

No. Semmai, un ricamo a un vestito ben artefatto che però gli inquirenti indossarono con troppa fretta invece di guardarlo con la dovuta cautela. Così le due inchieste furono unificate sotto la gestione di Sica e anche la tutela della famiglia Gregori fu assunta dall’avvocato Gennaro Egidio, già legale della famiglia Orlandi. La trappola era scattata alla perfezione e i destinatari ci erano finiti dentro con tutte le scarpe.

«MIRELLA GREGORI? VOGLIAMO INFORMAZIONI»

Fronte Turco Anticristiano di Liberazione Turkesh. Allegato Komunicato 4 del 22-09-1983

Fronte Turco Anticristiano di Liberazione Turkesh. Allegato al «Komunicato» numero 4 del 22-09-1983

Ma perché quella connessione era un’invenzione? Per più motivi. In primis, il presunto mittente di quelle lettere, il Fronte di Liberazione Turco Anticristiano Turkesh. Un soggetto inesistente, sconosciuto a tutti i corpi investigativi e anche ai nostri servizi segreti. Un appunto dell’allora SISMI, pubblicato inedito in Atto di Dolore, riporta che da Forte Braschi attivarono immediatamente i loro centri esteri senza però raccogliere la minima informazione sul suo conto. Altra dimostrazione di inattendibilità di quei messaggi fu la loro temporalità. Dopo il terzo «komunicato» del 13 agosto 1983, il Turkesh sparì per poi rifarsi vivo soltanto altre quattro volte: 22 settembre 1983; 21 agosto e 22 novembre 1984; 27 novembre 1985.

Ma un’associazione criminale è sempre costante nelle sue richieste e, qualora non le veda soddisfatte, alza il tiro e minaccia l’incolumità dell’ostaggio, talvolta spingendosi fino alla sua soppressione. Qui invece non solo si succedettero sette rivendicazioni in due anni e mezzo, ma queste proseguirono anche dopo l’ultimatum del 30 ottobre quando, visto che Agca non era stato liberato, sarebbe stato logico attendersi la restituzione del corpo della povera Emanuela.

A certificare l’inconsistenza del Fronte fu comunque Mirella Gregori. Lei e Orlandi non si conoscevano, avevano vite e frequentazioni del tutto diverse e soprattutto dalle indagini non emersero indizi che potessero accomunare le loro tragedie. Come non ne usciranno fino ai giorni nostri. Ma c’è di più. Nominata nei primi due scritti, Gregori sparì nei restanti salvo spuntar di nuovo nell’ultimo. Ora, quale gruppo delinquenziale nelle sue rivendicazioni illumina a intermittenza i suoi prigionieri come luci dell’albero di Natale? Nessuno. Ma il Turkesh seppe fare ancora peggio e arrivò addirittura a…volerne sapere di più sul suo conto! «Mirella Gregori? Vogliamo informazioni!» scrisse nel primo «komunicato». Il trionfo del grottesco. Perché un sequestratore non chiede mai informazioni su chi ha rapito, ma semmai le dà.

Il Turkesh poi mai provò di avere tra le mani Emanuela Orlandi, sulla quale si limitò a fornire alcuni particolari sulle sue abitudini —tipo l’amico Carlo, figlio di un ufficiale delle Guardie Svizzere— alternati con altri del tutto inventati —Gino Paoli come cantante preferito— e con altri noti solo agli organi inquirenti —richiamo alla rosa blu nel «Komunicato-4» con la frase: «La ragazza coi capelli neri e ricci che sembrava sua amica».

Una somma di informazioni inquietanti e indicative di chi potesse celarsi dietro quei messaggi. Non certo la Stasi —come erroneamente detto nel corso dei decenni confondendo il suo ruolo depistante nelle indagini sull’attentato al Papa con lettere in tedesco (mentre quelle Turkesh erano in italiano) che menzionavano anche la vicenda Orlandi— bensì figure che in quelle settimane avevano avuto stretto contatto con gli ambienti di provenienza di Emanuela e che, al tempo stesso, potevano accedere senza difficoltà al contenuto degli atti di indagine. Soggetti abili a confezionare polpette avvelenate intrecciando con sapienza il vero e il falso e che nella lettura della rassegna stampa avevano, e continuano ad avere, una delle loro attività principali. Così da essere sempre aggiornati su quel che accade. Per esempio, che nel numero uscito in edicola il 1°agosto 1983, il settimanale Panorama, oltre che di Emanuela, aveva parlato anche della sparizione di Mirella Gregori, pubblicando una foto della ragazza con Papa Wojtyla. Tre giorni dopo, arrivò il primo «komunicato» Turkesh che per la prima volta allacciava le due scomparse. Una semplice coincidenza?

E GLI INQUIRENTI CREDETTERO AL TURKESH

Casi Orlandi e Gregori. Komunicato 1 del 04-08-1983 firmato Fronte Turco Anticristiano di Liberazione Turkesh. 

Riferimenti a Orlandi e Gregori nel Komunicato 1 del 04-08-1983 firmato Fronte Turco Anticristiano di Liberazione Turkesh. 

Ma perché comparve il Fronte Turkesh? Per intensificare il caos sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, rilanciando l’infondata pista del terrorismo internazionale affinché si credesse che lei fosse stata rapita da un’organizzazione straniera, di matrice islamica, per ottenere la liberazione di Alì Agca, l’uomo che aveva attentato alla vita di Giovanni Paolo II. In pratica, quei «komunicati» non furono che il proseguimento del copione messo in atto il mese precedente (luglio 1983) con telefonate e scritti anonimi a organi di stampa, famiglia Orlandi e alcune amiche di Emanuela. Un’unica regia cangiante nella forma, ma non nella sostanza, vista la sua incapacità a dimostrare la detenzione della ragazza. Il coinvolgimento di Mirella Gregori servì a puntellare l’idea di questo teorema, sdoganando l’idea della fantomatica organizzazione dedita al sequestro di minori per ragioni politiche e inducendo all’abbandono di piste più realistiche per la scomparsa di un’adolescente, come quella di un contesto di violenza sessuale.

Nonostante le evidenti inconsistenze, gli inquirenti però credettero al Turkesh e per quattordici anni percorsero la pista Orlandi-Gregori. Senza però raccogliere alcun risultato. Anzi, se c’è una conclusione alla quale approdò la prima inchiesta giudiziaria sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, è l’assenza di punti in comune con quella di Mirella Gregori. «Un accostamento arbitrario e strumentale» si legge nella sentenza di archiviazione del 19 dicembre 1997 a cura dell’allora giudice istruttore Adele Rando. E non poteva essere diversamente. L’unico anello di congiunzione tra le due avrebbe potuto rappresentarlo un funzionario della vigilanza vaticana, ma lo stralcio della sua posizione, che dette vita a un fascicolo autonomo nei suoi riguardi tra il 2002 e il 2009, si concluse con un’archiviazione.

Questi riscontri avrebbero dovuto essere più che sufficienti per evitare altri accostamenti, sennonché anche l’inchiesta giudiziaria sulla scomparsa di Emanuela Orlandi svolta tra il 2008 e il 2015, incentrata prevalentemente sulla cosiddetta Banda della Magliana, fu preda di questo errore. A trarla in inganno, la telefonata alla trasmissione televisiva Chi l’ha visto? del luglio 2005: «Riguardo al fatto di Emanuela Orlandi, per trovare la soluzione del caso, andate a vedere chi è sepolto nella basilica di S. Apollinare e del favore che “Renatino” fece al cardinal Poletti, all’epoca… E chiedete al barista de’ via Montebello, che pure la figlia stava con lei, con l’altra Emanuela. Ma siccome siete omertosi, non direte un c…o come al solito!».

Via Montebello confina con via Volturno, sede del bar dei Gregori, che si trova proprio all’angolo tra le due strade. E per gli inquirenti quelle parole furono un riferimento alla vicenda di Mirella. Ma né De Pedis (Renatino) e né alcun esponente della Banda della Magliana aveva mai avuto rapporti con la sua famiglia. Inoltre, le intercettazioni ambientali e telefoniche su numerosi personaggi del criminoso sodalizio, compresi quelli iscritti nel registro degli indagati e poi prosciolti al termine delle indagini preliminari, non produssero il minimo indizio che accomunasse le tragedie delle due giovani o a un coinvolgimento della Banda in quella di Mirella. La vittima principale di questo abbinamento. Perché, se ha garantito visibilità al suo dramma, altrimenti destinato all’oblio che purtroppo avvolge la maggior parte di questi casi, ne ha però impedito di scoprire le ragioni. Un traguardo invece possibile se fosse indagato in maniera autonoma.

Provato quindi il vuoto quarantennale della connessione Orlandi-Gregori, si rimane sconcertati davanti alla sua riproposizione come architrave della commissione parlamentare di inchiesta approvata (ma non ancora costituita) dal Senato lo scorso 9 novembre. Un saggio di impreparazione da parte della nostra classe politica, come si è desunto da numerosi interventi dei suoi esponenti che hanno nuovamente parlato di rapimento e intrighi geopolitici, che però beneficerà di 200 mila euro (50 mila per ogni anno fino al termine della legislatura, previsto nel 2027). Ma così tanto denaro pubblico meglio investirlo in altre direzioni piuttosto che per un’indagine animata da un depistaggio.

tommaso.nelli@spazio70.com